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femminicidio

Donne e Uomini Marzo 28, 2012

Un Calcio al femminicidio

L’amica Iaia Caputo, tornata recentemente in libreria con il suo “Il silenzio degli uomini”, fa una proposta che ho pensato in simultanea.

La rilancio qui: perché non chiedere alla lega Calcio, agli “eroi” dell’epica maschile per eccellenza, di scendere in campo per tutto il prossimo campionato con un grande striscione che reciti: “Basta violenza sulle donne”? Lo hanno fatto per sostenere una giusta campagna contro il razzismo, e il femmicidio italiano quanto l’odio etnico o religioso o politico è tempo che diventi una questione che riguarda tutti, ma proprio tutti. Più che mai gli uomini.

Si potrebbe fare anche di più: chiedere a questi “eroi” di farsi testimonial in una campagna, rivolta in particolare ai giovani tifosi, di stigmatizzazione e disprezzo nei confronti di chi è così vigliacco e “senza p…e”, come direbbero loro. Sarebbe di enorme aiuto (l’amica Annamaria Testa potrebbe darci una mano inventando slogan efficaci).

Che se la smazzassero un po’ gli uomini la violenza che tanti del loro genere si portano dentro, e sempre più spesso tirano fuori. E non costringessero più noi a mettere tante energie non solo nel difenderci, ma anche nell’argomentare, analizzare, discutere, proporre.

Delle nostre energie e del nostro tempo abbiamo bisogno per ben altro.

Condividiamo questa proposta e rilanciamola alla Lega calcio, alle associazioni sportive, alla “Gazza”, lettissima dai ragazzi.

 

Donne e Uomini, esperienze, Politica Marzo 27, 2012

La trappola della violenza

Grande ripresa di dibattito sul tema della violenza sessista e del femminicidio -oggi un ampio editoriale di Adriano Sofri su Repubblica-.

Giusto, perché il fenomeno è in crescita esponenziale. Come per contagio. Come se ogni caso riportato dalle cronache fosse fonte di ispirazione per altri maledetti assassini, tanto che si ha perfino paura a parlarne.

La novità è che finalmente il femminicidio -punta dell’iceberg della questione maschile– è assunta da uomini che ne discutono pubblicamente. La fase dei pionieri che si avventuravano autocoscienzialmente in questo territorio è finalmente finita. Dobbiamo essere grate a uomini come Stefano Ciccone, Marco Deriu, Alberto Leiss e altri per avere rotto il muro di silenzio.

Ne parliamo moltissimo anche noi donne, con ripresa di iniziativa: domani, per esempio, a Milano, Libreria delle Donne, via Pietro Calvi 29, ore 18.30, Marisa Guarneri e Manuela Ulivi della Casa delle donne Maltrattate discuteranno di Pratica politica e accoglienza.

Cosa buona, con un grosso rischio. Che questo tema, sentitissimo e urgentissimo -alla violenza palese corrisponde un enorme sommerso che le cronache non registrano ma che distrugge la vita di moltissime donne- si “mangi” tutte le nostre energie, in un momento in cui dovremo riservarne molte ad altre questioni. Prima fra tutte, quella di non permettere più che il nostro Paese continui a essere governato solo da uomini, che queste quote consuetudinarie e non scritte, tra l’85 e il 100 per cento a favore di un solo sesso, continuino a sbarrarci la strada (c’è anche un altro rischio, più sottile: che parlare di noi stesse come vittime di violenza sia dis-empowering, ci indebolisca e ci induca a ridurre le pretese, accontentandoci di un minimo vitale).

Non mancano decisi segnali di cambiamento: ho visto che la lista Marco Doria, candidato sindaco del centrosinistra a Genova, conta 23 donne su 32 candidati. Per questo mi complimento con lui e lo abbraccio. Ma se per le amministrative qualche breccia si apre, sulle politiche del 2013 c’è molto da lavorare perché nulla sarà regalato, e ci sarà da interloquire con la vecchia politica misogina.

Nessuno dei temi all’attenzione delle donne, dalla violenza all’organizzazione della vita e del lavoro, si avvierà a soluzione finché le agende politiche saranno decise da una stragrande maggioranza di uomini. Ai quali fa anche comodo che ci leviamo di torno e torniamo a parlare di violenza e mentre loro, tanto per dirne una, sembrano aver perfino chiuso la pratica della legge elettorale da riformare.

