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esperienze, Politica Novembre 4, 2013

Politica-Bostik: incollati alla poltrona

 

Flavia Perina la chiama “nevrosi del parlamentare”. Lei che parlamentare lo è stata, e dalle ultime elezioni non lo è più a causa dell’evaporazione del suo partito (Fli), si è riassestata nella sua vita: fa la giornalista free lance, è alquanto tosta e continua ad amare e seguire la politica. Ma ha visto da vicino la sindrome di chi, eletto nelle istituzioni, vive nel terrore di perdere la poltrona, per dirla in modo pop. Terrore che oggi ha raggiunto i livelli di guardia e dal quale la politica è fortemente condizionata: quello che conta è che il governo duri il più a lungo possibile per evitare di andare a nuove elezioni, con il rischio di non venire ricandidati. Una quota considerevole di parlamentari che rinuncia alla propria autonomia di giudizio e a rappresentare il suo elettorato per evitare di indispettire la nomenclatura di partito, che potrebbe decidere di non ricandidarli. Le ragioni personali pesano sempre e ovunque. Ma nella politica di oggi sembrano pesare ben oltre il livello fisiologico: la rappresentanza democratica coincide sempre più strettamente con la rappresentazione del proprio utile.

“Il fatto è che ormai nei partiti è una roulette russa” dice Perina. “Nel Pd molti veterani non potranno godere di ulteriori deroghe, e poi ci sono i miracolati delle primarie di Capodanno, entrati con una manciata di voti, che rischiano di tornaresene per sempre a casa. Nel Pdl, il “padrone” che, come se gestisse una sua azienda, potrebbe decidere di nominare una qualunque soubrette al posto tuo, senza doverti alcuna spiegazione. Il terrore di non rientrare è trasversale alle larghe intese. E colpisce anche il Movimento 5 Stelle”.

Anche se questo fa in qualche modo parte del patto a 5 stelle: negli incarichi si ruota, sai che potresti durare giusto una legislatura…

“Sì. Ma anche per loro la carne è debole. Anche qui pesa l’istinto di autoconservazione. Sai che sei entrato con un consenso occasionale e contingente. Che non ci sarà il secondo giro e che non diventerai mai un professionista della politica”.

E questo è un male? Per loro sì, certo: ma per noi?

“Be’, alcuni cominciano a “studiare” da ragazzini per fare questa carriera: prima consiglieri di zona, poi in comune, poi tenti il salto regionale e nazionale. Una costruzione faticosa”.

Come per una carriera professionale. Salvo che poi in questo modo vengono eletti quelli che hanno “timbrato”, i padroncini delle tessere, piccoli funzionari, burocrati. E mai i talenti che magari non hanno frequentato circoli e sezioni, ma che servirebbero davvero al Paese. Raro che i due profili coincidano.

Qui c’entra la crisi dei partiti. Una volta c’era una forte attività di scouting nel senso nobile del termine: per riequilibrare l’eccesso di nomine interne e per evitare un andamento asfittico si cooptavano esterni talentuosi. Intellettuali, professionisti, imprenditori che portavano la loro visione e il loro valore aggiunto, e magari anche la scomodità di un po’ di eresia e di anticonformismo, che al partito facevano bene. Poi è intervenuto un mutamento genetico profondo, connesso al racconto berlusconiano-televisivo: pochi esterni e tutti mediatici, a destra come a sinistra. Per lo più gente passata in tv: le veline candidate in Europa, previo corso accelerato di politica, ma anche figure come quelle della sportiva Valentina Vezzali, deputata di Scelta Civica. La quale, mi dicono, alla Camera si vede molto poco…”.

Tornando al tema, un Parlamento in cui le logiche autoconservative sono prevalenti: che soluzioni vedi?

“Una legge elettorale basata su piccoli collegi e con doppio turno, sul modello della legge per i sindaci. Questo obbliga i partiti a candidare gente presentabile, con una biografia riconosciuta dalla comunità locale, bypassando le logiche mediatiche. Si tratta di rivalutare le reputazioni. Così oltretutto si potrebbe anche ridurre la nevrosi del parlamentare: se lavori bene, la tua comunità ti riconfermerà e un secondo giro lo farai”.

E stabilire un limite del numero di mandati? E magari pure degli emolumenti?

