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AMARE GLI ALTRI, esperienze Luglio 23, 2010

LA COMUNIDAD

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Mi manca tanto la comunità. Forse è un problema di noi animali metropolitani. Una volta ce l’avevo, nel mio quartiere-paesello. Ora mi sono spostata, e non ce l’ho più. Quel senso di condivisione, di stare sulla stessa terra, non come con-domini (padroncini) ma come figli di quella stessa madre: la padrona era lei. In città si condividono i luoghi del lavoro, le scuole dei figli, le associazioni, le parrocchie, le community virtuali. Quanto ai condomìni, in genere sono trincee. Quel senso di appartenere insieme a qualcosa, amorosamente, naturalmente, senza sforzi, non l’ho provato più.

Sono una ragazza socievole, e di questa dimensione, anello di collegamento tra la famiglia e la società (l’individuo non lo considero nemmeno) provo una nostalgia struggente.

TEMPI MODERNI Dicembre 7, 2008

IN CAMPAGNA

Sono qui, in campagna. Il mare là sotto è piuttosto agitato, ma l’onda delle crisi non sembra ancora arrivata. Forse perché qui, a tutta quella panna che si è catastroficamente smontata, non ci hanno mai creduto più di tanto. La terra è sempre stata solo la terra, il cielo il cielo, la legna legna, la pioggia pioggia. Confortevolmente immutabili. Dopo la neve vengono le gemme, dopo le gemme i fiori, e dopo i fiori i frutti. Garantito. Si tratta di assecondare il processo. Il resto è secondario. L’impressione di “staccare” -noi metropolitani di tanto in tanto “stacchiamo”- stavolta è più netta che in altre occasioni. La sensazione che qui è più facile che vengano buone idee.

Mi sento un po “sfollata”, insomma. Fa bene ogni tanto guardare le cose da altri punti di osservazione.

Archivio Agosto 18, 2008

ESTATE METROPOLITANA

Di recente ho visto un film bello e poco conosciuto, “Guida per riconoscere i tuoi santi”, opera prima di Dito Montiel, premiata al Sundance Film Festival. Non fatevelo scappare, se vi capita. Lì tra l’altro si vede bene cos’è un’estate metropolitana. Asfalto bollente per i ragazzi di Queens. Spazzatura. Pelle sudata, birra, profumi dozzinali rubacchiati al drugstore. Le notti sotto il ponte, un bagno a mezzanotte con i jeans, il muro della piscina scavalcato. Una fetta di pizza fredda, il gelato che cola sugli avambracci. Sesso appiccicoso negli androni. Pianto di bambini che non prendono sonno. La violenza di un amore che sta finendo. Moto smarmittate nei tunnel. Il metrò che ruggisce. Qualcosa che sembra mare in fondo un prato bruciacchiato.
Non sa che cos’è l’estate, chi non ha mai vissuto la ferocia di un’estate metropolitana. I piedi a bagno nelle fontanelle. Il giorno che non muore mai. Un morso disperato d’anguria. Ventagli di plastica. Le gambe gonfie delle donne. Sedativi. Uomini in canotta che fumano sui balconi. Condomini. Finestre illuminate di notte. Tv accese. Treni. Domeniche deserte. L’aria condizionata di un cinema. Dentista d’urgenza. Strane amicizie in ufficio. Parlarsi da una scrivania all’altra. I parchi. Formiche che ti salgono per le gambe. Rimmel che cola. Schiene nude. Rimpianti. Supermarket deserti. Vecchi che camminano al braccio di floride ragazze ucraine. Alberi senza vento. Sole. Piazze metafisiche da traversare in fretta. Ombra soffocante sotto i portici. Cose immobili dietro le serrande chiuse. Rondini acquattate. Gatti senza niente da bere. Immigrati nelle laundrette. Musiche da lontano. Cassonetti colmi, cocci di bottiglia. Silenzio senza pace. Cieli di latte. Un turista che si è perso. Le fermate dei bus. Zanzare. Acqua che cola da un balcone. Assenze. Sedie vuote di plastica nei bar. Fiori che seccano nei cimiteri. Velate che camminano solennemente. Le braccia bianche delle portiere che spazzano.
Non sa cos’è l’estate, chi non ne ha mai passate in città.

(pubblicato su “Io donna”-“Corriere della Sera”, il 9 agosto 2008)

Archivio Maggio 29, 2008

IL PAESE SIAMO NOI

Capiterà anche a voi di sentir parlare o anche di parlare, non senza un certo compiacimento postmoderno, di “spaesamento”, di “non-luoghi” e di “iperluoghi” (new entry). Cioè di quel sentirsi soli e da nessuna parte che patiamo ogni giorno. Senza radici, senza legami, di passaggio nei posti del nostro quotidiano: al supermercato, sul tram, al lavoro, nella cucina di casa (per non parlare della camera da letto).
C’è una vera estetica che canta gli spazi sterminati, il vuoto di relazioni, il flash degli sguardi, l’umanità virtuale, i surgelati e il discount. Una cosa un po’ infantile: come da bambini, quando si faceva sosta in autogrill, posto “moderno”, americano, colorato, il formaggio senza sapore nei panini, l’odore di disinfettante nei bagni, i pupazzi con le caramelle, le facce un po’ sfocate e tutte uguali di quella gente che non si sarebbe mai più rivista.
C’è però anche una contro-estetica non meno amata dalla pubblicità, specie a Natale. Una poetica dei sapori genuini e delle vecchie cose di una volta, il tinello, l’albero, il vino con le caldarroste. Uno straccio di amico d’infanzia che sa davvero chi sei, come sei, e che è al corrente di buona parte dei fatti tuoi (e casomai li spiffera in giro).
Non credo che il rimedio stia in certe radici artificiali: una casa in campagna con camino -gran bella cosa, comunque-, il ritratto a olio di una finta trisavola scovato al marché aux puces. La nostra dotazione di rimedi l’abbiamo dentro: si tratta di attivarla e di giocarsi. Si tratta non di negare lo spaesamento e l’angoscia, di riconoscerli e accettarli e di mobilitare energie inverse. Di farsi paese per se stessi e per gli altri, luogo ospitale dove passa verità e umanità, posto che gli altri e le altre possano a loro volta attraversare, riconoscendosi e radicandosi. La radice siamo noi. Si tratta di accettare di sembrare un po’ matti, all’inizio, quando si parla con il tassista, si sorride all’impiegato di banca e al vicino di tram, gli si fa capire che i fatti loro li sentiamo come nostri e siamo pronti a farcene carico. Però funziona.
(pubblicato su “Io donna”- “Corriere della Sera”)