Browsing Tag

integrazione

AMARE GLI ALTRI, esperienze, Politica Agosto 24, 2011

Gli invasori

Mi arriva la lettera accorata di una signora milanese, mia conoscente.

Proviamo a dialogare con lei, prendendo in seria considerazione le sue ragioni

 Cara Marina, mai come quest’anno -dopo 13 – passati in agosto a Milano

ho visto in giro tanti extracomunitari.
Praticamente quasi tutte le donne sono incinte e con
le mani impegnate con altri bambini piccoli o piccolissimi.  Non
voglio parlare degli zingari sarebbe troppo.   Altra cosa le bande di
ragazzi sudamericani. Tutti vestiti bene e tutti strafottenti.  Le
dico quanto sopra perchè chi non è qui non lo può proprio immaginare.
Non si tratta a Milano di accogliere ora si tratta di dire le parole
giuste: noi siamo letteralmente invasi.  Sinceramente non riesco a
immaginare quanto ancora potremo sopportare altra gente in arrivo.
Quanto sopra mi permetto di dirLe perchè visto che Lei è vicina al Suo
sindaco e all’Arch. Boeri potrebbe dir loro  di smetterla di occuparsi
di “quadri” e di “melanzane” e alla “moschea” di zona, ma di pensare a
quanti asili e scuole occorreranno nella nostra città per accogliere
tutti i prossimi nati. Senza contare la sicurezza per difenderci dalle
suddette bande.  Io sono nata a Milano e mi dispiace vedere la mia
città cambiare per i troppi assalti che ha ricevuto e che pare
riceverà. Non hanno rispetto di noi gli  extra ecco quale è la mia –
alla fine – ininfluente conclusione.  Mi scusi questo sfogo ma sono
tristissima  e l’anno prossimo spero di andarmene in vacanza in agosto
(crisi permettendo) così vivrò in beata ignoranza visiva.

Con affetto, E.

AMARE GLI ALTRI, TEMPI MODERNI Febbraio 20, 2009

MALIKA and FRIENDS

Vista a Sanremo Malika Ayane, incantevole in duetto con Gino Paoli. Malika è figlia di un’italiana e di un marocchino e ha questa stupenda voce di confine, piena di echi e suggestioni, beneducata da studi al Conservatorio e alla Scala. Mentre cantava mi è sembrato di percepire le -e aperte di un certo slang milanese. Adoro quando mi capita di ascoltare, quasi sempre in metrò, ragazzi filippini, maghrebini o sudamericani (quelli dell’est europeo no, non siamo ancora alla seconda generazione) che parlano un perfetto italiano con accento della Bovisa o del Gratosoglio. L’integrazione mi rende felice, e questi ragazzi sono rivitalizzanti per la città. Per questo pubblico la foto qui sopra (mandata su Facebook dalla mia amica Paola Tavella: grazie!). L’integrazione va favorita in ogni modo. Prima sapremo far stare bene “loro”, e prima staremo meglio tutti.

Archivio Ottobre 25, 2008

NON E’ BELLO ESSERE POVERI

C’è il rischio, quando si parla di razzismo, di ficcarsi in un cul de sac. “Io razzista? Figuriamoci!”. E non si viene a capo di nulla. Mi ha illuminato quello che ho sentito dire a un signore nero, elegantemente incravattato: “La questione non è il colore della pelle. La questione è la povertà”. Non tutta la questione, forse, ma una parte cospicua.
Uno magari è stato povero, sa bene cos’è. Ha lottato per tirarsene fuori. Oggi i suoi figli capiscono l’inglese, sanno stare a tavola, hanno amici nella buona società. Magnifico. Poi un bel giorno gli arriva al piano di sotto una famiglia da chissà dove. Lei col foulard, quattro o cinque bambini moccolosi, tutti quei calzini stesi, gli odori dalla cucina. Il ritorno del rimosso, una rampa di scale più sotto. La paura che scatena la rabbia. La rabbia che diventa violenza. Ci vuole una grande anima per resistere, molte risorse interiori. E snon tutti le hanno.
Non c’è niente di sbagliato nel non voler essere poveri. Ho in mente un’orribile professoressa, signora borghesissima che purgava i suoi sensi di colpa insegnando in una scuola con molti bambini stranieri e presentandosi in classe indecorosamente ed esibizionisticamente stracciata. Niente analisi logica, niente storia o geografia. Solo “sperimentazioni”, cretinate multietniche e un sacco di altre inutili idiozie che non facevano crescere gli ultimi e tiravano verso il basso i primi. Perché lei “amava” snobisticamente i poveri, che pertanto dovevano restare poveri, o il suo goal esistenziale sarebbe andato a gambe all’aria.
Ma i poveri non vogliono restare poveri. I poveri vogliono uscirsene di lì. E’ facile che sbaglino strada, pensando che basti una bella macchina presa a credito o una cintura griffata. Ma quel moto dell’animo è sacrosanto. Non c’è niente di buono nell’essere poveri. E la bellezza, quella vera, la cultura, possono tutto. Avrebbe fatto meglio, la scellerata prof, presentandosi con uno di quei  bei tailleur che sicuramente aveva in guardaroba.
Prima sapremo garantire agli italiani “stranieri” diritti, rispetto, decoro, integrazione, occasioni culturali, prima faremo fuori la loro –e la nostra- povertà. Più gli faremo guerra, e peggio sarà per tutti. E non venitemi a parlare di San Francesco. Quella è tutta un’altra storia.
(pibblicato su Io donna – Corriere della Sera il 25 ottobre 2008)

Archivio Ottobre 16, 2008

GIRA CHE TI RIGIRA

L’idea di classi differenziali per stranieri è una soluzione sbagliata e inaccettabile a un problema che però esiste, ed è notevole. Sul Corriere di oggi Sandro Veronesi descrive molto bene la situazione di Prato, io potrei dire con altrettanta consapevolezza di Milano. Dove, oltretutto, i piccoli sono delle etnie più varie, non come lì, prevalentemente cinesi, quindi la gestione è molto complicata. Nei fatti le povere maestre -se ne parla sempre al maschile, ma sono in stragrande maggioranza donne- e più avanti le professoresse si ritrovano a tirare una coperta troppo corta. Per non lasciare indietro nessuno, rischiano di abbassare il livello per tutti, sacrificando lo svolgimento del programma alle inevitabili lentezze di chi non parla la nostra lingua ed è affaticato dall’inserimento. I genitori italiani si difendono andando a caccia di scuole senza stranieri, che qui a Milano sono quasi tutte in centro città.

E’ vero anche, tuttavia, che frequentare una classe multietnica è un’esperienza potenzialmente molto ricca e direi perfino irrinunciabile, perché insegna lo strumento preziosissimo della relazione a un grande livello di complessità. Si tratta quindi di saper trarre il meglio da questa contingenza, e lo si può fare soltanto, nessun dubbio, investendo energie e risorse, dotando le maestre di tutti i sostegni necessari, di counselor, di corsi d’appoggio d’italiano, e così via. E anche di una relativa autonomia nell’organizzazione del lavoro, perché ogni situazione fa caso a sé. Con l’idea di portare tutti verso l’alto, anziché abbassare gli standard. C’è da spendere oggi per risparmiare domani: tutto ciò che favorisce e velocizza l’integrazione è un ottimo investimento. Per tutti.

Ma alla nostra politica miope manca la capacità di guardare oltre il proprio naso. Ci si accontenta di un mediocre e immediato ritorno di consenso, accarezzando il pelo agli istinti più elementari.

Gira che ti rigira, siamo sempre lì, a questa politica insufficiente.