“Il limite dei mandati potrebbe anche essere un aiuto psicologico: sai che in ogni caso dopo il secondo vai a casa, e sei più libero. Quanto agli stipendi, sono meno d’accordo”.

Ricordaci quanto porta a casa un parlamentare.

9-10 mila euro netti. Lavoro ben pagato, certo. Ma se lo fai bene è molto impegnativo e comporta spese cospicue. E se guadagni abbastanza puoi permetterti di dedicarti solo a quello, evitando conflitti di interesse”.

Da europarlamentare Alex Langer non volle una lira in più rispetto al suo stipendio di insegnante.

“Scelta nobilissima. A Roma gli assessori prendono 2500 euro. Ma quale professionista di valore si sentirebbe di rinunciare ai suoi introiti e di mettere in discussione la sua reputazione per meno di quella cifra? Mentre per uno che per esempio fa l’impegato e prende 2000 euro il salto è enorme: proprio questa tipologia di parlamentari è la più soggetta a tentazioni, disponibile a ogni compromesso e salto della quaglia in cambio di una garanzia di permanenza”.

Ma perché questa “addiction”? Perché non essere rieletti è talmente devastante? Ci sono molte cose da fare a questo mondo. Anche la politica, da non eletti.

“La droga dello stare in quei posti è lo status. Una cosa che può dare alla testa, specie se sei un neofita. Il 90 per cento dei parlamentari non vive nelle metropoli, non sta a Milano o a Roma, vive in piccole realtà. Ti chiamano onorevole, ti senti un principe. Ho visto neo-eletti rifarsi daccapo il guardaroba. E’ una nuova nascita nella casta”.

Fuoruscirne, quindi, è una pre-morte… Tu però sei ancora viva, mi pare.

“Dirigevo un giornale. Non ho perso solo il posto da parlamentare, ho perso anche quella direzione per volontà di Berlusconi, e la perdita più grande è stata questa. Ma continuo a seguire la politica e a farla, da un’altra posizione. Dicevo che è più che altro una questione di status, perché poi il potere del parlamentare è pressoché nullo. Sia il Pd sia il Pdl hanno rinunciato da tempo all’idea di vincere. L’idea definitivamente introiettata è quella di una politica che gestisca consociativamente gli interessi. Qualcuno l’ha chiamata la politica del Gps, ovvero del posizionamento: non sei lì per la polis, per portare temi, per rappresentare i cittadini. Il gioco è tutto interno, stretto sulle alleanze e sugli accomodamenti tra schieramenti. Il consociativismo al suo massimo livello“.

 

 

economics, Politica, Senza categoria Agosto 1, 2013

Sentenza Berlusconi: l’attesa che non c’è

Se le tv  si eccitassero un po’ di più per quello che riguarda l’insieme dei loro palinsesti -in questa estate magra, con tanta gente in città, la televisione potrebbe offrire un servizio meno scadente di quello che offre- e un po’ di meno per la sentenza della Cassazione su Berlusconi, saprebbero anche rappresentare meglio l’umore del famoso Paese reale. Che della sentenza Berlusconi sostanzialmente se ne sbatte, all’insegna della diffusa e non del tutto infondata convinzione che “tanto non cambia nulla”.

In effetti potrebbe essere così: condannato o non condannato Berlusconi resterebbe il deus ex-machina che è, unico garante dell’esistenza di questo centrodestra che senza di lui evaporerebbe. Il vero problema politico ce l’ha il Pd, che al legno di questo “patibolo” potrebbe auto-crocifiggersi e perire. Ma cosa volete che importi di questo alla stragrande maggioranza del Paese, tutto preso ad arrabattarsi e a tentare di costruire qualcosa -eventualmente in nero- per non perdere il refolo della supposta “ripresina”, e non grazie alla politica, ma nonostante la politica?

Le troupe si eccitano davanti al Palazzaccio come di fronte al St Mary Hospital, in attesa del royal baby: un evento è pur sempre un evento. Stasera ci diranno in diretta. Ma quello che conta è che il governo del fare fa poco e fa male, e ben pochi si aspettano che faccia più di tanto.

