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Corpo-anima, esperienze, salute Agosto 4, 2015

Estate, tempo di ipocondria

Pensieri disordinati e svagati sull’ipocondria, sindrome vacanziera (tutti partono, anche i medici, la città si svuota, se mi viene un coccolone a Salina come faccio, etc. etc.). Qualsiasi variazione dei ritmi abituali peggiora l’ipocondria.

Quel mio amico che in Grecia correva a perdifiato in lungo e in largo per il pronto soccorso in costume urlando (in italiano): “Sono un codice rosso! Ho un infarto in corso!”.

Quello stesso amico che -a suo dire- raggiunto dal mini aerosol di uno starnuto voleva tornare d’urgenza in Italia per sottoporsi a un check up completo.

L’ipocondriaco è anche un po’ medico: non vede l’ora di consigliarvi le medicine che con lui hanno funzionato. Adora intrattenersi in lunghe conversazioni con i farmacisti (i farmacisti, meno).

D’altro canto l’ipocondriaco pensa che tante medicine siano del tutto inefficaci, o che facciano molto male, o che il dosaggio sia sbagliato, o che l’indicazione terapeutica sia sballata. L’ipocondriaco è un avido lettore di bugiardini. C’è anche l’ipocondriaco leghista che non assume farmaci prodotti sotto il Po (già Bologna è troppo).

Esiste l’ipocondriaco psichico: semplice nevrotico convinto di essere sul punto di diventare pazzo.

Per l’ipocondriaco il momento della visita è il nirvana: finalmente qualcuno ha capito che non sta affatto scherzando.

Poi il medico ti dice che non hai nulla di che. Giusto un istante di comprensibile euforia, ma appena fuori dallo studio ti ripiglia l’angoscia. Pensi che non abbia capito niente e chiami tutti gli altri medici che conosci per un consulto e per sparlare di lui.

Ma anche quando il medico diagnostica un piccolo disturbo, l’ipocondriaco è certo che si tratti di sottovalutazione.

Un serio ipocondriaco è convinto che quasi tutti i medici siano inaffidabili e che si siano laureati a forza di 18 politici, e i tagli alla sanità lo terrorizzano. Anche le lastre non hanno fotografato bene e l’ecografo non era di ultima generazione.

All’ipocondriaco serve un team di amici medici comprensivi e disposti a essere svegliati in piena notte.

Esistono molti medici ipocondriaci, ma non ve lo diranno mai.

Sei convinto di avere un dolore sospetto a un braccio, cominci a contrarlo e a tenerlo sbilenco, nel giro di un paio d’ore ti farà male sul serio. Entri in un loop di misurazioni pressione: a ogni misurazione la trovi più alta, ti agiti sempre di più, arrivi a 100-200, chiami il tuo medico ma il cellulare è staccato, sei ormai a 110-220, ti parte una selva di extrasistole, e via così. L’ipocondriaco professionista è in grado di procurarsi rapidamente molti tipi di patologie.

L’ipocondriaco avverte una minaccia costante e la materializza in un disturbo fisico.

L’ipocondriaco fa in modo che nel suo gruppo vacanze ci sia almeno un medico, da torturare preferibilmente la notte quando gli altri dormono.

L’unico disturbo che l’ipocondriaco non cura mai è l’ipocondria.

Fissato su uno pseudo-sintomo, l’ipocondriaco può trascurare veri problemi di salute (ma questo è meglio non dirlo a un ipocondriaco perché potrebbe funzionare da detonatore).

Più che dal movimento fisico scarica-ansia, l’ipocondriaco trae giovamento da lavori di fatica tipo trasloco. Se dopo otto ore non sarà morto, per qualche minuto si convincerà di non stare così male, tutto sommato. Giusto qualche minuto.

L’ipocondriaco ha molto bisogno di coccole e rassicurazioni. Può funzionare anche: “Adesso ci hai rotto le balle. Non puoi infelicitarci la vita. Piantala subito o sparisci!”. Ma solo per poco. Prenderlo in giro non serve. L’ipocondriaco fingerà di ridere di se stesso, in realtà continuerà a stare malissimo.

In sostanza, l‘ipocondriaco vuole la mamma.

 Gli uomini e le donne sono colpiti nella stessa percentuale dall’ipocondria (2 per cento), e la fascia di età maggiormente coinvolta dalla malattia è quella tra i quaranta e i cinquant’anni.

