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italia, Politica Giugno 9, 2014

Matteo il già-ex-Magnifico

Scanalare stamattina radio e tv  -analisi dei ballottaggi– e sentire dappertutto il mantra che forse l’effetto Renzi è finito mi ha precipitato in un misto di sconforto e incazzatura. Non perché io tifi pro o contro il suddetto effetto, ma perché mi pare incredibile che in 15 giorni, dicasi 15, si possa passare dalle ole, dagli squilli di tromba e dai carri del trionfo -e chi lo ferma più, è il lìder maximo, scaravolterà l’Italia come un calzino, anzi, pardon, l’Europa, è il nostro toreador- ai quasi-coccodrilli politici -visto? era solo paura di Grillo, era un risultato drogato, tutto è tornato com’era prima, etc. etc.-.

Dico proprio gli stessi sbandieratori di due settimane fa che ora si esercitano in mesti necrologi.

Le nostre vite sono una cosa seria, il destino del nostro Paese è una cosa seria, sarebbe bello che anche le analisi politiche fossero una cosa seria, e non una semplice appendice dello showbitz. Senza la notizia da strillare di volta in volta e da far scandagliare al carrozzone degli ospiti -anche loro, quasi sempre gli stessi- i talk diventano una palla pazzesca. E allora vai con l’ottovolante, dalle stelle alle stalle a breve giro per fare un po’ di share.

Ma natura non facit saltus, la realtà nemmeno: se uno era l’Imperatore-mondo il 26 maggio non può trovarsi in affanno il 9 giugno. O si esagerava prima o si sta esagerando ora.

Questa isteria crea un problema. Anzi: fa strutturalmente parte del problema. Come insegna la psicoanalisi con i suoi tempi canonici, se ci sono voluti trent’anni per costruire il guaio in cui ti trovi, difficile pensare di poterne uscire in un mese.

Vale anche per la politica: diamoci i tempi giusti per fare le cose (giuste) e per giudicarle. E basta con le strida. Basta con il consumo compulsivo di qualunque cosa.

Se poi la gente la prima domenica d’estate invece che a votare va al mare è anche perché delle strida ha fatto il pieno. E non le si può certo dare torto.

bambini, Donne e Uomini, italia, lavoro Maggio 5, 2014

Il Paese più vecchio del mondo (+precari = -bambini)

In mezzo ai tanti commenti su Genny ‘a Carogna e la débâcle dello stato democratico a cui abbiamo assistito sabato all’Olimpico, leggo sul Corriere, a firma Margherita De Bac, un’altra notizia molto sconfortante sul nostro Paese : i nostri tassi di natalità, già tra i più bassi del mondo, si stanno ulteriormente  riducendo a causa della grande crisi: -7.4 per cento tra il 2008 e il 2012, a cui si aggiungerebbe, secondo i primi dati provvisori, un altro calo pari al -4.3 nel 2013.

In parole povere, una catastrofe demografica. Siamo già il Paese più vecchio d’Europa, diventeremo un Paese vecchissimo. A ciò si aggiunga l’anzianità delle primipare italiane- record europeo pure questo: 4 su 10 mettono al mondo il primo figlio dopo i 35, con il bio-orologio già in fase di declino.

La natalità italiana tendente a zero va posta in correlazione diretta con la scarsa occupazione femminile –ancora non si è capito, o si finge di non capire, che le donne fanno tanti più figli quanto più lavorano- oltre che con la mancanza di servizi alle famiglie.

Osserva la sociologa Chiara Saraceno che “anche il tipo di contratto di lavoro conta ai fini delle scelte di fecondità… Nel 2013 aveva già un figlio il 34.1 per cento delle donne con un rapporto di lavoro stabile, a fronte del 23.8 per cento di chi ne aveva uno a tempo determinato”.

Il precariato, correlato a una bassa protezione sociale, aumenta la denatalità. Se a questo si aggiungono i servizi che mancano, i conti sono presto fatti.

Non la metterei sul piano dei numeri, delle statistiche e della demografia. Preferisco dirla così: tra i compiti del governo di un Paese c’è anche quello di non impedire alle cittadine quel “doppio sì” (sì al lavoro, sì alla maternità) che per moltissime –la gran parte?- qualifica il senso dell’essere donna. Direi di più: mettere al centro delle politiche questo “doppio sì” farebbe il bene di tutti.

Purtroppo la mancanza di misure davvero efficaci a favore dell’occupazione femminile, il consolidamento del precariato e l’assenza di vere politiche sulla famiglia vanno in tutt’altra direzione.

