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angelo scola

diritti, esperienze, Politica, scuola Novembre 16, 2014

Omosessualità: la Chiesa cominci da se stessa

Dopo il caso della lettera della Diocesi di Milano che, nei fatti, sembrava invitare i prof di religione a collaborare alla “schedatura” delle scuole troppo liberal in tema di omosessualità, l’arcivescovo Angelo Scola corregge il tiro, ribadendo le scuse della Curia«per l’inappropriatezza del linguaggio» e sottolineando che l’intento era solo quello di conoscere la situazione: «Una posizione non omofoba, ma da cui non intendiamo recedere di un millimetro, come giusto in una società democratica. Noi abbiamo qualcosa da dire circa le conseguenze sociali e la questione dei diritti connessi a questo orientamento sessuale“. Scola ha ammesso che «La Chiesa è stata lenta sulla questione omosessuale“, e che si tratta oggi di aiutare “i 6 mila professori di religione della Diocesi a proporre la nostra visione di problemi come quello dell’educazione sessuale” nel rispetto del Concordato.

Non sono affatto tra coloro che chiedono alla Chiesa di ritirarsi da questo territorio, dalla politica e dal mondo. Su svariati temi, come la fecondazione assistita, sono più grata ai dubbi della Chiesa che alle certezze del laicismo liberistico (laicismo, non laicità).

Mi piacerebbe semmai che si osasse di più. Perché è vero che la Chiesa ha molto da dire in tema di omosessualità, ed è vero anche per il fatto che nella Chiesa ci sono molti omosessuali. Non si tratta, quindi, di guardare fuori da sé. Si tratta semmai di intraprendere una riflessione efficace proprio a partire da sé -come insegna il pensiero femminile della differenza-, assumendo la posizione autocosciente dell’osservatore che si osserva.

Non è provocazione, né gossip: dico solo che la percentuale di persone omosessuali all’interno della Chiesa è notevole, con ogni probabilità superiore a quella del “mondo fuori”. Sono molti i religiosi omosessuali, e chiunque frequenti la Chiesa ne ha esperienza. Ci si potrebbe forse spingere a dire che la Chiesa è la più omosessuale tra le nostre istituzioni, verosimilmente seguita dall’esercito. La Chiesa, quindi, non dovrebbe “saltarsi”, nel suo processo di conoscenza. Non può tenersi fuori dal campo di osservazione. Semmai, dovrebbe porre se stessa al centro di ogni indagine e interrogazione, conferendo in questo modo il massimo di verità al proprio intento conoscitivo ed educativo.

Diversamente sarà buon gioco dei suoi critici e dei suoi nemici stigmatizzare come ipocrite e negazionistiche le sue iniziative a riguardo.

 

 

 

AMARE GLI ALTRI, Donne e Uomini, esperienze, Politica Settembre 27, 2011

Guardate Milano!

L’altra sera vengo intervistata da una radio romana, e il conduttore fa riferimento alla rivoluzione maghrebina, a quello che succede nel Nordeuropa… “Guardate Milano!“, gli dico. Non riusciamo mai a vedere quello che abbiamo sotto il naso.

Qui si sta facendo la politica nuova. Qui, con enorme fatica, nella penuria ma anche con fiducia, stiamo davvero spingendo tutti insieme. La città resta stra-mobilitata, le occasioni di “partecipazione” -parola che non mi è mai piaciuta molto- si moltiplicano. Ieri sera, a una riunione dell’Agorà del lavoro c’era anche la giovane assessora Cristina Tajani, che aveva offerto la sede per l’iniziativa: “Non siamo noi che diamo a voi” ha precisato. “Sono le istituzioni che chiedono a voi spunti e suggestioni per nuove pratiche politiche”.

