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casa delle donne maltrattate di milano

Donne e Uomini, femminicidio, Politica, questione maschile Maggio 14, 2013

Femminicidio Show

 

L’orrore che vedete qui è il monumento alla Violata, fortissimamente e improvvidamente voluto dalla Commissione Pari Opportunità della Regione Marche e collocata sul lungomare di Ancona.

“Orrore” non tanto per le qualità estetiche del manufatto, quanto per l’insieme dell’operazione: alcune migliaia di euro, di cui la lotta alla violenza -quella vera- avrebbe massima necessità, investite in un aggeggio inutile, vagamente porno, e che oltretutto non comunica il vero. E cioè il fatto che la maggior parte delle violenze sulle donne avviene tra le mura domestiche a opera di qualcuno a cui la donna è affettivamente legata. E non da parte di uno sconosciuto per la strada, come lascerebbe supporre la signorina verde con borsetta.

La spettacolarizzazione mediatica di violenza e femminicidio non sta portando risultati concreti, e anzi è causa di problemi.

Instant-book, format tv, show, associazioni e sportelli che nascono come funghi, esperte improvvisate che mettono in piedi progetti pariopportunistici al solo scopo di intercettare finanziamenti comunitari, una specie di business della violenza. Oltre al vittimistico attaccamento al tema, che impegna la grande parte delle energie politiche femminili. Un diffuso e universale piagnisteo che satura l’attenzione e fa immaginare che sulla violenza si stia facendo molto. E invece si sta facendo poco, e male.

Presidente onoraria della Casa delle donne maltrattate di Milano aperta ormai 25 anni fa, Marisa Guarneri esprime ad alta voce tutta la sua “indignazione per quest’ultima spiaggia delle pari opportunità, che non hanno saputo far guadagnare alcuna libertà alle donne. Oggi sembra che per parlare e agire sulla violenza non serva alcuna preparazione. Ma se si vuole davvero lottare contro il femminicidio e la violenza serve altro”.

Mentre una ragazza di vent’anni sta lottando tra la vita e la morte dopo che il compagno le ha spappolato la milza a calci, una pensionata è ricoverata in ospedale per essere stata accoltellata a freddo dal marito ottantacinquenne, una bambina di 11 anni è scappata da casa, a Cornate d’Adda, dove il padre aguzzino la violentava da due anni, e una donna di San Giuliano milanese è stata sequestrata, torturata, picchiata e stuprata dall’ex-convivente (sono solo gli ultimissimi casi di cronaca), vediamo un po’ di dati veri -niente show- stringendo l’obiettivo sulla realtà milanese. La Lombardia, con le sue 19 morte ammazzate del 2012 (su un totale di 120), si piazza sorprendentemente in cima alla sanguinosa classifica.

Sulla base del suo osservatorio -220 donne accompagnate nel percorso di uscita dalla violenza nel 2012- la Casa delle donne maltrattate segnala l’86.8 per cento di casi di violenza psicologica, il 70,9 di violenza fisica, il 25.9 di violenza economica, il 15 per cento di stalking e il 13 per cento di violenza sessuale, nella stragrande maggioranza dei casi agita da un uomo ben conosciuto e tra le mura di casa (i vari tipi di maltrattamento possono coesistere).

Il 67 per cento delle donne viene maltrattata in casa, nel 46 per cento dei casi l’aguzzino è il marito, si sale al 52 per cento contando gli ex-mariti. Nel 18 per cento si tratta del convivente e nel 4 per cento dell’ex.

Il maggior numero di violenze si concentra tra i 28 e i 47 anni, fascia d’età in cui la donna è socialmente più attiva, e quindi più autonoma. Nel 59 per cento dei casi la donna lavora: non basta a preservare. Ha una scolarità alta nel 35 per cento dei casi, e media per il 17.7 per cento: il titolo di studio non è una variabile significativa.

Le straniere sono il 31 per cento delle assistite.

In 8 casi su 10 non ci sono problematiche di dipendenza da alcol o droghe, né prostituzione, né si rilevano disturbi psichiatrici: tutti luoghi comuni da sfatare.

Solo il 30 per cento delle maltrattate denuncia: il 67,2 non lo fa (più del 3 ritira la querela): le donne non credono che denunciare le metta in sicurezza, “sentono” anzi di essere a maggior rischio dopo aver denunciato –ed è effettivamente così-. Molte sono costrette a continuare a vivere sotto lo stesso tetto con il denunciante, in assenza di provvedimenti di tutela immediata.

Ma i dati più sconcertanti emergono dalla ricerca delle avvocate della Cadmi sui procedimenti giudiziari, da cui emerge che il goal della Procura milanese è l’archiviazione del maggior numero possibile di casi: le richieste di archiviazione sono aumentate in modo esponenziale, fino a superare il 50 per cento delle iscrizioni per i maltrattamenti in famiglia, ritenuti casi di banale conflittualità familiare. Nonostante il fatto che, come notavamo prima, solo in una minoranza dei casi e dopo un doloroso percorso la donna arriva alla denuncia.

