Browsing Category

diritti

bambini, Corpo-anima, diritti, Donne e Uomini Luglio 22, 2014

Fecondazione assistita: anche per le single?

Nella sua ultima sentenza sulla legge 40 che regola la fecondazione medicalmente assistita, dichiarando incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa la Corte Costituzionale chiarisce anche che la legge sta comunque in piedi, cioè che non si è aperto alcun vuoto normativo e che servono solo linee guida essenziali per la sua applicazione: in particolare, vanno garantite sicurezza sanitaria e tracciabilità genetica, ovvero la possibilità per il nascituro di accedere ai dati genetici del donatore che ha “contribuito” alla sua venuta al mondo.

Servirebbe invece l’intervento del legislatore se si volesse modificare il testo della legge 40. Tra i tanti, pongo alla vostra attenzione 3 possibili temi di intervento legislativo:

1. oggi la legge consente l’accesso alla fecondazione assistita solo a coppie infertili, non invece a coppie che non hanno problemi di sterilità ma sono portatrici di malattie genetiche o cromosomiche e che grazie alla fecondazione assistita potrebbero assicurarsi di mettere al mondo figli sani

2. il donatore e la donatrice -nel caso di fecondazione eterologa- sono anonimi: anche nel caso di tracciabilità genetica, la loro identità anagrafica non è nota. In molti Paesi, per esempio in Gran Bretagna, è invece riconosciuto il diritto del figlio e della figlia ad accedere ai dati anagrafici del “genitore” biologico

3. in Italia non è previsto l’accesso dei single alle banche dei gameti. Molte donne single, turiste procreative, si rivolgono ai centri spagnoli, belgi, inglesi, danesi e altri, dove invece è ammessa questa possibilità. Esiste anche un commercio online di kit per l’home insemination, non sufficientemente garantiti dal punto di vista sanitario e genetico. Le cose sono diverse per i single uomini: dal punto di vista procreativo non esiste simmetria tra i sessi. Nel caso dei single maschi, infatti, oltre all’ovodonazione sarebbe necessaria una madre surrogata, ovvero un utero in affitto. Ma la nostra Costituzione vieta la libera disponibilità del corpo o di parti di esso, con l’eccezione di un uso solidale com’è il caso della donazione di sangue, di midollo, di un rene tra congiunti, e anche di gameti. Nel 2001 il Tribunale di Roma ha autorizzato una donna a condurre una gravidanza per conto di una coppia a cui era affettivamente legata. In nessun caso è autorizzata la commercializzazione dell’utero.

Stiamo quindi al caso delle donne single: la legge italiana dovrebbe autorizzarle ad accedere alle banche del seme?

In attesa di vostro argomentato parere. Grazie

(il mio punto di vista lo dirò poi)

 

 

diritti, Donne e Uomini, economics, italia, Politica, questione maschile Luglio 17, 2014

Cognome e nome: Questione Maschile

Dice il senatore Ignazio La Russa che quando si voterà -se si voterà- la legge sul doppio cognome, lui potrebbe proporre il voto segreto. Il voto segreto è l’escamotage classico grazie al quale nelle nostre istituzioni rappresentative non riescono a passare tutte quelle innovazioni -o azioni positive- che consentirebbero al Paese di liberarsi dal peso di quella questione maschile a cui è riconducibile il più della nostra arretratezza e perfino il nostro basso Pil: -12 punti, secondo l’Ocse, è questo il prezzo del nostro maschilismo feroce.

E’ capitato più volte sulla doppia preferenza di genere o sui meccanismi di riequilibrio della rappresentanza, e potrebbe capitare anche su questa storia del cognome: al riparo del voto segreto, senza metterci la faccia -vergogna più che eloquente- i maschi possono difendere trasversalmente, dal Pd a FI, i propri privilegi.

Europa o non Europa -che ci obbliga a rimuovere la discriminazione- a destra e a sinistra, l’impianto patriarcale della famiglia viene difeso a spada tratta, e il dibattito alla Camera sul doppio cognome, o sulla possibilità del solo cognome materno, viene rinviato a chissà quando.

Il fatto che ci siano “ben altri” problemi è una sciocchezza assoluta. Un voto non comporta la distrazione da tutto il resto. E tutto il resto -lo sviluppo zero, la natalità quasi-zero, l’invecchiamento record, l’incapacità di innovare, il Pil inchiodato- è legato a filo doppio ai colpi di coda di questo patriarcato che non vuole mollare, che non intende capire che è già morto.

 

bambini, diritti, Donne e Uomini, questione maschile Luglio 13, 2014

Storia del nuovo cognome

Prendo in prestito il titolo del bel romanzo di Elena Ferrante per segnalare che oggi alla Camera prenderà avvio la discussione sul cognome dei nuovi nati: i quali, secondo il testo uscito dalla commissione Giustizia della Camera, potranno portare quello del padre, quello della madre o entrambi.

