Anche oggi il web è pieno di indignazione e proteste per l’articolo di Fabrizio Caccia “Pamela, l’uomo che l’ha portata a casa: Penso a lei, è tutto atroce” pubblicato ieri sul “Corriere della Sera”. Vale la pena di analizzare questo testo come lapsus rivelatore che offre indizi significativi sui meccanismi della sessualità maschile.

“C’è un uomo che sta guardando in cucina «Mattino Cinque», il programma di Federica Panicucci. Sono le 9 e mezza, lui fa colazione, mentre in studio, proprio in quel momento, si sta parlando del dramma di Pamela Mastropietro”.

Dunque l’ambiente è familiare: una mattina d’inverno, la cucina, la tv accesa, la colazione. Il testo ci prepara a empatizzare con l’uomo, a entrare in sintonia con lui.

“Lui la conosce bene, quella ragazza. E adesso chissà che peso grande ha sul cuore, questo 45enne con la tuta rossa da meccanico e i sandali da francescano. Malgrado il freddo intenso non porta i calzini”.

Vittima di una orribile catena di violenze fino allo smembramento del suo corpo, Pamela compare per un attimo in scena per poi sparire. Lo sguardo resta su di lui, su quell’uomo, sulla sua solitudine, sui suoi sentimenti, sul suo cuore afflitto, sulla modestia della sua condizione –è un meccanico-, sui piedi nudi nei sandali “da francescano”, segno di semplicità, povertà, amore per gli altri e per il creato. “Francescanesimo” ribadito nell’immagine successiva:

“Il giorno si scalda lavorando nel campo attiguo alla casa, dove la mimosa è già in fiore”, come un monaco che al freddo prega e lavora, contemplando il miracolo della natura.

“Lo assilla il pensiero che se solo avesse potuto immaginare la fine orribile che attendeva Pamela, di certo lui le avrebbe cambiato il destino. «È atroce, atroce», riesce solo a dire. «Credete forse che non ci pensi? Non bestemmiate, per favore…».

Perciò se avesse saputo che la ragazzina era sola, indifesa, con problemi di tossicodipendenza e quindi ad alto rischio di finire in qualche guaio non ne avrebbe approfittato sessualmente in cambio di 50 euro. Ma che la ragazzina fosse sola, indifesa, con problemi di tossicodipendenza e quindi ad alto rischio di finire in qualche guaio era più che evidente, era la precondizione necessaria allo scambio sesso-denaro. Se non fosse stata sola, indifesa e bisognosa, probabilmente non avrebbe accettato di offrirsi in cambio di due spicci.

Ti aspetti che il giornalista vada a fondo: non poteva darle una mano anziché approfittarne? Non poteva accoglierla, aiutarla, fare qualcosa per lei? Ti aspetti che faccia qualche amara considerazione su questa sessualità anaffettiva e predatoria. L’omissione è significativa, ben più eloquente del testo, e ci dà la vera notizia, se così si può dire: è del tutto normale per un uomo –perfino per un uomo buono e “francescano”- usare per il proprio soddisfacimento sessuale il corpo di una ragazzina sola e bisognosa, che non apparteneva a nessun altro uomo –a un padre, a un fratello, a un fidanzato o a un marito- e non era soggettivizzata da questa appartenenza ma restava un oggetto sul mercato, a disposizione del miglior offerente o del più prepotente. In quello che è accaduto, insomma, non c’è proprio niente di strano.

Fosse stata una donna, anche molto meno di “francescana”, probabilmente le avrebbe fatto qualche domanda, le avrebbe offerto un cappuccino al bar, le avrebbe chiesto se poteva darle una mano, portarla da qualche parte, dalla madre, da un’amica, se aveva un posto dove stare, qualcuno da cui andare. Ma da un maschio non si può pretendere questo, non ci si può aspettare questa apertura di umanità: forse il più bisognoso è sempre lui?  

Il reportage continua con il racconto dell’incontro casuale, lei sta camminando sulla provinciale trascinando il suo trolley, lui la incrocia passando in macchina. Lo sguardo del cronista resta fisso su di lui, “magro, alto, affilato, la barba hipster, la pelle bianca”: non uno straniero, insomma, non un mostro, proprio uno come tutti noi, perfino la barba hipster. L’empatia viene efficacemente rafforzata dal racconto di un tranche de vie: lui “va spesso a Corridonia con la sua auto. Ci va a trovare la sorella, che lì ha la casa e anche un esercizio commerciale”. Insomma, vive solo ma ha degli affetti, vuole bene a sua sorella, una famiglia come tante, c’è pure un negozio.

“Così, vede Pamela che avanza a passi svelti sul ciglio della strada, si ferma, lei sale, ripartono insieme sull’utilitaria bianca. La ragazza è senza soldi, senza cellulare né documenti… Ma per farsi d’eroina ci vogliono i soldi e Pamela non ne ha. Ha con sé soltanto la sua bellezza e decide di venderla a lui”.

Quindi è lei a decidere, è lei ad “autodeterminarsi”: è una tossica “in sbattimento”. Per lui non si tratta affatto di una decisione, non c’è nulla di cui discutere: se una ti offre “la sua bellezza”, se te la offre perché in stato di bisogno –e perché, se no? -tu quella bellezza la prendi e stop. Un riflesso più forte di tutto: più della pietà, della tenerezza, di ogni sentimento paterno –è quasi una bambina, potrebbe essere tua figlia-, della semplice solidarietà umana. Quel corpo vivo, bello ma sofferente, è una merce, e il prezzo è accettabile. La cosa non è in questione. Lui non poteva decidere nulla, decidere -la aiuto o ne approfitto?- a quanto pare non era nelle sue disponibilità. 