Al prossimo giro politico, nel 2014 o nel 2015, sperando di disporre di una legge elettorale non antidemocratica, si dovrà fare in modo di mandare nelle istituzioni gente davvero valida e capace, e in spirito di servizio, altro che i miracolati delle Parlamentarie di Capodanno. L’esorcismo del merito resta il principale problema della nostra classe dirigente. Vale per la politica, ma non solo. Nella burocrazia (il decreto Letta sulle semplificazioni burocratiche consta di 93 commi articolati in sottocommi, punti e sottopunti) si annidano corruzione e familismo. La burocrazia è la vera nemica dei talenti, che nel nostro Paese, se Dio vuole, fioriscono spontanei come il sambuco. Nel piccolo, nel locale, il genio e le capacità hanno più chance.

Continuiamo a lottare e ad avere fiducia, radicati alla terra dei nostri contesti.

 

Politica Luglio 10, 2013

Pd: giro di boa definitivo

la rissa tra pd e 5 stelle alla camera

La giornata di oggi in Parlamento segna un punto di non ritorno per il Pd (vedi qui dichiarazione di voto favorevole alla Camera, e vedi il segretario Epifani che approva vistosamente).

Molti parlamentari a quanto pare non l’hanno capito. Anche alcuni tra quelli* che si sono astenuti o sono usciti dall’aula per non prendere parte a un fatto oggettivamente eversivo -il blocco delle attività del Parlamento contro la Cassazione: non è questione di quanto, basta anche un solo minuto- dicono che la cosa non è stata compresa, che si è trattato di un trappolone, che l’intenzione non era quella, e così via.

Il senatore Luigi Zanda dice nientemeno di considerare “l’azione del Movimento 5 stelle di togliersi la giacca e la cravatta in aula (per protestare contro il voto favotrevole del Pd alla sospensione delle attività parlamentari, ndr, vedere qui) un gesto di disprezzo volgare del Parlamento“. Zanda sta dentro il reality assurdo di quella politica, è totalmente sconnesso dal mondo reale, non riesce a comprendere che semmai è il voto del Pd a costituire un gesto di enorme disprezzo nei confronti della democrazia, che si basa sull’indipendenza e sull’equilibrio tra poteri. Non ha neppure la vaga idea dell’impressione enorme che questa giornata del Pd ha prodotto sulla sua base sconsolata, scioccata, già duramente provata dai 101 traditori, dall’inciucione e da tutto il resto.

A quando una manifestazione Pd davanti a Palazzo di Giustizia?

In Parlamento, anche per il Pd, è entrata gente che non evidentemente ha nemmeno studiato quel po’ di educazione civica in seconda media, e che non si è resa conto di quello che ha fatto.

Pur di salvare il governo -in verità, pur di salvare il proprio seggiolino in Parlamento, almeno per il tempo che serve per maturare la pensione, che poi se si torna al voto tanti di rientrare se lo sognano- hanno messo in pericolo l’equilibrio democratico. Il che è molto peggio che “cedere al ricatto di Berlusconi”. Sarebbe addirittura il meno, car* amic*.

Ora, a quelli che stimo nel Pd -Civati, Puppato e pochi altri- non saprei onestamente che cosa consigliare:

se persistere nell’attaccamento a un partito ormai totalmente allo sbando, popolato di figuri improbabili -ignoranti passati grazie alle primarie burla, opportunisti che hanno avuto un grandioso colpo di c..o-, dilaniato dalle correnti, occupato quasi esclusivamente a decidere se stare con Renzi o se fargli la guerra.

Oppure se rompere clamorosamente, raccogliendo l’eredità di quel popolo democratico orfano e sbigottito da un partito che da oggi non può più nemmeno chiamarsi democratico, essendo che alla tenuta democratica ha oggettivamente attentato. Ed è un fatto spaventoso.

 

*Astenuti: Pippo Civati, Michela Marzano, Franco Cassano, Antonio Decaro, Marco Di Maio, Davide Mattiello, Luca Pastorino e altri.

Fuori dall’aula: Rosy Bindi, Sandra Zampa, Paolo Gandolfi e Paolo Gentiloni.

 

Politica Maggio 27, 2013

Politica? No grazie. Meglio il fai-da-te

La scheda elettorale a Roma: alta un metro e 20

Il freddo di maggio ha gelato anche le urne. Dimmi tu, si sarà detto l’astensionista medio, perché devo rompermi le p…e e andare al seggio, con questo vento cane, se poi tanto fanno sempre quello che vogliono, e quello che vogliono è solo salvare il loro c..o.