Epigrafe ideale sulla tomba dell’ipocondriaco: “Ve l’avevo detto che non mi sentivo troppo bene”.

Ipocondriaci, parliamone senza inibizioni.

 

 

 

 

ambiente, italia, media, Varie Agosto 27, 2014

Previsioni sbagliate: l’estate del nostro scontento

Nel febbraio scorso avevo letto che l’estate sarebbe stata “bollente e secca”, fonte Cnr.

Ho temuto un nuovo 2003, condizionatori in tilt e vecchietti tutto il giorno al super per evitare malori. L’estate invece è stata nella norma al Sud ed eccezionalmente fredda e bagnata al Nord-Centronord, una fase ciclonica di cui non si vede la fine. Annata spaventosa per il vino, per il pesto -una specie di peronospora sta uccidendo il magnifico basilico ligure- e per le articolazioni.

Nel mio piccolo, date le previsioni e data la fonte -anche altri siti promettevano calura- ho deciso di abbreviare la mia permanenza al Sud, che avrei voluto ben più lunga, per trascorrere il più del tempo in collina al Centronord, in una casa ventilata e dalle mura spesse. Mentre sono qui che mi cospargo di antimuffa, penso che l’anno prossimo -non bastasse la crisi- potrebbe essere tragico per l’industria del turismo centrosettentrionale. 10 villeggianti per mq in Salento e Liguria deserta. Sempre nel mio piccolo, me il Nord non mi becca più.

Questo per dire che con le previsioni meteo non si scherza. Che sono diventate a pieno titolo, specie in un Paese come il nostro, turismo e agroalimentare in testa, un fattore economico di rilievo. Quindi, mettiamoci d’accordo una volta per tutte: se è vero, come pare, che oltre i tre giorni il meteo non si può prevedere, evitiamo di parlare di “tendenze” e di strologare sugli anticicloni di luglio e agosto. Tanto più che ho sentito con le mie orecchie un albergatore disperato progettare la costruzione di siti meteo autogestiti che promettano climi ideali in fase prenotazioni.

Sarebbe giusto dare qualche regola al settore previsioni. Affidandoci semmai alle macumbe, che a quanto asserisce il senatore Calderoli funzionano piuttosto bene.

 

Archivio Agosto 30, 2008

UN FILO DI LUCE

Più che il caldo, l’estate per me è luce. Datemi un raggio di sole e io mi ci piazzerò sotto perpendicolarmente. Al mare, in città, nevrotizzata da ogni nube di passaggio che ne smorzi momentaneamente lo splendore, fuggendo l’ombra come uno spreco inammissibile. Patisco molto agosto, le giornate che si accorciano nonostante la mia strenua resistenza, i nidi lasciati vuoti dalle rondini, la mancanza del loro garrito gioioso, luce impazzita che canta.
Be’, sei depressa, mi direte. Soffri di SAD, Seasonal Affective Disorder. Curati. Comprati una di quelle lampade terapeutiche e piazzatici sotto. Ingurgita un po’ di melatonina, trasferisciti all’Equatore. E finiamola lì.
Come si fa a guadagnare un po’ di luce anche per la lunga teoria di mesi oscuri che ci si prepara davanti? Il crudele colpo di coda del caldo settembrino. L’illusione di certe splendenti giornate di ottobre. Quei tre giorni striminziti a San Martino, o Indian Summer -chiamatela come volete- e poi giù a precipizio nel lungo e tetro mese dei morti, giorno dopo giorno, verso le interminabili notti del solstizio. Io dico che il momento più duro è lì, tra metà novembre e Santa Lucia. E a questo punto non c’è che accettare. E possibilmente dormire, dopo l’ebbrezza della veglia estiva.
Ma c’è modo, mi domando, di tenere vivo e teso quel filo di luce che ci ricondurrà allo sfolgorio di giugno? Come si fa a tenere viva la vita –le domande si equivalgono- pur sapendo che si muore?
Si deve essere un poco visionari, io credo. Sentire l’estate anche in certe luminose mattinate di dicembre, quando favonio o tramontana spazzano il pulviscolo cittadino. Condividere l’ostinata fiducia del sempreverde, dispensato dalla spoliazione stagionale. Seminare fin d’ora certe pianticine –il Cedrino, per esempio, o Capsicum annuum- che con qualche accortezza daranno fiori a Capodanno, piccoli commoventi corolle bianche. Prepararsi quotidianamente al nuovo giro della luce, quei luminosi tramonti di gennaio. Salutare il sole ogni giorno, dargli una mano, specialmente quando non riesce a spuntarla sulla copertura nuvolosa.
E’ cercare la luce che illumina. Il viaggio è la meta.