Un primo colpo contro il cognome paterno nel gennaio scorso, quando una sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani, alla quale si era appellata una coppia milanese, ha stabilito che l’attribuzione automatica alla “casata” del padre –con sparizione della genealogia materna- rappresentava una chiara discriminazione, e che l’Italia doveva agire contro questa violazione.

Ed ecco il testo in discussione, secondo il quale i genitori potranno scegliere se dotare il nuovo nato del cognome del padre, della madre, o del doppio cognome. Nel caso la coppia non trovasse un accordo, il neonato sarebbe registrato all’anagrafe con entrambi i cognomi in ordine alfabetico. Gli eventuali successivi figli della coppia porterebbero obbligatoriamente lo stesso doppio cognome del primogenito/a.

La norma prevede anche che la figlia o il figlio, una volta maggiorenni, possano decidere di aggiungere il cognome della madre a quello paterno –o, caso più raro, viceversa- con una semplice dichiarazione all’ufficiale di stato civile.

Quanto invece ai figli dei figli, non essendo pensabile il quadruplo cognome, il padre e la madre potranno trasmettere uno solo dei rispettivi doppi cognomi.

Iole Natoli conduce da anni e quasi in solitaria la battaglia per il doppio cognome. Ma non è affatto convinta che la norma in discussione tagli in modo netto con i codici patriarcali.

Primo obiettivo polemico, l’eventuale ordine alfabetico in caso di disaccordo tra i genitori: “E’ solo una scorciatoia” dice. “Il figlio nasce dalla madre, c’è una prossimità neonatale che va riconosciuta e non nascosta di nuovo. Il primo cognome è ragionevole che sia quello materno, salvo accordi diversi: e non perché la madre abbia più diritti del padre, ma perché il diritto al cognome viene esercitato dal figlio e dalla figlia -che ne sono i titolari- all’atto della nascita, quando esiste una sola relazione già maturata, quella con la madre. La relazione con il padre si genera dopo”.

Secondo punto di insoddisfazione, il 1° comma dell’art. 4, secondo il quale il figlio maggiorenne può aggiungere al proprio cognome “singolo” il secondo cognome della madre o del padre. “Al figlio e alla figlia” spiega Iole Natoli “è quindi concesso soltanto di aggiungere il cognome dell’altro genitore, se ne ha ricevuto uno solo. Non può invece modificare la sequenza dei  cognomi, né sopprimerne uno, benché i genitori abbiano potuto scegliere per lui. “Inoltre, poniamo il caso di figli di genitori che abbiano entrambi un doppio cognome. Se li attribuissero tutti al figlio questi avrebbe un cognome “quadruplo”, cosa non prevista. Di conseguenza ciascun genitore dovrà scartarne uno dei propri e attribuirne al figlio uno
soltanto. I due cognomi scartati da entrambi i genitori scompariranno.
Ma quei cognomi scomparsi non sono il nulla. Sono cognomi che contribuiscono a determinare l’area familiare del figlio, che comprende anche nonni, zii, cugini e indicano rapporti di parentela. Non è detto che la scelta operata dai genitori soddisfi il figlio o la figlia, che invece potrebbe preferire portare invece uno o entrambi i cognomi che sono stati cancellati dai genitori. Il diritto al cognome è suo e non di altri. Inoltre” aggiunge Natoli “conosco  diversi casi di persone -donne e uomini- che non volevano più portare il cognome del padre, quindi non volevano aggiungere ma sostituire. Le difficoltà e i soprusi a cui si è sottoposti quando si fa una richiesta del genere sono enormi. Si devono documentare situazioni terribili, se non si vuole essere additittura derisi… Il testo in discussione non tutela minimamente questi soggetti, lasciando  invariata la situazione”.

A chi le obietta che queste sono sottigliezze eccessive, Iole Natoli risponde che entrambe le sue critiche segnalano un problema: nella norma così concepita il diritto di trasmissione del cognome da parte dei genitori continua a prevalere sul diritto di acquisto da parte del figlio e della figlia. “In poche parole, non smette di agire il concetto di potestà genitoriale, basata sull’idea dei figli come proprietà, fondamento del patriarcato. Da questo punto di vista, quindi, si permane in un’ottica patriarcale”.

Possibile che queste obiezioni diventino emendamenti al testo di legge. Stiamo a vedere.

La nuova norma potrebbe diventare operativa nel giro di un anno.

AGGIORNAMENTO 16 LUGLIO: sembrava fatta, e invece no.