Dopo l‘inciucio detto anche larghe intese, tanti elettori del Pd l’hanno dichiarato ad alta voce: stavolta non mi beccano più. E le salamelle se le friggano loro. Quel -25 per cento nella Pisa del premier Letta fa tremare i polsi. Potrebbe essere proprio il Pd a pagare il prezzo più alto. Il Pdl non dovrebbe soffrire altrettanto. Il Movimento 5 Stelle potrebbe perdere da un lato, punito per il suo integralismo, ma dall’altro recuperare ancora un po’ di voto “antipolitico”: il risultato potrebbe non essere rovinoso. Tendenze che si declinerebbero localmente, secondo la credibilità dei candidati.

Stiamo a vedere. Al momento le certezze sono poche, ma lampanti:

1. A vincere è il partito dell’astensione, e il partito dell’astensione dice che che gran parte del Paese della politica non si fida più, nemmeno un po’. Sono tutti uguali, inutile scomodarsi. Tanto non cambia niente. Meglio che facciamo da noi, perché questi fanno solo danni. Che almeno ci lascino lavorare. Proprio ieri, nella mia rubrica “Maschilefemminile”, scrivevo questo: “Quello che la politica può fare per noi, quando funziona al suo massimo, è attivarsi come un sistema neuronale complesso in grado di cogliere, decodificare e interpretare segnali deboli e processi promettenti che sono già in atto nella “nostra” politica, quella vera, quella della nostra convivenza quotidiana. E quindi rimuovere gli ostacoli, porsi come facilitatore, agevolare questi processi e renderli più fluidi, stabilendo le priorità, amministrando il meglio di ciò che capita.E districarsi il più possibile dal potere, perché dove la politica si intende come sinonimo di potere gli interessi di pochi stanno in cima, contro quelli del maggior numero. Sarebbe fantastico, da una politica che ha paura perfino di Twitter“.

2. A perdere,  è il governo a larghe intese, che dovrebbe trarne rapidamente le conseguenze. Il che significa: decidere sulle questioni economiche più urgenti, confezionare la legge elettorale e chiudere l’esperienza. Anche se già si stanno mettendo le mani avanti -il voto amministrativo non è sugnificativo per la politica nazionale, e così via-, e si continua a non voler sentire e a non voler vedere.

3. Il Pd è nei guai fino al collo, ma questo lo sapevamo già. La tentazione strisciante di rinviare il congresso racconta la sua debolezza meglio di tutto il resto.

Politica Aprile 26, 2013

Poi alle urne vi espelleranno gli elettori

E insomma, viste da oggi le vicende del Pd di appena ieri e dell’altroieri appaiono più chiare: Bersani ha lottato strenuamente -magari anche goffamente e non sempre avvedutamente- contro la prospettiva di un governo con Berlusconi. E non ce l’ha fatta.

In poche parole, nel Pd ha vinto chi sull’inciucio non si è mai fatto troppi problemi, o magari di più, lo ha voluto proprio con determinazione (senza dirlo apertamente, beninteso). E perché lo ha voluto? Per sopravvivere personalmente, in buona parte dei casi. Ma forse, why not?, c’è anche chi crede in buona fede che la strada giusta sia questa.

La bizzarra situazione è quella di un partito in cui il 90 per cento dell’attuale classe dirigente vuole qualcosa che ripugna al 90 per cento dei suoi iscritti ed elettori: e ripugna è la parola esatta. Si può anche pensare di farla fuori, la base, come suggeriva Bertolt Brecht: “Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo”. Non è forse questa la logica quei dirigenti che invitano a ignorare Facebook e Twitter, dove il “popolo” riottoso si manifesta minuto per minuto? Si possono anche espellere quei parlamentari, Laura Puppato, Pippo Civati e forse perfino Rosy Bindi, che manifestano la loro contrarietà a un governo Berlusconi tris (esagero ma neanche troppo).

Sta di fatto che prima o poi quei dirigenti con il loro popolo riottoso dovranno reincontrarsi, e convincerli a rivotarli. Ma domani è un altro giorno, e poi arriverà Renzi-salva-tutti -immagino che il ragionamento sul futuro sia questo, ammesso che ve ne sia uno-. Intanto per ora nessuno ci schioderà di qui, ed è quello che conta: il qui-e-ora.