 

AMARE GLI ALTRI, economics, italia, Politica Aprile 21, 2014

Migranti: lo sbarco di Pasqua

Emma Bajardi, volontaria della Fondazione Francesca Rava con un piccolo migrante a bordo della nave Espero

Il viaggio dei migranti eritrei  non è durato giorni o settimane. Il viaggio è durato mesi e mesi. Passando per Khartoum, Sudan, dove i più fortunati sono riusciti a trovare un lavoro per racimolare almeno parte della somma necessaria a pagare il “passaggio” sui barconi: gli altri soldi li hanno avuti dai parenti già emigrati in Europa, o sono un “investimento” dalle famiglie, un’assicurazione sul futuro. Poi da Khartoum la traversata del deserto fino alle coste libiche, dove i migranti in arrivo dal Corno D’Africa o dalla Siria vengono catturati, imprigionati in campi di detenzione, picchiati, torturati, le donne violentate: l’organizzazione criminale ramificata che specula sulla disperazione è uno dei principali business della Libia di oggi. Vogliono soldi, tutti quelli che riescono a estorcere, per assicurare il viaggio verso le coste nord del Mediterraneo.

L’esodo di Daniele, 22 anni -si è dato un nome italiano per facilitarci- è durato 8 mesi. Il passaggio sul barcone gli è costato 1650 dollari. Con quelle 4 parole italiane che ha a disposizione dice che in Libia sono “tutti ladri”, continua a ripetere che erano anche poliziotti e militari, ma “con maschera”, in faccia non li ha visti. Nei campi di detenzione, in attesa di imbarcarsi, è rimasto tre settimane. Tanto “picchiare”, un pane e un po’ di acqua quanto meno per tenerli vivi.

Nave San Giorgio ci sbarca ad Augusta. Dopo i recuperi biblici del 7-8-9 aprile, quasi 7 mila persone, il traffico si è momentaneamente fermato. Le condizioni del mare sono state proibitive. Anche per la settimana entrante si prevede tempesta. Ma a Sabato Santo e a Pasqua il maltempo ha dato una breve tregua. Veniamo avvisati che gli scafisti potrebbero approfittare di questa breve finestra di mare buono per far partire dei barconi. Attendiamo ad Augusta, finché non arriva la conferma: due barconi sono in viaggio, la fregata Espero e il pattugliatore Cassiopea si stanno dirigendo a recuperarli. Sbarcheranno a Pozzallo, nel Ragusano, estremo sud della Sicilia.

Ci trasferiamo da Augusta a Pozzallo e la mattina presto una motovedetta della Capitaneria di Porto ci permette di raggiungere la nave Espero, all’ancora con il suo carico umano a poche miglia dal porto. Il pilota della motovedetta taglia corto: “Ce lo lascerebbe, lei, un bambino di un anno ad affogare in mare?“. In prossimità della nave sentiamo un canto. La folla dei migranti -433, di cui 75 donne, 4 incinte, 3 bambini piccoli e decine di minori non accompagnati, migranti ragazzini- è assiepata sul ponte: un’altra notte all’addiaccio dopo la giornata e la nottata sul barcone, sull’Espero non c’è altro posto dove metterli. Hanno mangiato un po’ di pasta, ci sono pentoloni di the caldo e merendine. Non stanno cantando. Stanno pregando. Sono quasi tutti cristiani, è Pasqua anche per loro.

Bisogna vederlo il mare di notte, i fuochi tetri delle piattaforme petrolifere della Libia, per capire quanta paura puoi provare quando ti stipano su quei pezzi di legno che dovranno affrontare centinaia di miglia. Certe volte, dicono i marinai di Mare Nostrum, sono gommoni semi-sgonfi e talmente affollati che vedi solo un grappolo umano in mezzo al mare, come se galleggiasse senza natante. Devi scappare da una paura ben più grande per riuscire ad affrontare quella. Lo chiedo a Daniele: “Non hai avuto paura a salire sul barcone?”. “No” mi risponde. “Mi aiuta Dio, e Santa Maria”. Ce l’ha anche scritto sul corpo, “God”, un piccolo tatuaggio sul collo. La Madonna addolorata delle processioni che il Venerdì Santo in tutta la Sicilia piangono la morte di Gesù deve aver pregato anche per loro. Quando scendono dalla grande chiatta che li scarica in porto si inginocchiano e toccano la terra con la fronte, e poi la baciano tre volte. Il rituale rallenta le operazioni di sbarco -il passaggio ai metal detector, la foto per una prima identificazione- ma le forze dell’ordine, Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, medici e volontari della Protezione Civile, attendono rispettosamente che possa compiersi.

Il medico dà l’autorizzazione allo sbarco. C’è un uomo febbricitante che trema a terra, quasi tutti hanno una tosse straziante, viaggiano praticamente nudi, con una T-shirt o una camicina, nessun bagaglio, niente di niente, i più fortunati hanno un cappello e una felpa. Da Cassiopea è stato trasportato in elicottero un diabetico in coma iperglicemico, ma stavolta gravi problemi sanitari non ce ne sono stati. Il dottore si avvicina a una ragazza incinta al settimo mese, è talmente minuscola che la pancia quasi non si vede: le palpa l’addome, le donne lanciano un piccolo grido di allarme, questa intimità fisica sembra una violazione. Cerchiamo di tranquillizzarle: “He’s a doctor. He’s papa“, non le sta facendo del male. I bimbi, non più di due anni, corrono sul ponte con un pallone. Nebi non apprezza le nostre carezze di donne. E’ piuttosto macho, preferisce farsi delle passeggiatine per mano a un omone in tuta mimetica del battaglione San Marco.