Attenzione alle trappole, amiche.

 

 

Donne e Uomini, media, Politica Marzo 18, 2012

Mattanza senza fine: aspettando la prossima vittima (che nel frattempo è arrivata)

mirko, 2 anni, figlio di daniela sulas, ucciso dal compagno della madre

L’ultima poche ore fa a Caselle Torinese, soffocata con un cuscino dal marito.

La penultima, Daniela Sulas -lei non è morta, è morto il suo bambino di 2 anni, Mirko, ucciso per punizione dal suo compagno Igor Garau, che poi si è suicidato- un paio di giorni fa in Sardegna: molti organi di stampa hanno titolato “raptus di gelosia”.

La prossima vittima la stiamo aspettando, nell’assoluta impotenza.

All’escalation insopportabile di femminicidi -questo 2012 si prospetta da record– fa da contrappunto l’insensibilità dei media degli uomini che si limitano a registrare i casi di cronaca, 1+1+1, senza dismettere quel vocabolario -delitto passionale, raptus di follia, dramma della gelosia- che ormai si presenta come un vero e proprio apparato ideologico con la funzione di contenere l’allarme, ostacolando una lettura appropriata della mattanza –colpo di coda del patriarcato– e la formazione di una coscienza individuale e sociale.

E la colpevole indifferenza della politica degli uomini, che non pone in atto alcuna strategia di prevenzione.

Se i giornali e la tv fossero anche delle donne, se la politica fosse anche delle donne, le cose andrebbero diversamente.

Vi ripropongo qui un mio editoriale pubblicato sull’ultimo numero di “Comunicare il sociale”, allegato al “Corriere del Mezzogiorno”.

 

Una + una + una… in un anno fa 127.

127 donne italiane uccise, una ogni 2 giorni, da mariti, fidanzati o ex, da fratelli o padri.

127 delitti scelleratamente definiti “passionali”-non era meglio quando si parlava senza infingimenti di delitti d’onore?- e “notiziati” in ordine sparso nelle cronache.

Bisognerebbe metterli tutti insieme, comporre idealmente un paginone di quotidiano con i volti di tutte queste donne per raccontare il femminicidio per quello che è: una gravissima questione sociale e politica che il nostro Paese non sta affrontando in modo adeguato, emergenza di un’enorme violenza diffusa, variegata e sottaciuta che colpisce una donna su 3.

Quel pochissimo che stiamo facendo, e che Rashida Manjoo, inviata dell’Onu è venuta recentemente a indagare, non sta affatto funzionando.

Siamo capaci di riconoscere l’esistenza del razzismo, perfino quella dello specismo, ma il sessismo resta un tabù.

Stefania Noce, ammazzata da un fidanzato che “l’amava più della sua stessa vita”, è diventata un simbolo.

Non solo perché era conosciuta come giovane femminista di “Se non ora quando”, ma soprattutto perché la sua storia dimostra che la consapevolezza non basta a salvarti la vita.

E’ solo la consapevolezza degli uomini che può salvarci la vita. E’ solo l’assunzione da parte loro della violenza sulle donne come questione maschile.

Dice Marisa Guarneri, presidente della Casa delle donne maltrattate di Milano –uno degli storici centri antiviolenza che da anni non ricevono più finanziamenti- che “ci vogliono uomini che controllino gli uomini”, intendendo forze dell’ordine che fermino gli stalker, assassini annunciati.

Ma ci vogliono anche uomini, tanti, che sappiano dire “I care”, che non voltino più la faccia dall’altra parte, disposti ad assumere il problema e a riconoscere che la violenza non può più essere letta come la patologia di alcuni.  

E se è vero che il disagio di cui le donne subiscono le terribili conseguenze è maschile, è su questo disagio che si deve lavorare.

Anche il lavoro di prevenzione va ri-orientato sugli uomini e fra-uomini”. 

Corpo-anima, Donne e Uomini, economics, lavoro Marzo 6, 2012

Un Ottomarzo di m…a. Eppure…

contrattacco

 

Un Ottomarzo di m…a.

