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Seduta al ristorante in una piccola e incantevole città di provincia, vedo passare in fila indiana una ventina di giovanissimi preti. Tonache, visi imberbi, passo svelto. Sembra un set di Fellini. Mi piacerebbe fermarli e parlarci. Con uno in particolare, ragazzo biondo e minuto con occhiali che gli scivolano sul naso, e lui che continua a tirarseli su. “Perché fai il prete?”, vorrei chiedergli.
Una volta uno lo faceva anche soltanto per studiare. Per dare lustro alla famiglia. O perché non aveva altra scelta. Ma la scelta di questi sarà motivatissima. Se c’è una crisi delle vocazioni, questi la vocazione devono averla ben forte. Li guardo sparire in fondo alla strada e mi fanno tenerezza. Non è un bel momento per la Chiesa, con i suoi mostri che la divorano dall’interno. Quei ragazzi si sentiranno addosso gli sguardi del mondo, e una pesantissima croce sulle spalle. Fa parte del loro mestiere, sopportare la croce. Ma questa pesa davvero tanto per le loro giovani schiene.
Penso ai preti della mia vita. Uno che mi ha smanacciato, quand’ero ragazzina. Un pover’uomo a cui probabilmente la tonaca era stata infilata a forza. Uomo in gamba, con spiccate qualità manageriali, evidentemente in sofferenza per quel destino sbagliato. E un altro, don Angelo, che sulla bellezza del sesso e dell’amore non si prestava a infingimenti, ma che ardeva assai di più per il suo compito. Un uomo vivo, vero, coraggioso, di straordinaria intelligenza, con un notevole talento teologico e filosofico, capace di un’enorme passione per gli altri e le altre, povero come i più poveri della terra. Sempre preso a correre dietro in Vespa a tutte le sue pecorelle con una predilezione per quelle intenzionate a smarrirsi, che riacchiappava sempre sull’orlo del baratro. Un incontro decisivo per la mia formazione. Quel padre è costantemente nei miei pensieri.
Penso a tutti quei preti che cercano ogni giorno e in ogni modo la verità dell’amore per testimoniarla ai loro fratelli, e che adesso stanno passando un gran brutto momento a causa dei peccati di altri.
Provo un’intensa compassione, vorrei caricarmi la loro croce in spalla per qualche istante, permettergli almeno un breve ristoro.

pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 19 giugno 2010

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