Mi sento dire spesso, quando si discute -l’ultima volta a Tatami-: “Questa cosa in Italia non capita, e invece in America -o in Germania, in Francia, in Inghilterra_ sì”. Con ciò intendendo: dovremmo farlo capitare anche qui.

Non per orgoglio patrio -l’orgoglio è un sentimento con cui ho scarsa dimestichezza-: ma non è affatto detto che noi dobbiamo importare tutto, e a scatola chiusa. Non avendo certe cose, in realtà ne abbiamo altre, e non di rado migliori. Un esempio per tutti: la nostra legge sulla fecondazione assistita è fortemente limitante, alimenta il turismo procreativo, non consente la diagnosi prenatale preimpianto, il che paradossalmente può voler dire dover ricorrere a successivo aborto terapeutico, eccetera. Tutti i problemi che ben sappiamo. Ma che qui non sia possibile affittare un utero, come in molti stati americani e in Inghilterra, non mi pare affatto uno svantaggio. Anzi.

Vittime di uno strano complesso di inferiorità -spesso giustificato, ma non sempre- tendiamo a vedere l’omologazione a usi, costumi e leggi di altri paesi occidentali come un progresso. Ma non necessariamente lo è. E comunque, non sempre il cosiddetto progresso ci fa progredire.

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