I colpi di coda del vecchio che non vuole morire possono essere terribili, perfino violenti. Si tratta che chi il cambiamento lo vuole davvero -e in particolare quei parlamentari che non intendono dare la loro fiducia a qualcuno di cui non si fidano affatto– non receda, e sappia che c’è un’altra nottata da passare, un ulteriore tempo supplementare. E adotti la postura adatta a questo difficile passaggio. E sia politicamente creativo.

L’amica filosofa Luisa Muraro, nel suo nuovissimo saggio “Autorità” (Rosenberg & Sellier) propone questo: l’autorità, che “può agire sulle persone senza mezzi materiali… coltivare il senso dell’autorità è una scommessa in favore di qualcosa di meglio per l’umanità e la civiltà, una scommessa senza limiti al meglio ma consapevolmente alternativa al culto del dio potere“.

Suggerisco la lettura e la meditazione del suo pensiero.

Politica Aprile 19, 2013

Tiratemi i pomodori se sbaglio

Sì, lo so, è la terza volta che titolo “pomodori” in pochi giorni. Ma tiratemeli (virtuali) se non azzecco almeno un pezzo del film che vedremo domattina.

Dunque, azzardo: bruciato Marini e lessato Prodi –con un’ampia e orchestrata raffica di fuoco amico- domattina potrebbe toccare a D’Alema. Il quale, sì, spaccherebbe il partito, ma il Pdl lo voterebbe in massa.  E se va come dico io, lo voterebbero pure i renziani. E per una semplice ragione: che il presidente della Repubblica D’Alema potrebbe conferire l’incarico di governo a Matteo Renzi, governo di larghe intese destinato a durare certamente un bel po’. E se no cosa c’è andato a fare l’altro giorno a Firenze?

Del resto Renzi, che è molto intelligente, sa bene che la sua fulgida stella potrebbe rapidamente tramontare. Non può permettersi di aspettare più di tanto. Dal canto suo D’Alema, che è perfino più intelligente di Renzi, farebbe un figurone: vedete? Lui mi voleva rottamare, e io lo incarico.

Le defezioni e la sparatoria nel Pd sarebbero inferiori alle aspettative: un governo relativamente stabile consentirebbe ai parlamentari rottamandi di tirare avanti un altro po’, e a molti miracolati dalle primarie di Capodanno di non tornarsene a casa con le pive nel sacco nel giro di pochi mesi. E si sa, la carne è debole.

Se poi tutta questa trafila, da Marini a D’Alema, sia un congegno diabolico, concepito da Max e oliato da Berlusconi, o solo l’inanellarsi di una clamorosa serie di errori, se è che Bersani ha proprio sbagliato di tutto e di più, o che è semplicemente il maggiordomo di D’Alema, sarà la storia a dirlo.

Direte voi: ma la base si ribellerà all’inciucio! Se non l’ha voluto con Marini, figuriamoci con D’Alema. Alle prossime urne il conto sarà salatissimo. Ma, dico io: il tempo sana tutte le ferite. Intanto si tira avanti, poi si vedrà. Lasciateli governare almeno un paio d’anni, e passerà tutto.

A me pare plausibile. Molto più di una improvvisa e tardiva conversione alla proposta Rodotà e di un’alleanza con i 5 stelle.

Che poi io sia contenta, se andrà in questo modo, non potrei dirlo. Ma conta ben poco.

Politica Aprile 4, 2013

Tentazione Renzi (piacione come pochi)

A un certo punto la prospettiva di vincere facile sbaraglia tutte le riserve, o forse è semplicemente la possibilità di mettere finalmente in piedi un governo in quattro e quattr’otto, con una maggioranza senza se e senza ma. Sta di fatto che nel Pd -parlo degli iscritti e degli elettori, non delle truppe parlamentari- la tentazione Renzi cresce in modo palpabile. Ma cresce anche fuori dal Pd: tra gli elettori di centrodestra, che nel renzismo vedono una possibile evoluzione del vecchio berlusconismo -e un’emancipazione dall’ormai troppo vecchio Berlusconi-, e tra molti di quelli che hanno provato a votare il M5S per vedere di nascosto l’effetto che fa.

Insomma, un piacione come pochi.

Ieri Renzi, a cui va riconosciuto un gran senso del timing, è partito con decisione all’attacco: basta manfrine, il Paese sta soffrendo, o ci si allea con il Pdl o si va subito al voto. E per dimostrare che fa sul serio, scatena i suoi senatori, che depositano una proposta di legge per abrogare interamente il rimborso elettorale ai partiti.