Quando la grande chiatta carica di umanità si stacca dalla nave, i generosi marinai di Espero che si affacciano per assistere alle operazioni, i migranti esplodono in uno, due, tre applausi. Di ringraziamento, di sollievo, di speranza. Ci sarà ancora da tribolare ma forse il peggio è alle spalle. Lì proprio non riesco a trattenermi, le lacrime bagnano la mia mascherina sanitaria. Penso ai bastimenti dei miei trisavoli che approdarono a Ellis Island, New York. Il loro nome è ancora sui registri. Stessa carne, stessa umanità bisognosa.

Le operazioni di sbarco sono lunghe e complesse, il caldo africano arroventa la banchina. I migranti sono destinati al centro di prima accoglienza di Comiso, vari pullman sono in attesa. Le donne fanno resistenza. Si accucciano quiete e caparbie, non vogliono salire. Non intendono venire separate dai loro compagni di viaggio. Dico ai poliziotti che forse ci vorrebbero delle donne per accompagnarle, che vedere tanti uomini in divisa può spaventarle. Alla fine si convincono e salgono a bordo. I ragazzini sono i più eccitati: quei pullman con l’aria condizionata sembrano navicelle spaziali, si accomodano ai loro posti con gli occhi che brillano. Alcuni possibili scafisti vengono intercettati.

La carovana parte: pullman, camionette della polizia, la nostra auto al seguito. Un’oretta di viaggio nella campagna ragusana, tra i carrubi e i muri a secco, mentre i siciliani siedono a tavola per il pranzo pasquale. In prossimità del centro la carovana rallenta e poi sosta per qualche minuto. E’ un attimo: una dozzina di migranti balza fuori dal finestrino dell’autista, una corsa disperata tra i campi assolati per paura di chissà che cosa, per andare chissà dove. C’è anche una ragazza che corre come una giovane gazzella. I poliziotti non riescono a fermarli. Ne acchiappano uno che resta qualche minuto a terra, una smorfia di dolore, come Gesù caduto sotto la sua croce.

Il centro è accogliente, decoroso, ristrutturato da poco. Piccole casette, materassi di gommapiuma allineati ordinatamente nelle stanze, lenzuola ancora nei cellophane, coperte, bagni puliti. Nel cortile viene distribuito il pasto: conchiglie al pomodoro, carne, patate, acqua. Qualche cagnetto randagio circola sperando di intercettare un boccone. Ci sono già ospiti: giovani nigeriani e ghanesi lindi nelle loro tute nuove: i siciliani sono disperati per quello che sta capitando nella loro isola eppure sempre pronti a soccorrere, a condividere, a portare abiti e scarpe smesse. Fanno quello che possono. Un giovane nigeriano si avvicina. Mi dice in inglese che lui e i suoi compagni stanno lì da 17 giorni: solo mangiare e dormire, non è vita, così finiremo per ammalarci. Siamo venuti qui per lavorare. Scambio uno sguardo con un poliziotto: lavorare? Il poliziotto allarga le braccia: ormai anche per i lavori agricoli stagionali si fanno sotto i siciliani. Gli ospiti del centro chiedono tutto: sigarette, euro, poter telefonare in Nigeria o in Norvegia dove hanno qualche parente a cui riferirsi.

La Marina Militare con la missione Mare Nostrum fa splendidamente il suo lavoro: 28 mila persone tirate su dal mare in 6 mesi, tante donne e bambini, anche partoriti sul barcone. Un modello di accoglienza e di efficienza a cui il mondo dovrebbe guardare. I problemi cominciano a terra. Cosa fare di tutta questa gente, dove sistemarla, come aiutarla a campare. Il resto d’Europa se ne lava allegramente le mani. Ad Augusta, per esempio, c’è una scuola che ospita 80 minori non accompagnati. Stanno lì da mesi. Girano per la città come cuccioli randagi. Quello che è capitato a Lampedusa, che momentaneamente ha chiuso a nuovi arrivi, oggi sta capitando in tutta la Sicilia.

Chiudo con i numeri di ieri: più di 800 migranti recuperati da Espero e Cassiopea con l’aiuto del mercantile Red Sea. A cui è seguito nelle ultime ore il soccorso di altri 400 migranti presi a bordo da nave San Giorgio: dopo le prime cure da parte del personale sanitario, tra cui i volontari della Fondazione Francesca Rava (con il supporto di Wind), oggi saranno trasferiti su Espero che li sbarcherà da qualche parte. 1200 persone in poche ore. Appena le condizioni del mare lo consentiranno, con il buon tempo di maggio, giugno, luglio, gli sbarchi riprenderanno a ritmo esponenziale: non è detto che il canale umanitario di Mare Nostrum abbia risorse per continuare a lungo la missione, e questo potrebbe provocare un esodo biblico dalle coste sud del Mediterraneo. Secondo il ministro Alfano ci sarebbero 600 mila persone in attesa di imbarcarsi.

