Da ragazzina mi ero molto appassionata alla bioetica. In Italia era un’assoluta novità. Andavo a seminari con Maurizio Mori e Salvatore Veca. Mi affascinava di poter trovare soluzioni morali e ad un tempo logiche ai dilemmi che si aprivano quando si mettevano le mani nella pasta della vita, “giocando alla divinità”.

Oggi vedo la bioetica come un moltiplicatore -e non un semplificatore- di problemi. La sua fiducia in una meccanica morale rigorosa, nell’orologeria perfetta dei diritti contrapposti, nella possibilità di rimontare in una sorta di vita ipertestuale quello che viene smontato nella vita di carne, finisce paradossalmente per autorizzarci a spingerci sempre più in là, bypassando i limiti naturali: quello che viene disfatto in natura può essere ricostruito in un iperuranio logico. Ma la perfezione della natura è tale da poter contenere in sé anche l’imperfezione e l’errore, mentre la bioetica non se lo può permettere: tutto deve filare via liscio, ogni nodo va pazientemente sciolto.

Voglio vedere adesso che cosa ne sarà del caso di quella donna di Pavia che chiede di essere fecondata con il seme del marito in coma, incosciente e in fin di vita. I medici stanno valutando. Per il prelievo del seme sarebbe necessaria la volontà esplicita dell’interessato, il quale non è in grado di esprimerla (ma, dico io, in qualche modo non sarebbe stato “in grado” neppure in vita: nessuno lascia mai volontà esplicite in questo senso). Il padre dell’uomo, che è stato nominato suo tutore, appoggia la richiesta della nuora, “garantendo” che il figlio così avrebbe voluto: nell’ambito delle relazioni familiari, non “bioetiche”, ma nella logica dell’amore, il caso sarebbe già risolto. Il rischio infine che l’uomo muoia prima che i medici abbiano deciso è molto alto: e in questo caso la legge parla chiaro, vietando il prelievo di liquido seminale da persona deceduta.

Se i medici confermeranno il loro no, il paradosso è che la donna potrebbe avere il figlio che desidera da qualunque sconosciuto (o rivolgendosi, all’estero, a una banca del seme) ma non dall’uomo che ama. Cosa che la legge giudicherebbe “giusta” -o quantomeno non ingiusta- ma che la ragione del cuore non comprende.

Ci toccherà dunque pensare a un testamento biologico ben più minuzioso, che non regoli solo la questione del “sondino” e delle terapie, ma anche quella della procreazione (perché non immaginare un marito che chieda di fecondare la moglie in coma…) e tutte le altre funzioni corporali? Ovviamente da riaggiornare ogni tot, come si fa il tagliando alla macchina. E’ questa la strada che intendiamo imboccare? O ce n’è un’altra? E quale?

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