E’ questo il segno più grande di cambiamento. Questo sporgersi di chi sta dentro verso “fuori”, verso la città, ad ascoltare, a chiedere, a riconoscerne il primato. Questo mostrarsi bisognosi: gli assessori, il sindaco, e perfino il nuovo arcivescovo Scola (“Sosteniamoci, vi scongiuro“: così ha concluso l’omelia del suo solenne insediamento) che chiedono aiuto, che si mettono in posizione di secondi, di amministratori di una politica prima a cui finalmente si dà il nome di politica, e che fino a pochi mesi fa veniva liquidata come “volontariato” e tenuta ai margini. Quella è invece la politica di cui oggi i rappresentanti eletti si pongono al servizio. E’ un cambio di sguardo radicale. E’ il doppio sguardo, anche qui.

Tra i cittadini il desiderio di fare è talmente grande da non trovare canali sufficienti, e bisognerà inventarseli. Guardate Milano! E’ un laboratorio politico in atto, merita tutta l’attenzione. Perché quello che si sta facendo qui presto si farà nel Paese.

AMARE GLI ALTRI, Corpo-anima, Donne e Uomini Giugno 28, 2011

Con il cuore travagliato

Angelo Scola, Patriarca di Venezia, sia pure “con il cuore travagliato” lascia la terra di Marco e torna “alla base”, la Diocesi di Milano (è un lombardo di Lecco) come nuovo arcivescovo. Per presentarlo, per darvi un’idea della personalità di questo importante uomo della nostra Chiesa, ecco una conversazione illuminante, ricchissima di spunti, che ho avuto con lui alla vigilia del Natale 2009. Ve la ripropongo molto volentieri.

Potrebbe sembrare irriverente chiedere a un Patriarca se è vero, come dicono le femministe, che il patriarcato è morto. Ma Angelo Scola, Patriarca di Venezia, è uomo di un certo humour. “E’ con un patriarca che sta parlando” puntualizza. “Ma se per patriarcato intendiamo il sistema di dominio degli uomini sulle donne, direi di sì, che è finito, almeno nelle sue espressioni più clamorose e triviali. Ed è iniziato lo smarrimento maschile”.
Porporato tra i più vicini a Ratzinger e Wojtyla, indicato nel 2005 nella rosa dei papabili, oltre all’Università Lateranense ha guidato l’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e sulla famiglia. Ha sempre avuto a cuore le questioni dei rapporti tra i sessi, del “caso serio” dell’amore, come l’ha felicemente chiamato in un suo saggio, della posizione della donna nel mondo. E nella circostanza del Natale ne parla volentieri, tenendo al centro Maria, la donna di Nazareth, la cui avventura straordinaria, dice, è un paradigma per le donne e per tutti: “Maria, la donna. I misteri della sua vita”, edizioni Cantagalli è il titolo del suo ultimo libro. Il Cardinale ha anche un blog: www.angeloscola.it.
La coppia che il Patriarca ha visto più da vicino è stata quella che l’ha messo al mondo. Due giovani poveri come Renzo e Lucia, in quelle stesse terre lambite dal lago a Malgrate, di fronte a Pescarenico. Socialista massimalista con la terza elementare suo padre, nato contadino e poi camionista; la mamma operaia in filanda e poi guantaia, poca scuola anche lei ma una fervida fede. 55 anni insieme, e felici.

“… Realisticamente felici” tempera il Patriarca “come potevano esserlo un uomo e una donna nati all’inizio del secolo scorso. Si volevano bene come si usava allora, un bene radicato nei fatti, poco ostentato: io stesso non ho avuto molti baci. E crescendo ho saputo vedere anche i momenti di incomprensione, di dialettica. Eppure hanno passato insieme più di mezzo secolo”.

Crede che oggi dell’amore abbiamo un’idea non realistica?

“Direi surrealista, perché se ne sottovaluta la complessità e ci si arena alla prima difficoltà. E nello stesso tempo iperrealista: ogni particolare è esplorato fino all’esasperazione, e spesso si scambia la parte per il tutto. Ma creda: non sto piangendo sulle miserie del presente. Non sono un laudator temporis acti, non amo la querulomania dominante. Mi pare anzi che viviamo un tempo affascinante, di transizione, di scoperta. Di travaglio verso il nuovo, che non necessariamente è l’inedito”.