Le prossime settimane potrebbero essere drammatiche.

C’è bisogno di tutto. E di tutti. Nessuno escluso.

Pasqua con Mare Nostrum: tra i migranti, sulla chiatta che sta per sbarcarli a Pozzallo (Rg)

 

Integro il post con l’articolo che ho scritto per il Corriere di oggi

Ambeba e Yonas aspettano il loro primo figlio. Lei è al quinto mese e dice che vuole far nascere il bambino in Norvegia.

La meta di Saia, 17 anni, è la Germania, dove la sorella è bigliettaia sui bus. Saia è sola. In Libia la sua bellezza l’ha pagata cara: i criminali che gestiscono il traffico umano –un enorme business, capitolo della tratta degli schiavi- non si sono accontentati dei soldi.

Daniele mastica un po’ di italiano e traduce con pudore la testimonianza della “sorella”. In Libia “tutti ladri”, dice, vogliono soldi, picchiano, stuprano. Anche per lui un viaggio di 8 mesi e le terribili ultime settimane nei campi libici. Usano le scosse elettriche se esiti a salire sui barconi, nel mare nero e gonfio della notte. Ma la paura da cui stai fuggendo è ben più grande di quella di affrontare il mare aperto.

Se ce l’hanno fatta ad arrivare fino a qui dall’Eritrea, via Khartoum, la traversata biblica del deserto e poi gli schiavisti libici, se ora sono a Pozzallo (Rg) e baciano la terra uno a uno, rito che rallenta le operazioni di sbarco, l’ultima tratta del viaggio non sarà poi così dura. Troveranno sempre qualcuno che gli darà un paio di scarpe, una caciotta, un frutto.

Qui in Sicilia, che è ormai un’enorme Lampedusa, la gente è spaventata. Si mettono le mani nei capelli: “Come faremo?”. Ma poi quando c’è da fare fanno. Se c’è da andare in mare a tirare su la gente, vanno. Anche bambini morti, come è capitato su Espero, una delle navi della missione Mare Nostrum che in 6 mesi ha salvato 28 mila naufraghi: solo grazie a questo il Mediterraneo non è una fossa comune.

Il comandante di Espero dice che sono stati loro i primi a ripescare i morti dopo la tragedia di ottobre a Lampedusa. Anche piccoli di un anno. Non erano ancora attrezzati e neanche il loro cuore lo era. A bordo giusto qualche mascherina sanitaria. Le salme le hanno distese sul ponte della nave.

Su questo stesso ponte la mattina di Pasqua 433 migranti cantano le lodi del Signore. Quasi tutti eritrei e cristiani: 75  donne, quattro incinte, 3 bambini, decine di minori soli, ripescati nel corridoio umanitario garantito dalla missione Mare Nostrum in un’area di 71 mila km quadrati dove si muovono 5 navi con 779 militari, elicotteri, gommoni, 1 drone e altri mezzi, in collaborazione con forze dell’ordine e magistratura (78 scafisti arrestati). Unità mediche coadiuvate dal personale sanitario volontario della Fondazione Francesca Rava. Una straordinaria macchina di sorveglianza e di accoglienza che solo tra il 7 e il 9 aprile ha salvato 6769 migranti. E a Pasqua e Pasquetta -breve finestra di mare calmo- altre 1200 persone accolte da Espero, Cassiopea, San Giorgio e dal mercantile Red Sea.

Un prodotto d.o.p. tutto italiano, questa missione, che dovrebbe costituire un modello da esportare e che invece non gode di attenzione né di sostegno da parte del resto d’Europa: 9 milioni al mese, fondi stornati dalle ordinarie attività della Marina Militare e che ormai non bastano più.

Appena il mare si calmerà i barconi arriveranno a centinaia: 600 mila persone attendono di salpare, secondo il ministro dell’Interno Alfano. “Noi siamo solo l’aspirina” dice l’ammiraglio Filippo Maria Foffi, Comandante in capo della Squadra Navale “e non la cura della malattia. Il problema dei flussi va affrontato dalle Nazioni Unite con Ue e Unione Africana, con programmi di sviluppo e repressione di chi lucra sulle vite umane”.

Quando la chiatta affollata di migranti si stacca da Espero per raggiungere Pozzallo, il popolo dei salvati fa esplodere un applauso di ringraziamento, a Dio e agli uomini, al tè caldo e ai 60 chili di pasta all’olio.

Il problema sarà il pane di domani.   

AMARE GLI ALTRI, italia, Politica Aprile 19, 2014

Il Cristo sui barconi

Fra poche ore a Pozzallo (Ragusa) , Sicilia sud-orientale, non lontano da Capo Passero, sbarcherà quasi un migliaio di migranti, due barconi soccorsi nel pomeriggio dalla missione Mare Nostrum al largo delle coste libiche: uno di quei barconi lo vedete qui nella foto.

Sarò lì insieme ai migranti e alle loro sofferenze, ad ascoltare le storie che hanno da raccontare.