Stamattina comincio con l’apprendere che, sbattendosene completamente di tutto, delle contestazioni, dell’imbarazzo del segreatario generale di Expo Loscertales («Je saisis cette occasion pour vous rassurer quant à l’importance accordée par le Bie à la représentativité de
toute la société civile au sein d’une Expo dont les valeurs essentielles sont l’universalité et l’éducation…») l’Innovation Advisory Board di Expo, ovvero il tavolo dell’ INNOVAZIONE sul tema della NUTRIZIONE (che è come dire donna e donna) resta un tavolo omosessuale composto di soli uomini. A meno di novità dell’ultim’ora: perché devono esserci delle novità, vero sindaco Pisapia? Loscertales ci ha risposto in ue giorni, puoi farlo anche tu? Assessore, che abbiamo mandato lì con una dura lotta: ci siete? Potete farvi sentire?

Mi dice un uomo a me caro, Ad padre di 3 figlie, che quando cerchi di infilare delle donne in un cda, immancabilmente la risposta è: “E che c’entra il sesso?”. Appunto: come mai allora solo il sesso maschile?

Poi leggo degli ultimissimi casi di femminicidio: dopo la strage di Brescia, Piacenza e Verona. Questo 2012 è un massacro. Un’escalation senza precedenti. E non si sta facendo nulla. Il minimo che si dovrebbe fare, visto che quasi sempre il femminicidio è preceduto da stalking, è prendere lo stalker e obbligarlo a una terapia. La denuncia non basta. Quelli sono bambini di 80 o 90 chili che non riescono a gestire l’abbandono. Vanno aiutati a metabolizzare. La denuncia da sola gli fa saltare i relais e li incattivisce ancora di più. Vanno curati, accompagnati. Contro il femminicidio serve prevenzione. E invece nulla, non succede niente. Figurati se ci sono soldi da spendere per evitare che le donne vengano ammazzate.

Poi leggo Maurizio Ferrera che sulla prima del Corriere conferma, come dicevo l’altro giorno, che il governo Monti non sta facendo abbastanza per le donne, non le sta mettendo al centro della riforma del lavoro, non investe su lavoro e servizi, non fa delle donne il perno della crescita e dell’innovazione. E noi 188 idiote che abbiamo firmato la lettera alla ministra Fornero perché intervenga sulle dimissioni in bianco siamo ancora qui ad aspettare. E che cosa c’è da aspettare, Fornero? Sai come farei io? Al prossimo consiglio del Ministri andrei e picchierei il pugno sul tavolo, metterei lì la mia testa e direi: “Di qui non si esce se non risolviamo questa faccenda, se non rimuoviamo da subito questa incredibile ingiustizia”.

Un Ottomarzo di m…a.

Eppure io sono piena di fiducia. Sono colpi di coda feroci di un mondo morente.

Non dobbiamo lasciarci scoraggiare. Non dobbiamo lasciarci intimidire.

Tutto andrà precisamente come deve andare.

Donne e Uomini, esperienze Gennaio 25, 2012

Una fiaccola per Stefania Noce

Stefania e il suo assassino

Pensando a Stefania Noce, e alla fiaccolata contro la violenza di stasera in tantissime città italiane, vi ripropongo alcune riflessioni su questi temi che ho proposto a un convegno organizzato dall’Ordine degli avvocati di Milano alcuni mesi fa. In un certo senso questa è la mia fiaccola… Stasera a Milano, in piazza Mercanti, ore 18.30, ne accenderò un’altra.

 

…. C’è una violenza sommersa sulle donne, quella che non arriva nelle questure e nei pronti soccorsi perché non lascia segni fisici apparenti. E’ molto impressionante leggere che in un solo anno in Italia il 73 per cento delle donne tra i 16 e i 70 anni è stato afferrato e strattonato dal partner, il 43 per cento minacciato fisicamente, il 20.6 per cento preso a pugni o calci. Il più della violenza che le donne subiscono sta qui, è diffusissima, e tace.