Bersani, intanto, incassato il rifiuto definitivo dei 5Stelle, sta giocando la sua partita definitiva, quella del Quirinale. Al governissimo continua a dire no, ma sul tema del Colle il dialogo con il Pdl è aperto. E da ieri, l’abbraccio tra Bersani e Berlusconi si è fatto anche più stretto: Renzi potrebbe fare molto male a tutti e due (anzi, a tutti e tre: pure ai 5 Stelle).

Dal punto di vista estetico, la scena è suggestiva, un seducente trompe-l’oeil, il bel giovane contro tutti quei vecchi. Uno che fa sembrare vecchio pure Grillo. Una chiave passepartout, che apre tutte le porte e scardina gli schieramenti.

C’è da queste parti qualcuno che non ha votato Renzi alle primarie e che oggi invece lo sosterrebbe? E ha voglia di raccontarci perché ha cambiato idea?

 

 

 

Politica Marzo 29, 2013

#Governo: extreme consulting

Non tengo affatto fede ai miei buoni propositi. L’ansia politica mi divora, in questo freddissimo venerdì di passione. Il Presidente li sta risentendo tutti, e le cose da dire sarebbero molte: su Berlusconi che dice di volere un governo solo politico e non tecnico, in modo da poter andare al voto prima possibile: la paura sta spingendo il Paese destra, come da copione, e il Pdl cresce; sul Pd letteralmente nel panico da rischio implosione; sui 5 Stelle che cominciano a misurarsi con il fatto che la strategia puri-e-duri potrebbe non pagare, anzi, potrebbe costare voti sonanti; su Renzi che scalda il motore, passando da Maria De Filippi, per la presumibile vittoria d’autunno (guardate qui).

Di cose ne dico solo un paio. Una su Renzi, e una sui 5 Stelle.

Su Renzi. Dopo quella che potrebbe essere l’amara fine politica di Bersani -gli errori, purtroppo, dal trionfo delle primarie a oggi, sono stati tanti, dall’aver rallentato il rinnovamento all’essersi ostinato su una sua premiership che aveva pochissime chance, irritando il Paese con un'”esplorazione” durata troppo a lungo- anche i più severi detrattori di Renzi si stanno arrendendo al fatto che per il Pd la carta vincente è lui. E che vincerebbe, scusate il pasticcio, proprio perché è un natural born winner, un vincitore nato, capace di sparigliare gli schieramenti e di oscurare definitivamente la stella fatalmente al tramonto di Berlusconi, prendendosi anche un bel po’ del suo elettorato e infiacchendo i 5 stelle. Sarebbe un altro Pd, certo. Ma sarebbe forse l’unico Pd che oggi potrebbe vincere.

Sul M5S. Le cose da dire sarebbero molte. Attendiamo l’esito dell’incontro con il Presidente. Ma una può essere detta a prescindere. Quello che, a mio parere, è mancato ai 5 Stelle, è un po’ di mitezza. Quella aggressività a tutto campo, quelle facce dure, quelle dichiarazioni sempre contro, hanno finito per danneggiarli forse anche più del loro oltranzismo anti-partito. Che sia stato per l’imprinting -il sarcasmo feroce di Beppe Grillo- o per il fatto che si tratta di un web-movimento -la rete è violentissima, chiunque la frequenti lo sa-, quell’estremismo verbale, quella maschera feroce sono stati un boomerang.

La rabbia è un sentimento preziossimo, un  carburante formidabile. Ma presa la spinta, dalla rabbia si deve saltare fuori, o la sua distruttività finisce per distruggere anche te.

E ora disponiamoci in paziente attesa. Ancora qualche ora per sapere.

Donne e Uomini, Politica Gennaio 21, 2013

Scandalo Lella Golfo

 

Lella Golfo non tornerà alla Camera dei deputati

Il Pdl le ha proposto il nono posto in lista per la Camera in Calabria: posizione di certa ineleggibilità. Lella Golfo ha rifiutato.   Il suo magnifico lavoro per le donne – evidentemente pessimo per gli uomini- non le ha giovato. La sua esclusione è paradigmatica: se sei una fedele anzitutto al tuo genere (e non a un capocorrente, o una semplice segnaposto per conto di, mariti, padri o altro)  in politica per te non c’è posto.