L’avvocata della Cadmi cita per tutti il caso di un autorevole magistrato che ha inoltrato richiesta di archiviazione perché alla denuncia è allegato “un solo” certificato medico, e comunque potrebbe trattarsi di “legittima difesa” del marito.

La parola d’ordine è “sfoltire”. Eventualmente proponendo come alternativa la mediazione tra le parti (come se si trattasse di ordinaria conflittualità civile) a opera della polizia municipale (!) a cui manca la necessaria preparazione. E anche se la convenzione di Istanbul contro la violenza sessista, recentemente sottoscritta dal governo italiano, vieta espressamente la mediazione in quanto inefficace e pericolosa.

L’equivoco tra violenza sessista e conflitto familiare mette ulteriormente a rischio la vita delle donne, e chiede di porre la massima attenzione, oltre che alla questione urgente del finanziamento dei centri antiviolenza, al tema della cultura con cui le istituzioni –forze dell’ordine, magistratura, politica- stanno affrontando, almeno a parole, l’emergenza.

 

Casa delle donne maltrattate di Milano, via Piacenza 14, 02 55019609.

Per destinare il 5X1000, indicare il codice fiscale 97086840150   

 

 

Donne e Uomini, femminicidio, media, questione maschile Luglio 12, 2012

Il “caldo criminale” e altre panzane

a sassari la prima via intitolata a una “caduta” per femminicidio, monica moretti, giovane urologa uccisa nel 2002 da un suo paziente-stalker

 

Di fronte a una strage di donne che non ha precedenti nel nostro Paese (se continuasse a questo ritmo, entro fine anno si potrebbe registrare il 50 per cento in più di vittime rispetto al 2011), la Casa delle Donne Maltrattate di Milano invita le forze dell’ordine a prassi corrette ed efficaci, e richiama la stampa alla sua responsabilità. Richiamo al quale mi associo: continuare a parlare di “caldo criminale”, di “dramma della gelosia”, di “delitto passionale”, descrivendo questi crimini alla stregua di un’ineliminabile fatalità, di un male quasi-necessario, significa rendersene ideologicamente complici.

Femminicidio, certo, è una brutta parola, e i direttori dei giornali non amano vederla sulle loro pagine.  Ma è la parola giusta per descrivere questo orrore che sembra non avere mai fine.

 

COMUNICATO DELLA CASA DELLE DONNE MALTRATTATE DI MILANO

Ancora donne uccise: un massacro che si deve fermare

Milano, 12 luglio 2012

Nelle ultime settimane, purtroppo, i media hanno dedicato ampio spazio ai recenti fatti di cronaca
che ci raccontano di continui casi di violenza contro le donne. Questa violenza si è conclusa troppo
spesso con omicidi che hanno visto come vittime donne di diverse età ed estrazione sociale. Buona
parte di loro si era già rivolta alle Istituzioni denunciando la propria situazione e chiedendo aiuto.
La Casa delle Donne Maltrattate vuole ricordare ancora una volta che il momento in cui una donna
arriva a denunciare la violenza subìta è proprio quello più difficile e pericoloso.
È compito delle Istituzioni e delle Forze dell’Ordine attivarsi nei tempi più brevi possibili sin dalle
prime denunce senza mai dimenticare che il maltrattamento è un reato perseguibile d’ufficio la cui
notizia non può essere soggetta a ritiro di querela e deve comportare quanto più possibile
l’emissione di misure cautelari per evitare il compiersi di fatti più gravi.
È proprio in questo momento così delicato che la donna non deve essere lasciata sola a gestire una
situazione di pericolo, ma va indirizzata ai centri antiviolenza per una valutazione competente del
rischio e per poter essere supportata e accompagnata in questo difficilissimo percorso.
Il confronto con operatrici di accoglienza formate sul maltrattamento consente di dare risposte alle
richieste di aiuto della donna in modo diverso, mettendosi in relazione con lei.
Solo così si può cercare di evitare di arrivare alle conseguenze estreme che riempiono le pagine
delle cronache dei nostri giornali.
Purtroppo ci sono ancora testate giornalistiche che sottovalutano e minimizzano questi fatti fino al
punto di definirli causati dal “Caldo criminale”. E’ importante non dare mai una giustificazione alla
violenza contro le donne e smetterla con la consuetudine di scavare nella vita delle vittime e mai sui
colpevoli. E’ necessaria una grande sensibilità per non deviare la percezione
della violenza nell’opinione pubblica.
 