Questa roba non arriva dai carabinieri o nei pronti soccorsi. Questa roba finisce direttamente nel corpo delle donne, e quasi sempre resta lì. Anche quello che potrebbe sembrare molto meno di questo, la violenza psicologica, gli insulti, i soprusi morali, l’intimidazione, la mancanza di rispetto, la paura, finiscono nel corpo della donna e diventano ansia, depressione, disturbi psicosomatici con particolare riferimento, mi dicono gli addetti ai lavori, ai disturbi gastrointestinali.

Ecco, pensando che più o meno tutte le donne vanno dal medico di base, sarebbe molto importante che i medici di base fossero preparati a decodificare questi segni di sofferenza in una logica di esternalizzazione simile a quella del mobbing: capire se c’è qualcosa che non sta funzionando nelle relazioni di una donna, non chiudere subito la pratica con psicofarmaci o antiulcera, perché in questo modo si finisce inconsapevolmente per continuare il lavoro dell’aguzzino.

Vi confesso un certo disagio a parlare di violenza sulle donne. Posso immaginare come si sentono le donne che si occupano professionalmente di violenza, le mediche, le avvocate, le volontarie, come l’amica Marisa Guarneri che da moltissimi anni, senza alcun sostegno pubblico, gestisce con grande competenza la Casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano, e a cui a nome di tutte voglio esprimere particolare gratitudine.

Essere crocifisse a occuparsi di queste cose, una donna uccisa ogni tre giorni da un marito, fidanzato, padre, somiglia un po’ alla vittimizzazione secondaria. Le donne subiscono violenza, e la devono anche spiegare. E voi capite che dallo spiegare al doversi giustificare il passo è breve. Si rischia di scivolare verso una cosa tipo: che cosa fanno, o che cosa non fanno le donne, per essere molestate, violentate, uccise? Qual è la loro responsabilità in questo?

Ora, come mia responsabilità io sento quella di spostare radicalmente l’asse del discorso. Per un certo tempo il fatto che le donne si siano occupate della violenza che subivano dagli uomini ha avuto senz’altro il suo senso, e in buona parte ne ha ancora: il senso è stato quello di portare alla luce l’orrore, valutarne le dimensioni, fare le leggi, perseguirlo e punirlo –cosa che, purtroppo, come si vede non è bastata a fermarlo-. Ma questo lavoro ormai è arrivato alle corde. Noi donne –violentate, molestate e semplici osservatrici-narratrici- abbiamo detto al riguardo pressoché tutto quello che c’era da dire.

La parola, a questo punto, andrebbe senz’altro passata ai violenti. Sarebbero loro a doverci raccontare, spiegare, motivare. La violenza sulle donne è un problema degli uomini, non delle donne. Anche questo è un modo per liberare le donne dalla violenza: riconoscere che la questione non è loro, ma è maschile. In caso contrario, il ragionamento che ci sta sotto è questo: c’è qualcosa di fatale, immodificabile, una specie di dato di natura, che è la violenza degli uomini. E’ un fatto che non si discute. Poi ci sono le donne, che devono stare attente a non finirci dentro, girare al largo da questa cosa, diventare astute, organizzarsi, fare in modo che la cosa non capiti loro, e se disgraziatamente gli capita, devono trovare i modi per uscirne, per superare il trauma, aiutarsi fra loro, avere degli esperti che diano loro una mano, e così via.

Non ci verrebbe mai da chiedere a un tizio aggredito per strada di analizzare e motivare l’aggressione che ha subito. C’è qualcosa di storto nel fatto di chiedere alle donne di spiegare qualcosa di cui sono vittime e di rimediarvi. Sono gli uomini che dovrebbero dire, raccontare, scandagliare, aiutarci a capire. Quando dico questo, la risposta più frequente è: ma io non ho mai stuprato, non ho mai picchiato nessuna. Vero. Non tutti gli uomini sono stupratori e violenti con le donne. Ma tutti gli stupri –o quasi- sono maschili. Si tratta di una faccenda che riguarda i maschi e la loro sessualità, e che in qualche modo prescinde dalle donne. Ha detto uno stupratore alla psicoanalista Marina Valcarenghi “il desiderio non era la donna, la donna non c’entra, ma lo stupro in sé… la donna c’entra perché nei fatti è una vittima, ma in quel momento il desiderio di stupro… non so come dire, è self made”.