In una sola legislatura, con formidabile tenacia, in tandem con la piddina Alessia Mosca, Golfo è riuscita a portare a casa una legge importantissima per le donne italiane -sulle quote di genere nei cda delle società quotate in borsa-primo passo in direzione di quella generale applicazione di quote che sta femminilizzando la politica italiana. La beffa è proprio a lei sia rimasta esclusa- insieme ad altre indomite come lei-. L’ultima cosa che Lella è riuscita a fare per tutte è stata una raccolta di curricula eccellenti da sottoporre per le liste ai segretari di tutti i partiti. L’operazione non è andata in porto: lei stessa, amaramente, commentava qualche giorno fa:

“La mia sensazione,  è che ancora una volta i criteri siano stati poco trasparenti e meritocratici e che per noi ci sarà ben poco spazio, soprattutto in posizioni eleggibili. Non vi nascondo la mia delusione e amarezza e credo giusto avviare una seria riflessione sul futuro. Mi convinco sempre più che forse l’unica via d’uscita, lo sbocco naturale di questa partecipazione e dell’entusiasmo che mi avete trasmesso sia la creazione di un Partito delle donne“.

Uno stop, questo per Lella, certamente amaro, ma solo momentaneo. Continuerà il suo lavoro alla testa della Fondazione Marisa Bellisario e troverà certamente la strada per continuare a dare efficacia al suo lavoro politico. Non mollerà, seguendo gli insegnamenti di sua madre.

Per raccontarvi chi è Lella, vi ripropongo un’intervista ritratto che ho realizzato poco più di un anno fa, al momento dell’approvazione della sua legge sulle quote.

 

 

Cavaliere, Commendatore e onorevole, Lella Golfo è anzitutto una calabrese vera. Indomita e riservata. Presidente della Fondazione Marisa Bellisario e prima firmataria, insieme ad Alessia Mosca del Pd, della legge sulle quote nei Cda, giunta in porto dopo più di due anni di lotte, parla molto di politica e molto poco delle cose sue: il matrimonio, un figlio, il divorzio (“Il primo in Calabria…”). E sua madre, Rosa Verdelli, a cui è intitolata una sezione Pd di Reggio: attivista Pci, tutta la forza delle donne del Sud, “l’amministratore delegato della nostra famiglia” dice Lella, che da lei ha imparato i fondamentali. A non mollare, prima di tutto, a dribblare gli ostacoli uno a uno.

Lella comincia ragazza a battersi per i diritti delle gelsominaie della zona Jonica e delle raccoglitrici di olive nella piana di Gioia Tauro, per arrivare oggi a questo goal, probabilmente la più importante affirmative action mai applicata in Italia.

“E’ stata dura” dice. “Ho passato momenti di scoramento e solitudine. Anche molte donne già arrivate in ottime posizioni mi scoraggiavano: “Per carità, le quote!”. Alcune, come Emma Bonino e Adriana Poli Bortone, hanno votato contro. Ma senza questa forzatura transitoria -la legge resterà in vigore 9 anni- ci sarebbe voluto un altro mezzo secolo. E se il Paese vuole crescere non può permettersi di tenere le donne fuori dai luoghi di decisione ancora tanto a lungo”.

Sarà un terremoto…

“Da maggio 2012 i Cda dovranno nominare il 20 per cento di donne. Si arriverà a regime, cioè al 30 per cento, nel secondo e nel terzo mandato. Oggi nei board delle società quotate ci sono 332 donne e 4014 uomini, e nelle società pubbliche 1900 donne su un totale di 10 mila consiglieri. Solo per le società quotate serviranno 675 consigliere e 190 sindache”.

 E ci sono? In Norvegia, dove la legge impone il 40 per cento, dicono di aver dovuto imbarcare un po’ a casaccio…

“In Italia il problema non si pone. Le donne sono già il 60 per cento dei laureati. Dove si accede per concorso, come in magistratura, si va alla grande. La Fondazione Bellisario ha già raccolto 1700 curricula eccellenti, verificati da Beyond International e Heidrick & Struggles, società di executive search: 1300 sono già prontissime”.

 Non c’è il rischio che anziché le più brave si cooptino figlie, nipoti, fidanzate: donne che non “disturbano”?

 “Ma qui c’è la prova del mercato, non è come in politica. Le aziende lo farebbero a loro danno”.