La sessualità maschile non può che essere questa, predatoria e violenta? E’ fatale che sia così, è un fatto di natura immodificabile, come le maree, gli uragani e la rotazione terrestre?

Allora l’uomo punta verso la casa della sorella, che ha un garage sul retro, seminascosto. Lei quel giorno non c’è, nessuno potrà vederli. C’è un materasso in garage, fanno sesso su una coperta… Cinquanta euro per un rapporto. Il procuratore capo di Macerata, Giovanni Giorgio, pietosamente aveva voluto raccontare un’altra storia. Aveva detto che Pamela, quel giorno, il 29, si era fermata a dormire dal suo accompagnatore, che poi al risveglio, il martedì mattina, le aveva dato dei soldi per aiutarla a tornare a casa, a Roma, da sua madre. Non è andata così”.

La reputazione di Pamela viene in qualche modo tutelata, sull’atto prostitutivo si sorvola, sull’utilizzatore finale anche: in Francia, in Svezia e in altri Paesi civili il buon uomo sarebbe stato perseguito –lì i clienti di prostituzione vengono sanzionati, lì sono riconosciuti come stupratori a pagamento-, da noi invece approfittare sessualmente di una donna in stato di bisogno resta cosa del tutto lecita. E anzi, si chiede da più parti, da destra e da sinistra,che sia sempre più lecita, regolamentando, e addirittura decriminalizzando il papponismo, contro la legge Merlin. Il puttan tour entra perfino a Sanremo!

“Quel lunedì, dopo il garage, l’uomo ha accompagnato Pamela alla stazione di Piediripa e l’ha lasciata lì, al suo destino. Così adesso gli vengono mille pensieri, mille rimorsi e anche un po’ di vergogna: «Andate via, non vedete che questa è proprietà privata, lasciatemi in pace, lasciamo lavorare gli inquirenti», ha detto ieri a Rossella Ivone, l’inviata di News Mediaset, arrivata lì con la telecamera. Ora non resta che il dolore e nessun piacere”.

E’ davvero dolore, o per dirla in parole povere è solo amara consapevolezza di essere finiti, per sfiga, dentro una storia atroce? –proprio con lei? proprio con una che poi è finita in quel modo?-. O c’è il senso, è finalmente arrivato, di essere stati uno degli anelli, per quanto un anello non perseguibile -ma non per questo senza colpe- di una orribile catena di violenze?

E quel sesso con una ragazzina tossica e disperata su un materasso sporco in un garage in cambio di un cinquantino, quella roba merita il nome di “piacere”? Sul serio?

E’ così miserabile, è così violento, è così indifferente a tutto il “piacere”?

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Aggiornamento 13 febbraio: 

dal Corriere della Sera di lunedì 12 febbraio

Lettere al Direttore

I racconti di cronaca
e il rispetto delle persone

Caro direttore,

ho letto le cronache dei fatti di Macerata e mi ha colpito, in particolare, l’articolo in cui ha parlato l’uomo che la sera prima era stato con Pamela. Ci indigniamo per la violenza dei linguaggi della rete e per l’aggressività verbale dei confronti politici, ma non crede che anche e in particolar modo i comunicatori dovrebbero interrogarsi su come sia opportuno fare informazione, soprattutto quando si tratta di cronaca nera? Da chi fa informazione, dal mio giornale, mi aspetto sempre rispetto per le vittime, della loro dignità di persone, del dolore delle loro famiglie.
Federica Vernò

Vogliamo lasciare in pace questa povera ragazza? Parlo di Pamela, la vittima dell’episodio di violenza di Macerata. Serviva proprio raccontare cosa ha fatto la sera prima e dare la parola all’uomo che si è approfittato della sua fragilità? Il diritto di cronaca sta sconfinando nella mancanza di rispetto, soprattutto delle donne. Penso alle vittime di violenze sessuali e ad articoli in cui si indugia su particolari morbosi, ma anche alle immagini di morti in guerra usate forse per smuovere le coscienze ma irrispettose della dignità dei corpi. E poi penso a questa ragazza, che potrebbe essere mia figlia, quasi coetanea. È questa la libertà di informazione? Il Corriere sta perdendo la sua identità.
Tiziana Simonini

Care Vernò e Simonini,
In questi giorni molte lettrici e lettori ci hanno posto il tema di come raccontare con serietà e rispetto fatti drammatici di cronaca come quello di Pamela. È giusto discuterne apertamente perché servirà a migliorare la nostra informazione, evitando errori: è la civiltà del Paese. Credo che un giornale abbia il dovere di indagare su tutto quello che è accaduto, nel caso di Pamela questo significava anche lavorare sul mistero di quelle ore che passano tra la fuga dalla comunità e il momento terribile della sua morte, per cui tre persone di nazionalità nigeriana sono indagate per omicidio. Il Corriere della Sera ha sempre cercato, in questi anni, di fare crescere la cultura del rispetto, del merito e dell’uguaglianza. Nel nostro giornale sono nate e si sono affermate esperienze fondamentali come La27ora e il Tempo delle Donne.
Non abbiamo mai interrotto la nostra inchiesta contro la violenza e gli abusi. Lo ricordo perché non può esserci nulla di più lontano dai nostri valori di una concezione arretrata dei rapporti uomo-donna, fatta di indulgenze, superficialità, stereotipi. Se in questa occasione abbiamo dato una lettura sbagliata rispetto alla nostra intenzione di svelare tutte le responsabilità, penso che sia compito del direttore e di tutta la comunità dei nostri giornalisti riflettere — e agire — perché non si ripeta più. È un impegno che ogni giorno ci sentiamo di prendere con i nostri lettori e le nostre lettrici.

 

 

 

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