Quella della violenza è una questione che ha a che fare con il dominio di un sesso sull’altro, e con il patriarcato morente. Bisogna guardare in faccia questa cosa e assumerla. C’è una psicoanalista che si chiama Julia Kristeva, la quale dice che quando una civiltà muore non ride nessuno: né quelli che in questa civiltà stavano dalla parte dei dominatori, né quelli che stavano dalla parte dei dominati. Quella donna fatta fuori ogni tre giorni nel nostro paese, ma anche le donne che subiscono violenza in paesi che riteniamo ben più civili del nostro, visti in una logica paritaria, come per esempio la Svezia –pensate alla trilogia di Larrson– sono lì proprio a raccontarci questa storia. Il patriarcato è finito. Non ridono i dominatori spodestati, ma non ridono nemmeno le donne, che subiscono i colpi di coda, il cosiddetto contrattacco, come l’ha chiamato l’americana Susan Faludi.

Quando dico che il problema è degli uomini, che nessuno meglio di loro conosce il mistero della sessualità maschile e di fronte a questo io non posso che osservare, fare un passo indietro e ascoltare quello che gli uomini hanno da dire, da parte degli uomini registro grossomodo tre tipi di reazioni negli uomini: la prima, diciamo così alla Larrson, decisamente minoritaria, che ammette che la violenza sulle donne è una questione che riguarda gli uomini, anche i non-stupratori, che non basta il fatto di non stuprare personalmente per lavarsene le mani. Ora, pare che Larrson da ragazzo abbia assistito senza intervenire a uno stupro messo in atto da alcuni amici. Non ha partecipato, quindi, ma non ha nemmeno fatto nulla per impedirlo. E sembra che questa esperienza sia stata decisiva per la sua vita e nella scelta dei temi di cui Larrson si è occupato nella sua fortunatissima trilogia. Un passaggio all’I care, me ne occupo, mi riguarda, che lui ha espresso letterariamente. E quindi un’assunzione intima, non esteriore, dolorosa. Ci sono uomini che sentono di essere, diciamo così, portatori sani di questa patologia di dominio che si esprime nello stupro, che poi altro non è che un’uccisione simbolica, o nell’uccisione reale, che sanno convivere con questa contraddizione tutta interna al proprio sesso, e che hanno cominciato a rifletterci. Pochi, ma ci sono.

Poi c’è la reazione silenziosamente maggioritaria: io non voglio parlare della violenza sulle donne perché non le stupro e non le picchio, quelli che lo fanno sono pochi pazzi malati, bestie, è un problema loro. La cosa li imbarazza, forse segretamente li addolora, ma questa reazione si esprime nel generale silenzio maschile sulla questione, nel voltare la faccia dall’altra parte, nell’evitare di parlarne e discuterne. Un silenzio imbarazzato che, io credo, esprime la consapevolezza che invece su queste cose ci sarebbe molto da dire e da fare.

Infine c’è una terza posizione, anch’essa minoritaria ma pericolosamente in crescita che è quella che ho definito “negazionismo”, in analogia con i negazionisti della Shoah: uomini che negano anche fatti acclarati, l’esistenza di un patriarcato con le sue logiche di dominio, e che sminuiscono la portata degli episodi violenti. Uomini organizzati in reti e blog, molto presenti onlin

Tu puoi anche provare a discutere con un negazionista –io l’ho fatto, accanitamente-, portargli dati, statistiche, evidenze storiche, prove documentali. Niente. La sopraffazione maschile non è mai esistita. Il fatto è che stanno militando, è un’ideologia, e contro le ideologie la ragion non vale. C’è anche di peggio, volendo. Tipi assurdi che caricano su Youtube i loro comizi contro il c.d. nazifemminismo.

Questa posizione è molto interessante perché dice almeno due cose: la prima, è che la violenza che si vorrebbe negare o minimizzare è invece assunta come un dato di natura, quindi viene paradossalmente ammessa come qualcosa che fa parte della sessualità maschile, intesa come immodificabile; la seconda cosa che dice è bene espressa dalla rabbia con cui i negazionisti scrivono e parlano, come per volersi liberare da questa cosa, come uno strappo, un non saper convivere con questo aspetto odioso della propria natura.