 Le più brave però possono dare fastidio. Introdurre criteri diversi. Le donne sono più “strategiche”, non amano il rischio, lo spreco di risorse e di tempo…

“Ed è proprio di questo che c’è bisogno! L’innovazione sta qui. Sarà una medicina salutare”.

 E chi non si adeguerà?

“Per il primo mandato, dopo una lettera di richiamo, sono previste sanzioni a da 100 mila a 1 milione di euro. Per i mandati successivi c’è lo scioglimento del consiglio di amministrazione”.

 E’ soprattutto su questo che avete dovuto mediare con le associazioni degli industriali…

“Sì. I malumori sono stati molti. Abbiamo dovuto introdurre una certa gradualità”.

Ed Emma Marcegaglia?

“Era intervenuta pesantemente, chiedendo addirittura di bloccare la legge. Ma una volta trovate le mediazioni ha dichiarato che si trattava di una norma equa, e che anche in politica si dovrebbe pensare a qualcosa del genere”.

 E’ così?

“Anche qui: se attendiamo di arrivarci “naturalmente” ci vorrà una cinquantina d’anni. Sto pensando a qualcosa su questo fronte. Una legge che obblighi al 40 per cento delle elette: non parlo di candidature, ma di elette effettive. Con l’attuale legge elettorale a liste bloccate si potrebbe fare senza troppe difficoltà”.

 E’ vero che quanto a diritti delle donne siamo il Terzo Mondo d’Occidente?

“Sul fronte del lavoro non direi: gli obiettivi di Lisbona, il 60 per cento di occupazione, sono raggiunti in buona parte del Nord. Al Sud invece c’è molto lavoro nero che non risulta alle statistiche. Il problema semmai è l’accesso al potere. Ridotta all’osso, è una banale questione di posti. Per stare ai board: se 4000 donne devono entrare, 4000 uomini, che magari hanno meno titoli delle loro colleghe, devono uscire. Non c’è verso. Lo stesso in politica: per fare entrare in Parlamento 200 donne, 200 uomini devono sgomberare. E non ci pensano proprio”.

 E allora?

“E allora, quote”.

 

 

 

 

Donne e Uomini, Politica Maggio 8, 2011

IGNAZIO LAQUALUNQUE

Non avendo altri problemi da risolvere il ministro della Difesa Ignazio La Russauomo notoriamente bellissimo– durante una cena elettorale del Pdl a Milano a sostegno della ricandidatura di Letizia Moratti -altra vera bellezza– ha detto che nessuna eletta nel centrodestra è brutta quanto quelle del centrosinistra.

Ecco uno stralcio del luminoso discorso: “Dicono che Berlusconi fa eleggere solo le donne belle. Non è vero, ci sono alcune elette non belle anche da noi, ma certo non raggiungono l’apice della sinistra, di donne di cui non faccio il nome”. L’aveva già detto il coordinatore lombardo del Pdl, Mario Mantovani che, sempre ad una cena elettorale aveva nominato Rosy Bindi e Paola Concia (non a caso, due donne che per ragioni diverse non mettono gli uomini al centro della loro vita).

Come sempre, silenzio da parte delle donne del Pdl, e la ministra Carfagna non fa un plissé.

Non si tratta di semplice scostumatezza e di pochezza di argomenti, ma di vera strategia comunicativa. Messaggio: elettrice, se voti il centrosinistra vuole dire che anche tu fai parte della schiera delle cesse, perché quelle belle e quindi di successo stanno dalla nostra parte.

In quest’ultimo scorcio di campagna elettorale -e ancora di più, come pare ormai assodato per Milano, se si andrà al ballottaggio- la linea propagandistica del centrodestra sarà “back to basic”: soldi, sesso, paura, zona Cetto Laqualunque. Dagli al clandestino, tasse quasi a zero -mentre il centrosinistra vuole addirittura reintrodurre l’Ici prima casa!-, solo bonazze -e perché non, suggerisco, interventi estetici gratis?-, e qualche killer application dell’ultimo minuto, serie: tutti a Sharm a nostre spese.

Ma il Palasharp semivuoto di ieri, nonostante le barzellette del premier e il pregevole show di dancing Letizia, deve avergli fatto tremare le vene dei polsi.

Teniamoci pronti, perché da un certo punto in poi le battutacce e il populismo potrebbero non bastargli più.