 

 

 

AMARE GLI ALTRI, diritti, economics, Politica Aprile 27, 2014

Trafficare in carne umana

Pozzallo (Rg), processione del Venerdì Santo: giovani migranti africani portano la statua della Madonna

Che fosse un enorme business l’avevo chiaro. Non però, come leggo in un libro di Andrea Di Nicola e Giampaolo Musumeci, “Confessioni di un trafficante di uomini” (Chiarelettere) che il business delle migrazioni ormai fosse secondo solo a quello della droga: guardatevi qui un po’ di numeri.

Nell’indifferenza generale si sta realizzando un nuovo capitolo della tratta degli schiavi. Carne umana su cui si specula, che fornisce manodopera a basso prezzo, e nel caso particolare dei minori non accompagnati (più o meno il 15-20 per cento dei migranti che sbarcano sulle coste siciliane), ottima manovalanza per la grande criminalità organizzata. I ragazzini stanno per qualche tempo nei centri di prima accoglienza, se vogliamo chiamarli così (ad Augusta, per esempio, una scuola fatiscente, due docce per quasi 200 ragazzi) e poi scappano per finire chissà dove. Save the Children ha lanciato l’allarme: ormai un migliaio i giovanissimi, soprattutto eritrei e nigeriani, di cui si sono perse le tracce.

Sempre consapevole del fatto che di tutto questo non frega quasi niente a nessuno, segnalo che una parte del business è nostro, di noi italiani brava gente. Ammesso che non ci siano anche italiani a partecipare direttamente alla spartizione della torta in Libia (parlo di campi dove i migranti vengono concentrati in attesa di salpare, parlo di botte e di colpi di machete, parlo di ragazzine tenute in cella a disposizione degli stupratori, e che spesso arrivano gravide in Italia), basta vedere tanti piccoli centri siciliani abbandonati da Dio e dagli uomini che “rifioriscono”. Alberghi, ristoranti, bar che fanno affari con le forze dell’ordine, i giornalisti e i vari osservatori.

C’è dell’altro, come mi racconta Silvia Di Grande, avvocata di Augusta e membro della costituente Rete Civica Nazionale: “Augusta ha moltissimi problemi: il comune è commissariato, la giunta è stata sciolta per infiltrazioni mafiose, abbiamo un buco di bilancio di 60 milioni oltre a gravissimi problemi di inquinamento. A tutto questo ora si aggiunge il fatto che da quando Lampedusa è chiusa agli accessi grande parte dei migranti sbarcano qui. Serve urgentemente un centro di prima accoglienza nella zona del porto. Ma si devono fare i conti con gli interessi di alcuni privati che vorrebbero fare affari affittando proprietà dismesse per l’ospitalità ai migranti: un vecchio albergo fallito, un ex-resort, o un convento sconsacrato”.

Le cose da fare sono tantissime: una di queste è stroncare il business. Forse ha ragione Giusi Nicolini, sindaca di Lampedusa, quando parla di tagliare le gambe agli sfruttatori -ed evitare ai migranti il dramma assurdo della traversata dopo quello delle torture nei campi libici- andando a fare l’accoglienza direttamente nei porti di partenza. Questo consentirebbe anche un migliore governo dei flussi in entrata. E poi aprire un canale umanitario con la Siria, da dove proviene una buona parte dei migranti, intere famiglie in fuga dalla guerra.

Un’altra cosa da fare è pretendere il coinvolgimento di Onu, Unione europea e Unione africana nella gestione della catastrofe umanitaria: il presidio dei confini sud del continente non può più essere una faccenda solo italiana, per quanto generosamente ed efficientemente gestita dalla missione Mare Nostrum (efficienza che, una volta sbarcati a terra, si dissolve).

Infine: spostare nel Mediterraneo la sede di Frontex, attualmente a Varsavia, o almeno aprirvi una seconda sede. Frontex (Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea), istituita da un decennio, rischia di diventare un baraccone burocratico da molti milioni di euro. Lo scorso ottobre a Frontex è stato affiancato Eurosur, sistema di sorveglianza delle frontiere terrestri e marittime. Secondo il relatore di Eurosur, il liberaldemocratico olandese Jan Mulder «solo con un sistema pan-europeo di sorveglianza delle frontiere saremo in grado di evitare che il Mediterraneo diventi un cimitero per i rifugiati che cercano di attraversarlo su carrette del mare, in cerca di una vita migliore in Europa. Per evitare che una tragedia come quella di Lampedusa accada di nuovo è necessario un rapido intervento». Ma al momento, niente di concreto.

Sempre tenendo ben presente che le vere cose da fare si chiamano pace, e giustizia, e sviluppo sostenibile, solidarietà, diritto all’esistenza, pari opportunità per le donne e gli uomini di questo pianeta.

Proprio domani il nostro governo affronterà la questione.

 

 

 

 

diritti, esperienze Aprile 16, 2014

Mi permettete di chiamarla Love Boat?

