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Hillesum

Archivio Settembre 13, 2008

COSE

A me capita soprattutto, scusate, con i prodotti per il trucco. Cerco tra gli scaffali dei blush, trovo con fatica un colore che va bene –ho un incarnato difficile-, dico alla commessa: “Mi dà quello?”. Lei si china a frugare nel cassettone. Niente. “Mi spiace. Il 543 l’abbiamo finito”. La roba che vorrei comprare io –e la vostra?- manca sempre. Succede anche per acquisti più impegnativi. Stavolta, negozio successivo, è una lavatrice: “Al momento quel modello non l’abbiamo”. “E allora” dico “perché lo esponete?”. “Perché esiste”. “E quando arriva?”. “Provi  lunedì”.
Esco dal negozio un po’ arrabbiata. Mi accoglie la vampata rovente della strada. Ho perso una mattina. Il mio cuore –o la mia testa, o tutti e due- parte alla ricerca del buono che c’è.
Ho imparato da una signorina di nome Etty Hillesum: cercare sempre il buono che c’è, in tutte le circostanze. Mi spiace scomodare quella santa ragazza per una sciocchezza del genere, ma il suo insegnamento è talmente pervasivo e convincente che in me è diventato un riflesso automatico.
Mi capita qualcosa di tremendo, o semplicemente fastidioso, e io penso: “Anche qui, da qualche parte, del buono ci sarà”.
Sono diventata una specie di detective del bene. In questo caso il bene è: che mi sono fatta una camminata di un’ora, andata e ritorno, quasi di corsa e sudando, e il cuore ringrazia, e anche le articolazioni, e il metabolismo, l’umore, tutto quanto il corpo e quindi anche l’anima; che ho visto la frenetica allegria di una mattinata in città; e poi c’è qualcosa di più sottile, che vorrei provare a spiegarvi. La metodica non-corrispondenza tra scaffali belli pieni (trecento tipi di fard, trenta modelli di lavatrici) e l’effettiva disponibilità della merce, che manca sempre, sembra volermi avvertire dell’illusorietà delle cose. Che pare che ci siano, e invece non ci sono. E noi stiamo al mondo lo stesso.
Le cose, quindi, non sono poi così necessarie. E ogni volta che diminuisce la necessità, per noi esseri umani cresce la libertà. Questo il bene che ho portato a casa stamattina. Mi sono sentita più leggera. Non è poco.

(pubblicato su  “Io donna”-“Corriere della Sera” il 6 settembre 2008)

Archivio Agosto 4, 2008

FIORI DI AUSCHWITZ

Dai vostri commenti al mio post mi pare di poter dedurre una visione piuttosto romantica del bene, come qualcosa di lontano e astratto a cui tendere senza arrivarci mai davvero. Ma io intendevo dire invece che il bene è sempre qui, insieme al male, in ogni istante, e che gli si deve fare largo, tendendo tutti i sensi per scovarlo e attivando tutte le nostre risorse per farlo fiorire. Dentro di noi, prima di tutto, perché possa rampicare dovunque attaccandosi alle nostre relazioni con gli altri e con il mondo. La metafora del rampicante non è per caso e rivolgo ancora il mio pensiero a Etty Hillesum, la mia maestra ragazzina morta tanto presto ad Auschwitz, che del bene parla così:

“Il gelsomino della casa è completamente sciupato dalla pioggia e dalle tempeste degli ultimi giorni, i suoi fiori bianchi galleggiano qua e là sulle pozzanghere scure e melmose (…) ma dentro di me esso continua a fiorire indisturbato, esuberante e tenero come sempre, e spande il suo profumo tutt’intorno alla tua casa, mio Dio”.

Non sentite anche voi la fragranza del gelsomino di Etty, anche se quel profumo sembra non esserci mai stato davvero, o non esserci più? C’è a questo mondo un fiore che profumi più intensamente di quel gelsomino fatto vivere a ogni costo e con caparbia fiducia dentro di sé?

Archivio Luglio 25, 2008

ANCHE IL DOLORE

A proposito del mio ultimo post, sullo stare nel qui e ora. Dice ancora Etty Hillesum, che mi è accanto in questi giorni: “E’ questione di vivere la vita di minuto in minuto e, per di più, accollarsi la sofferenza. E non è certo un piccolo di più in questi giorni” (i giorni sono quelli del luglio 1942, ed Etty è una ragazza ebrea).

Stare nel presente con consapevolezza, voglio dire questo, non è semplice e puro godimento, non è solo beatitudine, secondo una versione semplificata e un po’ edonista: nell’eternità di ciò che è nel momento in cui lo vivo c’è tutto. Anche il dolore. Ma insieme al resto. Un male, quindi, che non è mai assoluto.

Archivio Luglio 24, 2008

UN ESSERE UMANO

Mi scrive R. Rebeschini:

“Cara Marina, le confessero’ che, un po’ di tempo fa volevo scriverle, con un certo intento polemico, a proposito di infradito ed islamici, perché la cosa mi aveva un po’
infastidito ed avrei voluto farglielo presente.

