Il 13 febbraio si è svolta in tutte le città italiane una manifestazione immensa, con ogni probabilità la più grande che si sia mai vista nel nostro paese, e totalmente pacifica, indetta dalle donne di Se non ora quando. Lì non si sono visti black bloc né altri imbecilli: e smettiamola di nobilitarli con questo nome suggestivo, le parole contano tantissimo. Lì non era proprio aria. Le forze dell’ordine hanno osservato i cortei che sfilavano e le piazze che si riempivano in tutta tranquillità. Lì non era possibile pensare di infiltrare provocatori e violenti. I black bloc e gli infiltrati sono sempre maschi. Dove ci sono tante donne, c’è maggiore sicurezza sociale.

Ecco perché anche questa piazza avrebbero dovuta chiamarla le donne: in tante e tanti guardavano a loro, per l’iniziativa. Non avremmo visto le cose che abbiamo visto ieri, o si sarebbe comunque trattato di episodi marginalissimi. Non avremmo assistito a questo rigurgito di passato, che non esprime affatto lo spirito del tempo ma solo il cretinismo e l’irresponsabilità di chi crede che la violenza sia legittima e che costituisca una soluzione. C’erano anche altre ragioni per questa piazza, prima fra le quali tornare a mostrare la soggettività politica femminile, ribadire che non è stata episodica, che senza una radicale femminilizzazione della rappresentanza e delle istituzioni, con tante donne e nei modi delle donne, ogni cambiamento in questo paese sarà fittizio.

Se non ora quando ha scelto un altro percorso: non una nuova piazza, ma il cammino per la costruzione del futuro politico imminente. Io credo che si sarebbero potute fare entrambe le cose. Il disastro di ieri a Roma mi conferma nel mio convincimento. Oggi sono pentita per non aver insistito.

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