(pubblicato su “Io donna” – “Corriere della Sera”  il 30 agosto 2008)

Archivio Agosto 18, 2008

ESTATE METROPOLITANA

Di recente ho visto un film bello e poco conosciuto, “Guida per riconoscere i tuoi santi”, opera prima di Dito Montiel, premiata al Sundance Film Festival. Non fatevelo scappare, se vi capita. Lì tra l’altro si vede bene cos’è un’estate metropolitana. Asfalto bollente per i ragazzi di Queens. Spazzatura. Pelle sudata, birra, profumi dozzinali rubacchiati al drugstore. Le notti sotto il ponte, un bagno a mezzanotte con i jeans, il muro della piscina scavalcato. Una fetta di pizza fredda, il gelato che cola sugli avambracci. Sesso appiccicoso negli androni. Pianto di bambini che non prendono sonno. La violenza di un amore che sta finendo. Moto smarmittate nei tunnel. Il metrò che ruggisce. Qualcosa che sembra mare in fondo un prato bruciacchiato.
Non sa che cos’è l’estate, chi non ha mai vissuto la ferocia di un’estate metropolitana. I piedi a bagno nelle fontanelle. Il giorno che non muore mai. Un morso disperato d’anguria. Ventagli di plastica. Le gambe gonfie delle donne. Sedativi. Uomini in canotta che fumano sui balconi. Condomini. Finestre illuminate di notte. Tv accese. Treni. Domeniche deserte. L’aria condizionata di un cinema. Dentista d’urgenza. Strane amicizie in ufficio. Parlarsi da una scrivania all’altra. I parchi. Formiche che ti salgono per le gambe. Rimmel che cola. Schiene nude. Rimpianti. Supermarket deserti. Vecchi che camminano al braccio di floride ragazze ucraine. Alberi senza vento. Sole. Piazze metafisiche da traversare in fretta. Ombra soffocante sotto i portici. Cose immobili dietro le serrande chiuse. Rondini acquattate. Gatti senza niente da bere. Immigrati nelle laundrette. Musiche da lontano. Cassonetti colmi, cocci di bottiglia. Silenzio senza pace. Cieli di latte. Un turista che si è perso. Le fermate dei bus. Zanzare. Acqua che cola da un balcone. Assenze. Sedie vuote di plastica nei bar. Fiori che seccano nei cimiteri. Velate che camminano solennemente. Le braccia bianche delle portiere che spazzano.
Non sa cos’è l’estate, chi non ne ha mai passate in città.

(pubblicato su “Io donna”-“Corriere della Sera”, il 9 agosto 2008)

Archivio Maggio 29, 2007

TURISTI A SETTEMBRE

Tutt’altra cosa, i turisti a fine stagione. Discreti. Meno svestiti. E anche meno “vestiti”. Girano per paesi e città con passo lieve. Naso in su, zainetto, guida in mano. Non schiamazzano. Non vanno al Twiga. Si alzano presto, il mattino, e spalancano subito le finestre, rabbrividendo per la frescura, abbagliati dal sole radente che non abbronza più. Sorseggiano il cappuccino guardando il mare. Leggono buoni libri sulle terrazze e nei bar. A tavola assaporano. Spendono con moderazione. Il pesce è più fresco, il vino più schietto. Un’ebbrezza dolce, meno feroce. Gli eccessi dell’estate sono un’eco alle spalle, malinconica come un fantasma d’amore.
E’ un buon diavolo, il turista a fine stagione. Bisognerebbe prenderlo a modello. Lontano dalle passioni, ma non al punto da non sapere che cosa sono. Distaccato, ma senza fanatismi. Capace di compassione per se stesso e per gli altri.
Ottobre, lo vedete, è già un’altra cosa. Mese fattivo, progettuale,
metropolitano, nervoso. Più caldo di settembre, tante volte. Certe ottobrate torride, come una rivincita beffarda dell’estate, cravatte allentate e giacche sul braccio. Ma è settembre che ha da insegnare, con le sue eleganti lontananze. Che tutto finisce, ma valeva la pena di essere vissuto. E poi, quante belle canzoni. “September song”, “September”, “29 settembre”. Forse nemmeno maggio ha avuto tanto.
(pubblicato su “Io donna”- “Corriere della Sera”)