Donne e Uomini, femminicidio, Politica Maggio 7, 2012

Cominciare dai centri antiviolenza

 

Marisa Guarneri è Presidente onoraria della Casa delle Donne Maltrattate di Milano.  

Nel 1988, stanca di attendere l’esito dell’iter della legge sulla violenza -che giungerà a destinazione nel 1996- ha condiviso con altre due donne il desiderio di fare da subito “qualcosa di concreto”, dando vita all’associazione e al centralino antiviolenza, il primo in Italia.  Dal 1991 la Casa che offre anche ospitalità.

“Volevamo sperimentarci immediatamente sul tema della violenza in una pratica concreta di relazione con le donne maltrattate” dice. “Il nostro percorso è iniziato così”.

Che cosa pensi della stramobilitazione di questi giorni sul femminicidio, a partire dall’appello del comitato promotore di Se Non Ora Quando?

“Si è prodotto un salto simbolico significativo, e questo va senz’altro bene: tutto ciò che aumenta la coscienza del fenomeno è importante. Ma mantengo qualche riserva”.

Quale?

“In questi anni il discorso sulla violenza è aumentato e si è capillarizzato, eppure la violenza peggiora. Del sommerso sappiamo poco: la gran parte dei casi di molestie, percosse, stalking e stupro non vengono denunciati. Ma i femminicidi si vedono. E quelli sono in netto aumento”.

Come te lo spieghi?

“I colpi di coda del patriarcato, il dominio maschile… certo. Ma queste spiegazioni non bastano più. Il fatto è che a mio parere la violenza fa comodo”.

Comodo? E a chi?

Al sistema sociale nel suo complesso. Finché le donne si percepiranno come potenziali vittime di violenza, terranno basse le loro pretese, si accontenteranno di poco sul fronte del lavoro, dei servizi… In più la violenza sulle donne costituisce un’ottima valvola di sfogo delle tensioni sociali. Sei disoccupato, non ce la fai a tirare avanti? Puoi sempre scaricare la rabbia su tua moglie o sulla tua compagna. In sostanza, per battere davvero la violenza si dovrebbe ribaltare la società patriarcale. C’è poi un terzo elemento che va considerato”.

Quale?

“Intorno alla violenza sulle donne si è costituito un business notevole. Una sorta di indotto, un po’ come quello delle pari opportunità. Studi legali, psicologici, formazione, progetti finanziati dall’Europa… Un progettificio. Tanti si improvvisano per intercettare questi fondi. Anche noi delle Case, che operiamo concretamente e in prima linea–in Italia ce ne sono 60, nei capoluoghi di provincia- dobbiamo spesso rassegnarci a sfornare qualche progetto per integrare i finanziamenti, che non sono sufficienti”.

Vedi anche un eccesso di iniziative politiche?

“Il fatto che ogni donna si senta mobilitata va bene. Ma ci si deve dare obiettivi precisi”.

Indicane alcuni.

“Primo: andare a fondo, dialogando intimamente con uomini che si rendano disponibili a farlo, per comprendere da dove viene la violenza maschile, come si forma, come devono cambiare le relazioni tra i sessi. Noi stiamo facendo questo percorso con l’associazione Maschileplurale: ne parleremo tra qualche mese in un convegno a Milano.  Secondo: finanziare in modo adeguato e continuativo i centri antiviolenza, anziché promuovere convegni e ricerche a ripetizione che servono più all’autopromozione di questo o quel politico o di questa o quella associazione che a dare davvero una mano alle donne. Il mio sogno, per esempio, sarebbero centri in ogni quartiere, o anche camper, gestiti da donne e non dalle istituzioni, a cui ci si possa rivolgere con discrezione per parlare di sé, per ottenere ascolto e un primo orientamento”.

Voi lavorate molto sullo stalking… 

“Facciamo un monitoraggio costante, caso per caso. La donna ci tiene costantemente informate su quello che accade, sulle gesta del suo persecutore. Su questa base noi valutiamo insieme a lei il grado di pericolo. E quando è il caso, la convinciamo ad abbandonare la sua casa o addirittura a cambiare città. Abbiamo prevenuto svariati femminicidi, in questo modo. La gran parte delle uccisioni avviene dopo una “filiera” di violenze e molestie”.

Tutte oggi vogliono occuparsi di violenza: non c’è il rischio che questo tema “saturi” l’agenda politica delle donne, distraendo da temi come il lavoro e la rappresentanza? 

“Il tema, diciamo così, è “di moda”, e sta avendo grande risonanza mediatica. Ma le competenze sono indispensabili se si vogliono ottenere risultati. Serve un lavoro concreto, quotidiano, umile, tenace e consapevole. E lontano dai riflettori. E servono fondi certi per finanziare questo lavoro”.

 

postato anche da:

Giovanna Cosenza

Loredana Lipperini

Manuela Mimosa Ravasio