Sarà per me una Pasqua molto speciale, l’incontro con Gesù Cristo in persona, morto nella miseria e nella disperazione e risorto nell’accoglienza e nell’amore.

Per ora mi limito a questo, e a un augurio di buona Pasqua.

In particolare auguri a quei giovani marinai e a tutti i volontari, a cominciare dal personale sanitario della Fondazione Francesca Rava, che lavorano senza sosta per evitare che il nostro mare si trasformi nell’orrore di una fossa comune.

 

Donne e Uomini, italia, Politica, questione maschile Aprile 3, 2014

Cara Ministra Lorenzin, sono gli uomini a dover essere “educati alla maternità”

Batrice Lorenzin, ministra per la Salute

L’espressione, “grande piano nazionale di fertilità”, non è sicuramente delle più felici, e nemmeno l’idea di “educare alla maternità”. Specialmente in bocca a una donna, la ministra per la Salute Beatrice Lorenzin, che come capita spesso alle ministre e alle donne politiche sembra dimenticare di esserlo anche lei. Parole, le sue, che ricordano fatalmente i tempi bui dei figli alla patria e fanno pensare alle donne come mansuete fattrici.

In un’intervista ad “Avvenire” la ministra ha infatti affermato che

i bambini devono tornare a nascere e serve educare alla maternità. Ho in testa una nuova sfida, un grande piano nazionale di fertilità. Il crollo demografico è un crollo non solo economico, ma anche sociale. È una decadenza che va frenata con politiche di comunicazione, di educazione e di scelte sanitarie. Bisogna dire con chiarezza che avere un figlio a trentacinque anni può essere un problema, bisogna prendere decisioni per aiutare la fertilità in questo Paese e io ci sto lavorando. Sia chiaro: nessun retropensiero e nessuno schema ideologico, ma dobbiamo affrontare il tema di un Paese dove non nascono i bambini“.

La denatalità è senz’altro un problema: siamo il Paese più vecchio d’Europa, e tanti di quei pochi giovani sono costretti ad andarsene per campare. Quindi anche i loro figli non saranno “nostri”, se è possibile dirla in questo modo. Nei panni della ministra, però, le cose le avrei messe così:

è necessaria, certo, un'”educazione alla maternità”, rivolta al mondo dell’impresa che -vedi dimissioni in bianco e tutto il resto- pensa la gravidanza come un lusso o una peste, e le giovani madri come una iattura. Ma anche alla politica, che perpetua l’idea dell’alternativa secca tra lavoratrici e madri (o sei una cosa, o sei l’altra: e se sei l’altra te ne stai tranquilla a casa) ignorando il dato statistico che dimostra la correlazione positiva tra tasso di occupazione femminile e natalità.

Per rieducare la politica è necessario rompere con questo pregiudizio, radicato nel desiderio maschile, che la donna resti a casa a fare la madre, a completa disposizione. Questo è uno degli aspetti della nostra tenace questione maschile. Sono gli uomini a dover essere educati alla maternità.

Educazione alla maternità significa mettere al centro delle politiche questa coppia madre-bambino, le cui raffigurazioni abbondano nelle chiese del nostro Paese, mariano e prima ancora di Grandi Madri, ma nemico delle piccole madri e antimaterno. Significa l’adozione di misure a favore dell’occupazione femminile, sostegno alle imprese di donne, accesso agevolato al credito: più le donne lavoreranno, più bambini nasceranno. Significa offrire un reddito di esistenza e garantire la maternità universale, anche in assenza di contratti a tempo indeterminato, sempre più assenti. Significa costruire una società mummy-and-baby friendly. Significa garantire i servizi indispensabili alle famiglie e ai caregiver, donne o uomini che siano. Significa offrire possibilità abitative e accesso ai mutui per le giovani coppie.

(il governo danese, molto creativo, spinge addirittura le coppie a viaggi romantici per concepire più bambini, offrendo bonus economici a chi dimostrerà un concepimento a Parigi o a Venezia: ma non si pretende tanto).

Questo sì, sarebbe un grandissimo piano di “educazione alla maternità”. Che consentirebbe alle donne nella loro piena autodeterminazione di decidere sulla propria maternità: libere di scegliere non soltanto di poter interrompere la gravidanza in sicurezza, con la piena applicazione della 194 azzerata dall’obiezione, ma anche e soprattutto di non dover congelare la loro fecondità fino al limite estremo dell’età fertile e di non dover ricorrere alla fecondazione assistita.

Se per piano nazionale di fertilità la ministra Lorenzin intende tutto questo, be’, si tratta di un’idea grandiosa. Siamo tutte qui per darle una mano.

 

 

economics, italia, lavoro Marzo 24, 2014

Start up innovative: finalmente una buona notizia

Qualcosa si muove sul fronte “start up innovative”: ce lo spiega Rita Castellani di Newnomics

Grazie ad un provvedimento del Governo Monti (l.221/2012), integrato da uno successivo del Governo Letta (d.l. 76/2013), che ha definito per la prima volta nell’ordinamento giuridico il concetto di “start up innovativa” e introdotto un regime fiscale di favore, come esistente in numerosi paesi europei, qualcosa si sta muovendo.