E di grande disillusione. Gli uomini sfibrati da domande femminili che non capiscono, rintanati in un regressivo tra-maschi, spesso anche sessualmente parlando. Le ragazze che tagliano corto fantasticando il fai-da-te procreativo: mamma e figlio intrappolati in un ossessivo pas de deux, senza nessuno che arrivi a disturbarlo…

“Che le donne si sottraessero a un’oppressione millenaria è stato giusto. Ma il prezzo ingiusto è stata la perdita della loro identità profonda. Quel talento che Giovanni Paolo II chiamava genio femminile: il fatto di saper tenere il posto dell’“altro”. Che non è un posto di seconda fila, attenzione. Tenere il posto dell’altro vuol dire essere il segnavia di quell’Altro per eccellenza che è Dio. Un compito grandioso”.

Nel posto dell’“altro” non si vuole più sedere nessuno: tutti vogliamo essere quell’“uno” accomodato nel bel mezzo del mondo, omologato al modello maschile. Le ragazze vogliono avere “le palle”, come se di gente con le palle non ce ne fosse già abbastanza.

“Ma se ci stanno a cuore il destino e la vita buona delle donne e degli uomini, tutti dobbiamo tutti prendere coscienza del femminile”.

E si può essere uomini e padri, fuori dal patriarcato? Questa, oggi, è la “questione maschile”: crollato il pilastro del dominio, su che cosa ci si regge?

“Si può, a patto di non cercare di abolire la differenza, che è una dimensione non esteriore ma interna all’io, in grado di rivelarlo davvero. Ed è dinamica, perché indica la capacità di spostarsi da un’altra parte. Quando la donna e l’uomo sono una di fronte all’altro fanno esperienza di un modo differente di essere persona. E sono chiamati a spostarsi dal proprio baricentro. La differenza sessuale tiene il posto del terzo. Il posto del figlio…”.

Questo è Lacan.

“Così si spiega l’amore, che non può essere ridotto al trasporto affettivo. Deve arrivare effettivamente all’amato, è chiamato a diventare oggettivo. Amare è volere il bene dell’altro. E un bene che libera, non che lega.

Un amore così chiede un lavoro.

“Be’, non è certo cosa da una sera a cena. L’innamoramento è ambivalente. Poi si tratta di scegliere. Anche il discorso sulla paternità sta qui dentro. Oggi l’uomo può ancora essere padre, ma va anche detto che la paternità è l’amore più difficile. Tanti mi dicono: anziché eminenza, possiamo chiamarla padre? Certo, dico io. Ma non credano di liberarmi da un peso. Padre è ben più impegnativo. Ne sento tutta la fatica, sono come un infante che balbetta. Credo che la vera questione tra uomini e donne sia questa: la madre deve saper condurre il figlio al padre. Deve saper fare questo dono a entrambi. Il figlio deve prendere coscienza del fatto che accanto alla madre c’è un altro, e fargli spazio”.

Fare i conti con l’Edipo.

“Per non usare la parola truculenta di Freud, “castrazione”, direi che il rapporto con il padre è il luogo del sacrificio. E’ il principio che struttura il desiderio, ma a condizione di una rinuncia”.

Parlando della coppia, ho visto che lei usa una parola che è anche di Luce Irigaray, maestra del pensiero della differenza: “ammirazione”. Nel senso di sapersi fermare ad ammirare la differenza dell’altro, di non cercare di ridurlo a sé, lasciando uno spazio. Parlare come una femminista la imbarazza?

“Tutt’altro. Mi ha molto colpito il modo in cui pensiero della differenza affronta la questione. La mia riflessione muove da un punto di partenza molto simile”.

