Ieri a Milano sciopero dei mezzi e traffico impazzito. C’è vento di neve, per fortuna, che diminuisce gli inquinanti. Mentre litigavo con un tassista sulle liberalizzazioni, mezz’ora di viaggio a caro prezzo e sempre discutendo, ho pensato che il telelavoro, o lavoro a km zero sarebbe la soluzione di un sacco di problemi. Pensiamoci.
Oggi una parte notevole del lavoro può essere svolta “in remoto”, ovvero da casa o da dove si vuole, grazie alle nuove tecnologie di comunicazione, internet, skype e via dicendo, tutte a basso costo e pulite. Questo significa non esigere di detenere fisicamente i dipendenti, ma pretendere prestazioni valutabili quantitativamente e qualitativamente. Da questo discende un notevolissimo alleggerimento del traffico urbano nelle ore di punta, la spaventosa transumanza inquinante delle 8 del mattino e delle sei di sera, a cui possono esere aggiunte misure di limitazione del traffico, di potenziamento dei mezzi pubblici, oltre a piste ciclabili, car sharing eccetera, misure che da sole sono solo palliativi.
A ciò va aggiunto il risparmio di carburanti e in generale il risparmio energetico che si produce smantellando quegli enormi e costosissimi luoghi di detenzione che sono le aziende, che vanno riscaldate, refrigerate, illuminate, etc., oltre a una maggiore produttività: un sacco di gente passa molto tempo negli uffici a smanettare online in attesa di svolgere qualsivoglia compito, mentre si dovrebbe organizzare il lavoro sulla effettiva produttività e sulla qualità dei prodotti.
Un altro effetto virtuoso sarebbe un miglioramento della qualità della vita familiare e una rivitalizzazione dei quartieri, che non sarebbero più dormitori ma luoghi di vita. I bambini piccoli non dovrebbero più essere depositati nei nidi alle sette del mattino -altre auto sgasanti-, ci si potrebbe organizzare con servizi flessibili e modulari per il baby sitting e anche per la spesa e altre necessità, magari all’interno dello stesso condominio. Chi non può lavorare in casa potrebbe raggiungere a piedi o in bicicletta un “ufficio condiviso” o postazione di coworking, organizzando liberamente i suoi tempi. La comunità locale diventerebbe il baricentro di tutto, lavoro e vita non sarebbero più separati, le relazioni non si limiterebbero alla sterile colleganza, la condivisione sarebbe ben più estesa e feconda. Le città diventerebbero più belle, perché più curate e vissute. E si potrebbe continuare molto a lungo. Io lavoro da anni in questo modo e benissimo, ma siamo ancora troppo pochi.
Durante la campagna elettorale avevo proposto che la grande macchina amministrativa comunale diventasse laboratorio trasparente di questa utopia concreta, modello sperimentale virtuoso ed epicentro di una vera rivoluzione urbana e metropolitana.
Siamo sempre in tempo.