La normativa, entrata in vigore lo scorso ottobre dopo le verifiche europee di conformità, comincia a dare i suoi frutti. Nell’apposito Registro speciale creato un anno fa presso le Camere di Commercio sono già 1800 le nuove iscrizioni. E grazie ad uno speciale visto per l’ingresso di investitori stranieri (start up visa), che prevede una procedura particolarmente veloce, che sarà operativo a breve, ci si aspetta anche l’ingresso di capitali dall’estero: per investire greenfield, cioè su nuove attività, e questa sarebbe davvero una bella novità.

Il regime fiscale è particolarmente favorevole, in particolare per l’assunzione di alte professionalità e per la remunerazione di dipendenti e fornitori di servizi con stock options (credito d’imposta del 35 per cento). E la Regione Campania sta pensando anche ad una integrazione con la sospensione dell’Irap.

Non sono previsti, invece, contratti di lavoro “punitivi”. Perché gli imprenditori che mirano ad alta produttività sanno bene che non si concilia con condizioni di lavoro mortificanti.

Speriamo che questo supporto alla creazione d’impresa non venga meno nel prossimo Dpef e che, anzi, venga potenziato. Perché questa è davvero una misura che può cambiare il passo del paese, invertendo il flusso in uscita di giovani competenze che ne sta rapidamente impoverendo la linfa vitale.

italia, leadershit, Politica Marzo 18, 2014

Uomini soli al comando

Il Grande Capo è da rottamare: molte moderne teorie dell’organizzazione convengono su questo.

Il leader non è mai la soluzione dei problemi organizzativi. Semmai è il problema delle organizzazioni: ingombro e ingorgo alla fluidità dei processi, la cui efficacia invece chiede rete, network orizzontali, intelligenza che corre elettricamente da un ganglio all’altro come tra i neuroni di un’unico organismo.

Vi sarà capitato di imbattervi in questi discorsi -girano da qualche anno- che oggi però appaiono smentiti dai fatti. Quanto meno dai fatti della politica, che non smette di produrre protagonisti assoluti, leader incontrastati, uomini soli al comando. Berlusconi, Grillo, Renzi: il più delle rispettive “ditte” sono loro. Leader che non si privano del collettivo -i club, il web, le varie assise-, né rinunciano alla consultazione e alla postura dell’ascolto. Ma poi a sintesi ci vanno da soli, o accompagnati da pochissimi “intimi” selezionati con criteri extra-democratici o “magici”.

Ne parlo con Andrea Vitullo, consulente filosofico, docente ed executive coach. E autore di “Leadershit” : titolo sufficientemente chiaro.

“E’ come se ci fossero due modalità contrapposte” mi dice. “Mondi organizzativi evoluti, come quello dell’high-tech, dove l’eccesso di leaderhip è letto immediatamente come sintomo di cattiva salute e di scarse prospettive per un’azienda. E poi ci sono mondi come quello dell’organizzazione politica, dove si continua a fare riferimento ai vecchi parametri meramente quantitativi (il Pil, il 3 per cento e così via) che chiamano necessariamente la figura del salvatore-decisore. Nel suo ultimo saggio Thrive” (=prosperare, trarre profitto) Arianna Huffington, che è stata una donna di straordinario successo, delinea nuovi parametri per definire la realizzazione personale: successo non più come carriera, potere e soldi, ma come autentico benessere interiore, capacità di appassionarsi e di stupirsi, abbondanza di relazioni, propensione a dare. La nuova abbondanza è questo. Paradossalmente proprio questi cambiamenti profondi inducono una parte del mondo a tenere difensivamente duro sui vecchi paradigmi”.

Insomma, da che parte andiamo?

Aggiornamento 20 marzo ore 11: vedo che Nadia Urbinati ha scritto un libro proprio su questo tema: “Democrazia sfigurata. Il popolo tra opinione e verità” (Egea, € 29).

 

cultura, italia, scuola Marzo 15, 2014

Università: eccellenze “bocciate” dall’Abilitazione Nazionale

Se il premier Renzi ha davvero a cuore il nostro sistema educativo come base di una rinascita del Paese, suggerirei di buttare l’occhio sull’Abilitazione Scientifica Nazionale: “patentino” che consente ai ricercatori universitari di accedere ai concorsi per ottenere un incarico, novità introdotta nel 2010 dalla ministra Gelmini.

No-abilitazione, quindi, no-concorsi: anche se poi, il paradosso è questo, benché non abilitato spesso resti a insegnare. Come precario.

Oltre 50 mila domande esaminate dalle 200 commissioni per la tornata 2012-13, abilitati circa il 30 per cento dei candidati. Clamorose le bocciature di eccellenze, spesso da parte di commissari con meno titoli degli esaminati: su “Repubblica” Corrado Zunino segnala tra gli altri il caso della clinica Elisabetta Kon, “vera scienziata, un’autorità in campo internazionale” e quello di Augusto Neri, vulcanologo di fama mondiale. Entrambi fuori.