Sono state invece le femministe a essere colpite quando nel 2004 l’allora cardinale Ratzinger pubblicò la “Lettera ai vescovi sulla collaborazione dell’uomo e della donna”. Quest’uomo almeno si sporge ad ascoltare, si dissero in tante, mentre la politica resta brutalmente sorda. La donna era definita “capace dell’altro”, e il dominio maschile una “perversione” del disegno di Dio; c’era un’idea molto ardita di libertà femminile, e una chiamata nelle stanze dei bottoni: come donne, però, non nei modi degli uomini, o tanto vale che ci stiano loro. Ma a questo omaggio cavalleresco non è seguito granché…

Gesù le donne le ha scandalosamente ascoltate. E l’attenzione del Santo Padre non manca. Se vi è un problema, a questo proposito, nella Chiesa, è lo stesso che esiste nella politica e nella società: e cioè il fatto che la questione del femminile non è pensata fino in fondo”.

Forse perché è un impensato che potrebbe rompere molti assetti. Peccato, perché oggi le donne sono affaticate, cercano l’aiuto dello Spirito Santo e finiscono per trovarlo nel buddismo, nel rebirthing… Nella nostra fede avremmo tutto quello che serve, ma c’è come un difetto di intimità, quando invece le donne, penso per esempio alle mistiche, hanno sempre avuto tanta confidenza con Dio. L’hanno sempre trattato come un parente, accudito come un figlio, o un amante.

“Maria è la prima a trattare Dio come familiare. E dice sì all’Angelo solo dopo aver interloquito criticamente con lui. Non è certo una sprovveduta. Se milioni e milioni di persone visitano ogni anno i santuari mariani è perché in quella ragazza trovano una via”.

Giacomo Rizzolatti, scopritore dei neuroni specchio, dice che la nostra neurofisiologia dimostra che l’individuo è un’astrazione. Che siamo sociali fin nella carne. E invece abbiamo questa passione per la singletudine. L’Occidente, qualcuno ha detto, è il terzo mondo delle relazioni.

“Il soggetto nasce con la modernità. Prima l’uomo rischiava di essere pensato come cosa tra le cose. Da allora i due piatti, la società e il singolo, sono in squilibrio costante tra un’esaltazione del collettivo a scapito dell’individuo, come nelle utopie violente del Novecento, e il culto della singolarità che vediamo oggi. La terza via è quella di costruire comunità virtuose. Perché l’io è relazionale fin dal concepimento. E’ il distacco da sé, non la solitudine, che lo potenzia. La grande risorsa dell’amore è questa”.

(pubblicato sul Corriere della Sera il 23 dicembre 2009)

Donne e Uomini, TEMPI MODERNI Dicembre 23, 2009

IL PATRIARCA E LE FEMMINISTE

Madonna_del_parto_piero_della_Francesca

Potrebbe sembrare irriverente chiedere a un Patriarca se è vero, come dicono le femministe, che il patriarcato è morto. Ma Angelo Scola, Patriarca di Venezia, è uomo di un certo humour. “E’ con un patriarca che sta parlando” puntualizza. “Ma se per patriarcato intendiamo il sistema di dominio degli uomini sulle donne, direi di sì, che è finito, almeno nelle sue espressioni più clamorose e triviali. Ed è iniziato lo smarrimento maschile”.
Porporato tra i più vicini a Ratzinger e Wojtyla, indicato nel 2005 nella rosa dei papabili, oltre all’Università Lateranense ha guidato l’Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e sulla famiglia. Ha sempre avuto a cuore le questioni dei rapporti tra i sessi, del “caso serio” dell’amore, come l’ha felicemente chiamato in un suo saggio, della posizione della donna nel mondo. E nella circostanza del Natale ne parla volentieri, tenendo al centro Maria, la donna di Nazareth, la cui avventura straordinaria, dice, è un paradigma per le donne e per tutti: “Maria, la donna. I misteri della sua vita”, edizioni Cantagalli è il titolo del suo ultimo libro. Il Cardinale ha anche un blog: www.angeloscola.it.
La coppia che il Patriarca ha visto più da vicino è stata quella che l’ha messo al mondo. Due giovani poveri come Renzo e Lucia, in quelle stesse terre lambite dal lago a Malgrate, di fronte a Pescarenico. Socialista massimalista con la terza elementare suo padre, nato contadino e poi camionista; la mamma operaia in filanda e poi guantaia, poca scuola anche lei ma una fervida fede. 55 anni insieme, e felici.

