Avrei da dire un paio di cose sulla violenza maschile. Una celebre avvocata matrimonialista mi racconta che, in sede di separazione, troppi giudici sottovalutano la gravità e la diffusione delle violenze psicologiche dei mariti sulle mogli. Dice che quando non vedono occhi pesti o braccia rotte tendono ad ascrivere al “normale” stress da separazione
minacce, persecuzioni, telefonate minatorie e altre piacevolezze. Ci vorrebbe un salto di coscienza che ci facesse comprendere che se le violenze fisiche sono molto diffuse, e anche dove non ce le aspetteremmo mai, quelle psicologiche –vessazioni economiche, mancanza di rispetto, umiliazioni, ricatti, limitazioni della libertà personale, esercizio del dominio in tutte le sue forme: sono anche donne a esercitarle sui mariti, ma in non più di 1-2 casi su 10- sono diffusissime, con l’aggravante di essere quasi sempre invisibili e misconosciute nel loro potenziale di devastazione e di sofferenza.
Spesso, io credo, si tratta di violenze-rifugio: ormai consapevole di poter essere punito per gli abusi fisici, il violento si “limita” a quelli psicologici, che proprio per questo dovrebbero poter essere individuati e puniti con la stessa severità.
Un’altra cosa: molti violenti sono stimatissimi professionisti, uomini d’affari, intellettuali, personalità dello showbitz. I quali, dopo aver rotto la testa delle loro compagne o averle ridotte all’impotenza e alla depressione, continuano ad essere stimatissimi professionisti, uomini d’affari, etc. Non è giusto. La sanzione dovrebbe anche essere sociale, soprattutto da parte di quegli uomini che aborrono la violenza sulle donne. Si dovrebbe sapere chi sono, e poter dire: da quel dentista non ci vado, perché è un violento, i miei soldi non li do da amministrare a quel gestore, perché è un violento. Quel libro non lo leggo, quel film non lo vado a vedere, perché chi li ha firmati è un violento, con quel collega non bevo neanche il caffè, perché è un violento.
Non si può smobilitare su queste cose, che distruggono non solo gli individui e le famiglie, ma anche il tessuto sociale. Il patriarcato che muore è una bestia feroce.
(pubblicato su “Io donna”-“Corriere della Sera”)

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