Leggo su un librino di cui vi consiglio la lettura (AA VV, “La vita alla radice dell’economia”, Mag: sapete che ho questo pallino, di questi tempi) una riflessione di Maria Teresa Giacomazzi che mi rappresenta completamente, e in cui probabilmente anche voi vi ritroverete:

“Sentiamo sofferenza, quando il denaro viene dissipato e inutilizzato, utilizzato male, sperperato. Possibile che quando si tratta di soddisfazione del bisogno sociale, di una giusta remunerazione del lavoro, il denaro ci sia sempre a stento e poco, e poi lo ritroviamo inpiegato tutto da altre parti… Abbiamo l’urgenza politica di dirci dove va il denaro e come aprire una lotta su questo”.

Ecco, per esempio. Ho sentito che mentre la delegazione del Pd ha scelto un ristorante di Soho per seguire le elezioni presidenziali americane -mangiando e bevendo, I suppose-, quella del Pdl ha preferito un locale del Rockfeller Center, sempre con libagioni. A New York, è vero, era ora di cena, mentre qui, a Montemario o a Porta Venezia, avrebbero dovuto fare la veglia. Meno suggestivo, certo. Ma sarebbe stato esattamente lo stesso. Obama era a Chicago, e McCain a Phoenix: la diretta tv vista da Manhattan era uguale a quella di Cinisello Balsamo.

I tempi complicati come questi, e in prossimità di uno dei Natali più problematici degli utimi trent’anni, si vorrebbe almeno l’esempio. Ipocrita, per carità: non saranno quelle poche decine migliaia di euro a salvare il bilancio dello stato. Ma se quel viaggio negli Usa è stato a carico dei contribuenti, e poi per dire quelle tre cretinate che ho sentito in tv (“questa è una grande democrazia…”, “Obama è amato dalla gente” e altre raffinatissime analisi politiche), ecco, forse se ne poteva fare a meno.

Ma c’è speranza che questa gente cambi? Che assuma in prima persona il cambiamento, voglio dire, e che lo pratichi? Che dica: no, io me ne sto a casa, rinuncio a qualcuno dei miei privilegi, voglio vivere come gli altri cittadini di questo paese, condividerne condizioni e stato d’animo? Non si pretende l’integrità di Simone Weil, che lasciò gli studi e l’insegnamento e andò a lavorare in catena alla Renault per poter “parlare della causa operaia con cognizione di causa”. Basterebbe molto, ma molto meno. Ma nemmeno questo poco arriva.

C’è stata “La casta”, perfino il Papa raccomanda ai preti di non scialare. Ma i nostri rappresentanti eletti continuano esattamente come prima, con protervia. E anzi, si aumentano gli stipendi.

Ecco, sono tremendamente frustrata. Non volevo aprire l’ennesimo blog che parla di queste cose, la rete ne è piena zeppa, e comprensibilmente. Penso che l’unica cosa sia non attendersi più nulla di lì, e attendere invece felicemente alle proprie passioni e alle proprie relazioni, costruire in ogni momento della giornata il mondo che vorremmo e viverlo da subito. Tenere lontano di lì anche lo sguardo, svuotare di significato, con una disattenzione militante e non violenta, e forse perfino con la rinuncia al voto, una democrazia che non funziona più. Ma ci sono giorni in cui resto intrappolata nella rabbia. Vedo mio figlio e i suoi compagni, vedo la loro università minacciata, e il loro futuro così incerto, e mi viene da dirgli “Fujetevenne”. Scappate di qui, appena potete.

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