La soluzione del problema ma la riduzione del danno si otterrà solo parallelamente a una ridefinizione dell’identità maschile, della sessualità maschile, della cosiddetta virilità, fuori da una logica di dominio. Ci arriveremo solo quando a questo mondo si potrà essere pienamente un uomo senza dover puntellare la propria identità sul dominio e sul controllo dell’altra. Quando un uomo troverà un altro scheletro capace di sorreggerlo efficacemente e onorevolmente.

E’ un lavoro immane che devono fare gli uomini, non possono farlo le donne al posto loro. Quello che io dico alle mie amiche è che finché gli uomini non avranno trovato il modo di salvare il loro onore, e uso proprio questa parola obsoleta e perfino un po’ oscena, ma qui abbiamo a che fare con delitti che si possono leggere anche come delitti d’onore, finché non avranno trovato il modo di salvare il loro onore pur avendo perso la loro posizione dominante, io credo che non ne usciremo. Ma come ti insegnano quelli che conducono trattative di mestiere, anche al tuo nemico più acerrimo devi permettere di salvare la faccia se vuoi un armistizio, o meglio ancora la pace. E credo che questo le donne, a loro volta spesso ancora intrappolate in una vendicatività rabbiosa, facciano fatica a capirlo.

Nel frattempo, nella pratica quotidiana concreta, che cosa si potrebbe fare? Che cosa significa spostare il baricentro verso gli uomini, nel lavoro quotidiano sulla violenza? Marisa Guarneri, della cui competenza mi fido moltissimo, dice che oggi c’è un gran lavoro da fare sullo stalking, inteso come omicidio annunciato. Dal momento in cui la donna denuncia le molestie e le persecuzioni a cui viene sottoposta dal suo aguzzino, poi non viene adeguatamente accompagnata, la situazione non viene costantemente controllata. Lei dice: “ci vogliono uomini che controllano gli uomini”, intesi qui come forze dell’ordine che esercitino il controllo necessario sullo stalker e sui suoi movimenti. Ma non a caso, mi pare, lei non parla in modo neutro della questione, ne fa una “cosa tra uomini”, dove c’è una precisa assunzione del fatto che la cosa si gioca tutta all’interno della sessualità e dell’identità maschile, e dei suoi codici.

Forse anche il concetto di cura va almeno parzialmente riorientato sugli uomini e al fra-uomini: se è vero che il disagio è maschile, mentre le donne lo subiscono, è su questo disagio che devono puntare le strategie di prevenzione. La donna non c’entra, come dice quello stupratore. Abbiamo visto che oggi la gran parte di questi delitti vengono concepiti da uomini abbandonati, incapaci di fare i conti con la novità storica del ripudio femminile, di elaborare il lutto di una separazione voluta unilateralmente dalla partner. C’è esperienza terapeutica su violentatori e assassini in carcere, pratica purtroppo non sufficientemente diffusa, da cui potrebbe prendere spunto un grande lavoro di prevenzione.

Non spetta a me indicare le modalità operative di questo intervento, ma per esempio mi vengono in mente dei centri di ascolto e di accompagnamento diffusi sul territorio, dove gli uomini possano mettere in comune la loro sofferenza in caso di abbandono, essere accompagnati nell’accettazione e nell’elaborazione di questo lutto, trovare in se stessi una risposta diversa dalla persecuzione fino all’uccisione della partner. Dei luoghi per un “tra uomini” in cui possa esserci scambio, relazione, condivisione, in cui queste faccende private possano essere messe in comune (molti uomini non hanno nessuno a cui confidare le loro pene più intime, non posseggono nemmeno un lessico a cui ricorrere, una rete di protezione amicale su cui confidare, e spesso devono ricorrere alla mediazione femminile).

Ci vorrebbero dei luoghi in cui gli uomini siano protagonisti sia del loro problema sia della possibile soluzione, dove ci siano uomini che si prendono cura degli uomini. Ecco, questo mi pare una possibilità da esplorare.