“… Realisticamente felici” tempera il Patriarca “come potevano esserlo un uomo e una donna nati all’inizio del secolo scorso. Si volevano bene come si usava allora, un bene radicato nei fatti, poco ostentato: io stesso non ho avuto molti baci. E crescendo ho saputo vedere anche i momenti di incomprensione, di dialettica. Eppure hanno passato insieme più di mezzo secolo”.

Crede che oggi dell’amore abbiamo un’idea non realistica?

“Direi surrealista, perché se ne sottovaluta la complessità e ci si arena alla prima difficoltà. E nello stesso tempo iperrealista: ogni particolare è esplorato fino all’esasperazione, e spesso si scambia la parte per il tutto. Ma creda: non sto piangendo sulle miserie del presente. Non sono un laudator temporis acti, non amo la querulomania dominante. Mi pare anzi che viviamo un tempo affascinante, di transizione, di scoperta. Di travaglio verso il nuovo, che non necessariamente è l’inedito”.

E di grande disillusione. Gli uomini sfibrati da domande femminili che non capiscono, rintanati in un regressivo tra-maschi, spesso anche sessualmente parlando. Le ragazze che tagliano corto fantasticando il fai-da-te procreativo: mamma e figlio intrappolati in un ossessivo pas de deux, senza nessuno che arrivi a disturbarlo…

“Che le donne si sottraessero a un’oppressione millenaria è stato giusto. Ma il prezzo ingiusto è stata la perdita della loro identità profonda. Quel talento che Giovanni Paolo II chiamava genio femminile: il fatto di saper tenere il posto dell’“altro”. Che non è un posto di seconda fila, attenzione. Tenere il posto dell’altro vuol dire essere il segnavia di quell’Altro per eccellenza che è Dio. Un compito grandioso”.

Nel posto dell’“altro” non si vuole più sedere nessuno: tutti vogliamo essere quell’“uno” accomodato nel bel mezzo del mondo, omologato al modello maschile. Le ragazze vogliono avere “le palle”, come se di gente con le palle non ce ne fosse già abbastanza.

“Ma se ci stanno a cuore il destino e la vita buona delle donne e degli uomini, tutti dobbiamo tutti prendere coscienza del femminile”.

E si può essere uomini e padri, fuori dal patriarcato? Questa, oggi, è la “questione maschile”: crollato il pilastro del dominio, su che cosa ci si regge?

“Si può, a patto di non cercare di abolire la differenza, che è una dimensione non esteriore ma interna all’io, in grado di rivelarlo davvero. Ed è dinamica, perché indica la capacità di spostarsi da un’altra parte. Quando la donna e l’uomo sono una di fronte all’altro fanno esperienza di un modo differente di essere persona. E sono chiamati a spostarsi dal proprio baricentro. La differenza sessuale tiene il posto del terzo. Il posto del figlio…”.

Questo è Lacan.

“Così si spiega l’amore, che non può essere ridotto al trasporto affettivo. Deve arrivare effettivamente all’amato, è chiamato a diventare oggettivo. Amare è volere il bene dell’altro. E un bene che libera, non che lega.

Un amore così chiede un lavoro.