Le avrei detto  che  si sarebbe certamente  dimenticata le   piccolezze di
una signora musulmana in metro’   se    si fosse dedicata alla lettura di Etty
Hillesum, che , in quel momento, riempiva le mie  ore libere.
Lo so , lo so che sarei stato insolente ma non glielo avevo scritto !

Ora vedo che lei cita la stessa Hillesum e, in verità, mi confonde un po’ le
idee, tuttavia, nel mio piccolo, ho già la soluzione che aggiusta tutto.
Di questi tempi tira una brutta aria e probabilmente, quel giorno, lei aveva
improvvidamente lasciato aperta una finestra. O sbaglio?”

Caro R., è che sono semplicemente un essere umano. Nè Gesù, nè la cara Etty, che è sovrumana, ma un essere umano.

Archivio Luglio 24, 2008

NON SONO D’ACCORDO

Noto questo: che nei blog e nei dibattiti in generale, spesso le persone sprecano un sacco di tempo, di spazio e di energie per dire che non sono d’accordo. Tizio che non è d’accordo con Caio, il quale non era d’accordo con Sempronio, in una catena infinita di disaccordi.

Credo che sarebbe più proficuo occupare lo spazio -meno spazio possibile- e investire le proprie energie in modo pro-positivo. Dire semplicemente la propria sulla questione che si sta discutendo, aggiungendo argomenti, e non cercando di distruggere quelli degli altri. O semplicemente provare a raccontare qualcosa di interessante che è capitato, meglio se bello e luminoso.

Per esempio ieri sera, nel piccolo borgo ligure dove mi trovo, ho assistito a una commovente rappresentazione di “Antigone”. Gli attori non erano professionisti -tranne un paio, forse-, la tecnica non era perfetta, la dizione neppure, e di tanto in tanto un gatto si faceva una passeggiata sul palcoscenico. Ma tutti, pubblico e attori, erano talmente dispiaciuti per la sorte che ingiustamente toccava a quella povera ragazza, e indignati per la ferocia di Creonte, e commossi per la disperazione di Emone -un ragazzone in gonnella, con un forte accento ligure-, che Antigone era lì con noi, il suo spirito era vivo, la rappresentazione un’esperienza davvero catartica. Le prime rappresentazioni del testo di Sofocle non dovevano essere molto diverse.

E poi voglio offrirvi, stamattina, una pensiero di Etty Hillesum, su cui meditare:

“Quanto faccio è hineinhorchen (prestare ascolto: mi sembra che questa parola sia intraducibile). Presto ascolto a me stessa, agli altri, al mondo. Ascolto molto intensamente, con tutto il mio essere, e tento di immaginare il significato delle cose. Sono sempre molto tesa e molto attenta, cerco qualcosa, ma non so che cosa”.

Buona giornata a tutti.

Archivio Maggio 29, 2007

UNA SIGARETTA, AMORE?

A Venezia per lavoro. La sera a cena in bacaro del sestiere Cannaregio. Una volta, al ristorante da sola mi imbarazzavo. Ingurgitavo in fretta e furia per scappare via. E diverso, adesso. Gnocchetti di zucca e filetto di orata, e un po di vino rosso, pieno di ottimi polifenoli e di buoni pensieri che chiedono di essere pensati. Li accolgo, li lascio scorrere liberi nella mente e nel cuore. E una ragazza bruna e sorridente a servirmi. Porta con molta grazia la sua opulenza. Viene da Israele: Venezia è ancora molto cosmopolita. Agli altri tavoli, tedeschi e italiani. Accanto ho una coppia di francesi che non mi degna di uno sguardo. Non sono troppo empatici, i francesi. Ma se come dice Etty Hillesum, morta ad Auschwitz, basta un tedesco decente per non sentirsi più in diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero , questo varrà a maggior ragione per l antipatia dei francesi: ne basterebbe uno simpatico. Certo non è il caso di questi due.
Due veneziani che ho di fronte, invece, mi fanno ciao con la mano e brindano ostentatamente alla mia salute. Ti vol una sigareta, amore? , mi dice uno dei due (a Venezia tutti si chiamano amore, con quella erre scivolosa come l acqua di laguna). Anche la ragazza israeliana cerca farmi sentire meno sola. Mi chiede da dove vengo, se l orata mi è piaciuta. E sì che di foresti dovrebbe averne abbastanza.
Mi danno, pensando che questo bene prezioso, la relazione, potrebbe andare perduto. Che questa ricchezza d Italie, il talento della relazione, potrebbe deteriorarsi proprio mentre ne abbiamo tutti sempre più bisogno. Come si fa a salvarla? Da che parte si comincia? Intanto sorrido unilateralmente ai francesi. E alla ragazza di Israele chiedo quante lingue parla. Arabo, ebraico e italiano , mi dice. Brava, tesoro , le rispondo, facendo brillare gli occhi.
(pubblicato su “Io donna”-“Corriere della Sera”)