Per contro, sottolinea Zunino, passati figli-di e amici di amici, secondo la logica delle baronie e delle lobby che l’Abilitazione Nazionale avrebbe dovuto arginare.

Clamoroso il caso di Progettazione Architettonica, con uno striminzito 20 per cento di abilitazioni e bocciature di progettisti di chiara fama: l’Associazione italiana di Architettura e critica parla di una commissione sessista e maschilista.

Sessista e maschilista –forse-, certamente ignara dell’esistenza del pensiero italiano della Differenza Sessuale –conosciuto invece e studiato in Spagna, in Francia, negli Stati Uniti- anche la commissione che ha respinto la filosofa Annarosa Buttarelli, nota tra l’altro per aver cambiato l’ermeneutica della filosofia di Maria Zambrano.

La sua produzione è definita di “corrente”. Si parla nel giudizio di “specificità femminile” e di “studi di genere… non presenti nella nostra tradizione accademica” (come se poi la filosofia non fosse, quasi per definizione, rottura critica di tradizioni).

Criteri peraltro, quelli di “specificità” e di “genere”, che niente hanno a che vedere con il pensiero della differenza e con Buttarelli, ritratta dal giudizio come “militante” e non come filosofa. Racconto questo caso perché lo conosco da vicino. Annarosa Buttarelli è ideatrice e coordinatrice del Master in Filosofia di Trasfomazione presso l’Università di Verona e tra le fondatrici e animatrici della comunità filosofica Diotima. Due assolute eccellenze di quell’ateneo.

Migliaia i ricorsi dei candidati. Molti chiedono che il bando 2012 venga annullato. La richiesta è di tornare ai concorsi, individuando nuovi criteri per la valutazione dei titoli.

Forse sì, ci si dovrebbe pensare.

 

Donne e Uomini, italia, Politica, questione maschile Marzo 6, 2014

Una legge francese contro la “questione maschile”. Proviamoci anche noi

 

In corso in queste ore alla Camera la battaglia sul 50/50 nelle liste elettorali. Le deputate hanno formato un fronte bipartisan per ottenere l’alternanza uomo-donna e il 50 per cento dei capilista, con la solidarietà della presidente Laura Boldrini.

L’attuale testo dell’Italicum prevede l’alternanza due-uno, e secondo le simulazioni provocherebbe infatti una diminuzione delle elette. Parte degli emendamenti proposti sono stati accantonati, altri attendono di essere esaminati. Non si sa se entro stasera o la prossima settimana: il dibattito proseguirà fino a mezzanotte per essere ripreso lunedì, con slittamento del voto finale. Né si sa se il voto sarà palese oppure, su richiesta di un numero congruo di deputati, segreto. In quest’ultimo caso gli emendamenti verrebbero certamente respinti con una mitragliata maschile bipartisan. Ma anche il voto palese non costituirebbe una tutela: Forza Italia, nonostante la mobilitazione di molte parlamentari di questo schieramento, difende l’attuale testo.

Potrebbe essere, insomma, un 8 marzo molto amaro.

Nel frattempo in Francia le cose sembrano andare meglio. In dirittura d’arrivo un’articolata legge di parità, una sorta di legge-quadro che prende di petto e complessivamente la “questione maschile”, proponendo per macro-aree tematiche (politica, lavoro, famiglia, violenza, autodeterminazione) dispositivi per un’effettiva applicazione delle normative già vigenti: spesso infatti le leggi esistono, ma vengono aggirate o restano inapplicate, come nel caso della nostra 194, affossata da una ponderosa obiezione di coscienza. Ma nella proposta francese ci sono anche novità legislative.

Affrontare la questione maschile, tutta insieme, e non un pezzetto alla volta: questa la novità dell’impostazione. “Poiché le disuguaglianze sono presenti ovunque” spiegano gli estensori della proposta “dobbiamo agire ovunque”.

Si parla per esempio di riforma dei congedi parentali, con relative sanzioni. Di meccanismi penalizzanti per le aziende con board ostinatamente monosex. Di semplificare l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. Di una giustizia più efficace e rapida contro la violenza sessista. E anche di liste elettorali che garantiscano, pena la non ammissibilità, un’effettiva equa rappresentanza (tutta la legge la trovate qui).

Ispirandosi al modello francese, calibrato e adattato alla situazione italiana (qui stiamo certamente peggio delle francesi), i deputati Michela Marzano e Pippo Civati hanno pensato di lavorare a uno schema simile, avvalendosi del contributo di chiunque abbia indicazioni e suggerimenti.

Anch’io intendo dare una mano alla redazione di questa proposta. E dicendo “io” mi riferisco anche alle lettrici e ai lettori di questo blog.

Una legge che nasce dall’esperienza e dalle riflessioni del maggior numero di donne e di uomini nasce più forte e radicata, scritta nella coscienza collettiva prima ancora che nei codici.

Vi invito quindi a leggere attentamente la proposta francese e a far pervenire qui le vostre osservazioni.