Ma il primo passaggio, anche qui, ineludibile, sarebbe quello di riconoscere come patologico il fatto di pensare a una donna, quindi a un altro essere umano, come a un oggetto da possedere ed eventualmente da distruggere, una cosa a cui non si riconosce una soggettività, ovvero la possibilità di desiderare autonomamente, che è la sorgente di ogni soggetto. La strada è quella dell’eradicazione definitiva di questo senso di possesso e di dominio dell’altra, che, legge o non legge, uno si sente titolato a esercitare, secondo un modello virile solo relativamente intaccato. Anche qui, quindi, non si può prescindere da una pratica intensa e profonda di sé, che le donne possono soltanto osservare, e rispettare”.

 

 

 

Donne e Uomini, esperienze Dicembre 29, 2011

Violenti per caso

Stiamo discutendo di violenza maschile sulle donne. Un amico, Gabriele, riflette ad alta voce su se stesso. Una volta ha picchiato una donna. Vuole provare a raccontare come è successo, provare a darsi qualche spiegazione, dire alle donne come capita, e come difendersi. E’ un gesto a suo modo generoso, a cui va dato valore.

Dirò qualcosa a proposito degli omicidi commessi da uomini che fino al giorno prima non hanno mai praticato violenza, di quelli cioè che non vivono in culture di codici barbari e che giornalmente, almeno formalmente, d’avanti gli occhi del loro microcosmo, indossano atteggiamenti patriarcali maschilisti e per i quali certamente l’esposizione a modelli ancor più può determinare in un momento anche solo di grande rabbia una tragedia.
Non appartengo alla tipologia de ‘ è lo stupro in se che eccita’, semmai appartengo a quell’altra che ‘se la donna non si eccita non riesco ad eccitarmi neanche io’. Anche uno come me può però arrivare ad usare le mani, mi è successo, purtroppo, credo anche che non si possa mai più ripetere e che non sarei mai arrivato ad un omicidio e questo giusto perchè fortunatamente quella volta non ho mai perso del tutto il contatto con la realtà. Se fossi stato di struttura psicotica il potenziale di aggressività che mi trasformò lungi da ogni possibile previsione in altro da me per un paio d’ore mi avrebbe certamente portato ancora oltre. Questo ennesimo episodio di un paio di giorni fa mi ha fatto tentare una spiegazione, perlomeno al mio crimine, non una giustificazione, non c’è giustificazione all’uso della violenza. “L’arma degli incapaci”: anche questo è vero, avevo tentato come potevo di affrontare il dolore, prendendomela con l’altro, per esempio, una persona assente, sconosciuta, e mantenendo innocente colei che mi si ripresentava d’avanti. Il dolore, immane, è già immaginare la tua donna, quella che ami più di te stesso con le gambe allargate ad un altro che non l’ama ma si sta passando un capriccio. Quella la consideri violenza ‘a sua insaputa’ e ti accende, perchè forse l’atto sessuale lo consideri una ‘tenera violenza’ lecita tra chi si ama, che hai costruito di modo che a lei sia graditissima, sacrilega se perpetuata con l’inganno da terzi. Tutte cazzate ma tu ci credi.

A quel punto hai già perso un po’ il contatto con la realtà, sei entrato in una spirale senza fondo di rimuginamenti, non mangi, non dormi sei iperlucido, sempre, ti si alza la pressione arteriosa …. sei alterato. Succede allora che se lei diventa violenta, prevaricatrice, vuole che gli consegni il tuo cell per cercare di dimostrarti che anche tu …. e invece non è vero che tu ….. ti strappa i capelli: funziona come un detonatore. Poi stai male, malissimo, provi a darti gli stessi schiaffi per sapere che male le hai fatto, sei stato attento a non colpirle il naso, le orecchie, pensi che siano stati colpi ben assestati, di quelli che fanno un po’ di rumore e provocano un piccolo shock, di quelli che le possano far tornare la ‘ragione’ …. ma sei più tu che l’hai persa e lei ha il viso gonfio.

