C’è il rischio, quando si parla di razzismo, di ficcarsi in un cul de sac. “Io razzista? Figuriamoci!”. E non si viene a capo di nulla. Mi ha illuminato quello che ho sentito dire a un signore nero, elegantemente incravattato: “La questione non è il colore della pelle. La questione è la povertà”. Non tutta la questione, forse, ma una parte cospicua.
Uno magari è stato povero, sa bene cos’è. Ha lottato per tirarsene fuori. Oggi i suoi figli capiscono l’inglese, sanno stare a tavola, hanno amici nella buona società. Magnifico. Poi un bel giorno gli arriva al piano di sotto una famiglia da chissà dove. Lei col foulard, quattro o cinque bambini moccolosi, tutti quei calzini stesi, gli odori dalla cucina. Il ritorno del rimosso, una rampa di scale più sotto. La paura che scatena la rabbia. La rabbia che diventa violenza. Ci vuole una grande anima per resistere, molte risorse interiori. E snon tutti le hanno.
Non c’è niente di sbagliato nel non voler essere poveri. Ho in mente un’orribile professoressa, signora borghesissima che purgava i suoi sensi di colpa insegnando in una scuola con molti bambini stranieri e presentandosi in classe indecorosamente ed esibizionisticamente stracciata. Niente analisi logica, niente storia o geografia. Solo “sperimentazioni”, cretinate multietniche e un sacco di altre inutili idiozie che non facevano crescere gli ultimi e tiravano verso il basso i primi. Perché lei “amava” snobisticamente i poveri, che pertanto dovevano restare poveri, o il suo goal esistenziale sarebbe andato a gambe all’aria.
Ma i poveri non vogliono restare poveri. I poveri vogliono uscirsene di lì. E’ facile che sbaglino strada, pensando che basti una bella macchina presa a credito o una cintura griffata. Ma quel moto dell’animo è sacrosanto. Non c’è niente di buono nell’essere poveri. E la bellezza, quella vera, la cultura, possono tutto. Avrebbe fatto meglio, la scellerata prof, presentandosi con uno di quei  bei tailleur che sicuramente aveva in guardaroba.
Prima sapremo garantire agli italiani “stranieri” diritti, rispetto, decoro, integrazione, occasioni culturali, prima faremo fuori la loro –e la nostra- povertà. Più gli faremo guerra, e peggio sarà per tutti. E non venitemi a parlare di San Francesco. Quella è tutta un’altra storia.
(pibblicato su Io donna – Corriere della Sera il 25 ottobre 2008)

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