(per chi legge agevolmente in francese, ecco il testo integrale).

p.s. Questo post accetterà solo commenti che contribuiscono alla costruzione della proposta.

 

Donne e Uomini, economics, italia, lavoro Febbraio 28, 2014

8 marzo: l’8 x 1000 x creare LAVORO!

 

Ottima idea di alcune amiche (Annamaria Salinari, Caterina Della Torre e altre): l’8 x 1000 per creare lavoro.

Un’idea subito praticabile, femminilmente concreta e a cui moltissimi contribuenti aderirebbero con convinzione.

Qui ve la racconto. E aderisco all’iniziativa, che sarà ufficialmente lanciata il prossimo 8 marzo con una manifestazione davanti a Montecitorio.

 

CHE COS’E’ L’8 X 1000?

E’ una quota d’imposta, ricavata dall’IRPEF, che la Repubblica Italiana ripartisce secondo le scelte dei contribuenti, fra lo Stato e varie confessioni religiose, tra cui la Chiesa Cattolica. E’ stata introdotta dall’art. 47 della legge 20 maggio 1985 n.222 in attuazione del concordato tra Repubblica Italiana e Santa Sede, e stabilisce gli ambiti nei quali i soggetti beneficiari possono impiegare i fondi ricevuti e il meccanismo di calcolo di tale quota. I contribuenti non hanno obbligo di destinare il loro 8 x 1000, ma se non effettuano una scelta viene ripartito tra i soggetti beneficiari in proporzione alle scelte espresse dagli altri.

 

8 x 1000 ALLO STATO

Viene utilizzato per interventi straordinari, come: fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione beni culturali. Con la Legge di Stabilità 2014 è stata introdotta una quota in favore dell’Edilizia Scolastica. Talvolta, per mancanza di disponibilità finanziaria, una parte dell’8 per mille viene destinato dal Governo a bilancio generale, per scopi estranei da quelli previsti.
Una sezione del sito internet del Governo è comunque dedicato alla gestione dei fondi di pertinenza statale. Lì è possibile sia consultare l’elenco delle attività finanziate, sia candidarsi per ricevere finanziamenti ad attività che rientrino nelle categorie d’intervento previste.

 

8 x 1000 ALLA CHIESA CATTOLICA

Poche quote vanno allo Stato: nel 2013 la Chiesa Cattolica ha totalizzato l’82 per cento delle preferenze, per un importo pari ad un miliardo e 32 milioni. Perchè? Per svariate ragioni: perchè i contribuenti non sanno che pur non facendo la scelta la loro quota sarà comunque considerata in base alle percentuali di coloro che invece hanno scelto. Perchè molti contribuenti sono cattolici e hanno fiducia nell’uso che la Chiesa Cattolica farà della loro quota. Perchè, se pur laici, hanno ormai poca fiducia nello Stato. Perchè lo Stato pubblica sul suo sito (non tutti hanno internet) l’utilizzo che fa dell’8x mille ma non LO pubblicizza così come fa   la Chiesa Cattolica.

 

CRISI DEL LAVORO COME CALAMITA’

Anche la mancanza di lavoro -oggi gli ultimissimi e drammaticissimi dati– e di risorse economiche da destinare a misure per l’occupazione a agli ammortizzatori sociali può essere considerata come una calamità, individuale e sociale.
L’idea è quella di un 8 x mille da destinare a un Fondo per l’Occupazione che avvii progetti che creino lavoro e supportino l’economia. Con un’attenzione particolare alla migliore risorsa di cui il nostro Paese dispone: la cultura.

 

FONDO PER L’OCCUPAZIONE: CHE COS’E’?

Una quota dell’8 per mille devoluto allo Stato -da definire con apposito decreto- dovrebbe andare a costituire il patrimonio di una Fondazione per l’Occupazione che si occupi di progetti, crei cooperative e posti di lavoro.
Il patrimonio si rigenererebbe grazie ad una parte degli utili delle cooperative e all’8 x 1000 della dichiarazione dei redditi annuale. Il Fondo sarebbe gestito da una Fondazione per l’Occupazione costituita da professionisti allo scopo di creare e selezionare, realizzare ed avviare progetti che originino cooperative e posti di lavoro. Un Giurì per l’Occupazione garantirebbe il rispetto dello scopo della Fondazione, l’applicazione del processo e delle regole definite per la scelta dei progetti da finanziare, la trasparenza dei dati, l’analisi dei risultati per tarare e migliorare il processo. Il Giurì sarebbe inizialmente costituito in uguale misura da rappresentanti dello Stato (Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero del Lavoro) e rappresentanti della realtà proponente; in seguito costituito da rappresentanti dello Stato e da rappresentanti eletti dalla Fondazione, con vincolo di un solo mandato.

Quali progetti per l’occupazione: innovatori, internazionali, sostenibili, sociali, in franchising.

Ambiti: artigianato e piccola industria, arte e design, beni culturali, turismo ed enogastronomia, servizi.

Qui si può aderire alla petizione 8 x 1000 per il lavoro. La pagina Facebook la trovate invece qui.