Probabilmente questo tipo di dinamica anche una ennesima dichiarazione d’amore, lei lo sente, l’hai terrorizzata e pur dicendoti che ti avrebbe denunciato l’hai pure accompagnata al pronto soccorso e lei all’ultimo momento dichiara di essere stata aggredita da uno sconosciuto … tu sei rimasto la, pronto a scontare la tua colpa, il carabiniere di turno ti osserva e tu ti senti puro e pronto a scontare allo stesso tempo. L’hai accompagnata a casa, fortunatamente solo qualche edema superficiale, lei è ancora terrorizzata, senza parole scompare per riapparire dopo meno di una settimana; mentre tu eri ridotto a una bestia è riuscita a contare tutti gli schiaffi che le hai dato, sa che tu la ami: questo è ancora un momento pericolosissimo per le donne. Già, quando il tuo ragazzo si altera e comincia a discutere animatamente come non ha mai fatto è arrivato il momento di allontanarlo fisicamente, di non restare quantomeno appartati. Quando si innesca una certa dinamica, appena si intravvedono i primi segnali di trasformazione, la donna dovrebbe andare via, dovrebbe essere preventivamente preparata a riconoscere e a monitorare questi segnali, mettere da parte l’affettività ed usare solo il raziocinio. Poi c’è sempre tempo per ricucire una cosa ricucibile.

A noi uomini non psicotici, le madri, gli insegnanti e operatori ad hoc dovrebbero impartire una educazione sentimentale, spiegarci che le donne hanno tutto il diritto di fare le stesse cazzate che facciamo noi, che hanno tutto il diritto di giocare con i sentimenti, che non è soltanto un gioco esclusivo nostro e tante altre cose che in parte, un po’in tutte le fasce sociali ci sono sembrate appannaggio esclusivo. Anche alle donne si potrebbe spiegare che l’amore, quello per gioco, quello ‘vero’ e perfino quello matrimoniale non prevede obblighi, discussioni controvoglia né violenza verbale.

Prendetela come una testimonianza che può aiutare a comprendere la fenomenologia”.

 

Mi colpiscono in particolare tre passaggi di questa autocoscienza:

la violenza su di lei come un fatto “tra uomini”, io la intendo così, lei che viene punita perché con il suo comportamento costringe alla rottura del patto tra maschi e riporta all’odio fratricida

l’avvertimento che lui dà alle donne, perché imparino a cogliere i segnali di pericolo

la “supplica” alle madri, perché possono molto: da madre di figlio maschio dico che è vero, le madri possono molto, e vanno aiutate a potere, vanno supportate dai padri coscienti, dalla scuola, dalla cultura.

Donne e Uomini, TEMPI MODERNI Dicembre 28, 2011

Non sta funzionando

Con Stefania Noce i gradi di separazione sono pochi. Aveva 24 anni, viveva dalle parti di Catania con la mamma e i nonni e come vedete era bellissima, leggeva Il Fatto online, era in rete con Se non ora quando, avevamo qualche amico in comune su Facebook. Le ultime parole che ha lasciato in bacheca, poche ore prima di essere ammazzata, sono state: “Ciò che non si può dire in poche parole, non si può dire neanche in molte”.

Ieri mattina il suo ragazzo, Loris Gagliano, anche lui 24 anni, l’ha riempita di coltellate perché lei aveva deciso di lasciarlo. Ha ammazzato anche il nonno della ragazza, intervenuto per difenderla, e ha ferito in modo grave la nonna. L’hanno preso poche ore dopo, con i vestiti ancora insanguinati.

E’ umano sentirlo di più quando ti capita così vicino, e a una ragazza tanto giovane, tanto impegnata e così bella. Vorresti aprire la testa e il cuore a quel disgraziato del suo assassino, studiare bene il meccanismo, capire quello che scatta, provare a disinnescarlo perché non succeda più, arrivare un attimo prima, perché la tragedia non si compia.

Succede in media 120 volte l’anno, un giorno sì e due no, che un uomo ammazzi una donna in questo Paese. Nel 2010 sono state uccise 127 donne, il 7 per cento in più rispetto all’anno precedente, escludendo i casi irrisolti, le donne scomparse, le vittime della tratta.  A uccidere sono stati mariti (22 per cento), ex (23 per cento), compagni o conviventi (9 per cento), figli (11 per cento) e padri (2 per cento).

La violenza finale è solo l’apice di altre violenze subite e taciute.  Il delitto è quasi sempre l’epilogo di un percorso.

Provo un grande sconforto. Quello che stiamo facendo contro la violenza non basta. Non sta funzionando.