“Be’, non è certo cosa da una sera a cena. L’innamoramento è ambivalente. Poi si tratta di scegliere. Anche il discorso sulla paternità sta qui dentro. Oggi l’uomo può ancora essere padre, ma va anche detto che la paternità è l’amore più difficile. Tanti mi dicono: anziché eminenza, possiamo chiamarla padre? Certo, dico io. Ma non credano di liberarmi da un peso. Padre è ben più impegnativo. Ne sento tutta la fatica, sono come un infante che balbetta. Credo che la vera questione tra uomini e donne sia questa: la madre deve saper condurre il figlio al padre. Deve saper fare questo dono a entrambi. Il figlio deve prendere coscienza del fatto che accanto alla madre c’è un altro, e fargli spazio”.

Fare i conti con l’Edipo.

“Per non usare la parola truculenta di Freud, “castrazione”, direi che il rapporto con il padre è il luogo del sacrificio. E’ il principio che struttura il desiderio, ma a condizione di una rinuncia”.

Parlando della coppia, ho visto che lei usa una parola che è anche di Luce Irigaray, maestra del pensiero della differenza: “ammirazione”. Nel senso di sapersi fermare ad ammirare la differenza dell’altro, di non cercare di ridurlo a sé, lasciando uno spazio. Parlare come una femminista la imbarazza?

“Tutt’altro. Mi ha molto colpito il modo in cui pensiero della differenza affronta la questione. La mia riflessione muove da un punto di partenza molto simile”.

Sono state invece le femministe a essere colpite quando nel 2004 l’allora cardinale Ratzinger pubblicò la “Lettera ai vescovi sulla collaborazione dell’uomo e della donna”. Quest’uomo almeno si sporge ad ascoltare, si dissero in tante, mentre la politica resta brutalmente sorda. La donna era definita “capace dell’altro”, e il dominio maschile una “perversione” del disegno di Dio; c’era un’idea molto ardita di libertà femminile, e una chiamata nelle stanze dei bottoni: come donne, però, non nei modi degli uomini, o tanto vale che ci stiano loro. Ma a questo omaggio cavalleresco non è seguito granché…

Gesù le donne le ha scandalosamente ascoltate. E l’attenzione del Santo Padre non manca. Se vi è un problema, a questo proposito, nella Chiesa, è lo stesso che esiste nella politica e nella società: e cioè il fatto che la questione del femminile non è pensata fino in fondo”.

Forse perché è un impensato che potrebbe rompere molti assetti. Peccato, perché oggi le donne sono affaticate, cercano l’aiuto dello Spirito Santo e finiscono per trovarlo nel buddismo, nel rebirthing… Nella nostra fede avremmo tutto quello che serve, ma c’è come un difetto di intimità, quando invece le donne, penso per esempio alle mistiche, hanno sempre avuto tanta confidenza con Dio. L’hanno sempre trattato come un parente, accudito come un figlio, o un amante.

“Maria è la prima a trattare Dio come familiare. E dice sì all’Angelo solo dopo aver interloquito criticamente con lui. Non è certo una sprovveduta. Se milioni e milioni di persone visitano ogni anno i santuari mariani è perché in quella ragazza trovano una via”.

Giacomo Rizzolatti, scopritore dei neuroni specchio, dice che la nostra neurofisiologia dimostra che l’individuo è un’astrazione. Che siamo sociali fin nella carne. E invece abbiamo questa passione per la singletudine. L’Occidente, qualcuno ha detto, è il terzo mondo delle relazioni.

“Il soggetto nasce con la modernità. Prima l’uomo rischiava di essere pensato come cosa tra le cose. Da allora i due piatti, la società e il singolo, sono in squilibrio costante tra un’esaltazione del collettivo a scapito dell’individuo, come nelle utopie violente del Novecento, e il culto della singolarità che vediamo oggi. La terza via è quella di costruire comunità virtuose. Perché l’io è relazionale fin dal concepimento. E’ il distacco da sé, non la solitudine, che lo potenzia. La grande risorsa dell’amore è questa”.

(pubblicato sul Corriere della Sera il 23 dicembre 2009).

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