La San Giorgio sarebbe tutt’altro. E’ una nave anfibia che ha una trentina d’anni e ha partecipato a missioni internazionali tra cui quelle in Somalia e in Kosovo. Il comandante Aldo Dolfini me la fa visitare con orgoglio: il ponte-volo con gli elicotteri, l’elevatore, il ponte-garage sotterraneo con i gommoni e la Gis, la chiatta con cui si recuperano i migranti alla deriva. Anche duecento per volta. Poi, una volta a bordo, un primo controllo sanitario: “Gli infettivi” dice “si vedono a vista”. L’ospedale sta lì sotto, i “reparti” divisi da tendoni di plastica. Aleggia ancora l’odore di disinfettante e di umanità stipata e stremata.

La chiamo Love Boat perché qui tutti i ragionamenti politici o ideologici sui flussi migratori, sull’opportunità o meno della Missione Mare Nostrum -che da ottobre, dopo la grande tragedia di Lampedusa, insieme ad altre unità della Marina Militare Italiana pattuglia il tratto di mare tra le coste libiche e quelle siciliane-, tutte le riflessioni sul fatto che la recente abolizione del reato di immigrazione clandestina possa avere incoraggiato la partenza dei barconi, tutto questo perde istantaneamente senso di fronte alla logica essenziale e infallibile dell’amore: ti trovi di fronte un essere umano in difficoltà, un uomo, una donna o un bambino che ha freddo, ha fame e rischia di affogare. E lo salvi. Fai tutto quello puoi per salvarlo, e stop. Ti levi i vestiti di dosso perché i suoi sono zuppi, ti togli il pane di bocca perché lui è affamato. E’ una legge antica, cosmologica. E non può essere violata.

Il comandante fa fatica a raccontare di quel bimbo eritreo che mentre veniva finalmente sbarcato ad Augusta agitava la manina per salutare tutti, con il suo giocattolo nell’altra mano. La commozione gli stringe ancora la gola. La gratitudine ti viene espressa battendo la mano sul cuore, o stringendoti forte la mano. “Non sono capace di raccontare” dice “l’espressione che gli si dipinge sul volto quando abbassiamo la rampa per sbarcarli, e la luce del sole inonda il ponte sotterraneo dove sono stipati. Si illuminano anche loro, perché capiscono che il peggio è passato. Il viaggio non è finito, ma le tappe più terribili sono alle spalle”. Alcuni, mi spiega, in viaggio da anni, sono passati da un mercante di uomini all’altro. La scorsa settimana Mare Nostrum ha portato in salvo 6769 migranti nel giro di tre giorni, gente imbarcata in Libia e in Egitto. Le buone condizioni del mare hanno favorito le partenze.

Mi affaccio da “poppetta”, dove vanno i marinai a fumarsi una sigaretta. Stiamo navigando nella zona di pattugliamento, 70 miglia a sud di Lampedusa e 90 miglia a nord delle coste libiche. Un branco di delfini affianca la nave e si esibisce nei suoi balzi festosi. Il mare è un po’ mosso, forza 2, e tira vento. Ci vorrà almeno un paio di giorni perché il tempo possa rimettersi al bello: difficile che prima di allora salpino altri barconi. Ma mai dire mai. L’equipe medica si allena nell’oscurità del ponte-garage –non so come facciano, con l’odore che c’è lì sotto… -: corsa, aerobica, addominali e stretching per tenersi in forma. Una nuova emergenza potrebbe capitare da un momento all’altro, e allora non ci sarà più giorno né notte, finché la situazione non sarà sotto controllo.

Partono in qualunque condizione: una donna è stata recuperata al nono mese di gravidanza, per fortuna tutto bene. Partono anche se non sanno nuotare: solo i siriani talvolta hanno il salvagente, tutti gli altri no. I l prezzo che pagano ai loro sfruttatori e agli scafisti, 3-5 mila euro o anche di più, non comprende questa dotazione.

diritti, economics, Politica Gennaio 28, 2014

Electrolux: guadagnare meno , guadagnare tutti? Ma tanto nemmeno questo gli basta

Lavoratori Electrolux

Gli svedesi di Electrolux vogliono che noi italiani ridimensioniamo le pretese: gli operai polacchi e ungheresi campano con molto meno. Così propongono ai nostri lavoratori di dimezzare gli stipendi (da una media di 1400 a 7-800 €) oltre a una serie di altre misure come blocco dell’anzianità, riduzione delle pause, festività non pagate e così via.

Oltre alla sostanza, drammatica per quei lavoratori, il simbolico è molto forte: l’Italia, dicono in poche parole gli svedesi, deve rassegnarsi a entrare a far parte del club di quei Paesi dove è conveniente delocalizzare perché la mano d’opera costa poco.Per questo la vicenda Electrolux riguarda tutti, e quella battaglia va combattuta insieme.

Tenendo conto anche del fatto che nemmeno questo basterà, né a Electrolux né a tutte quelle aziende che seguiranno questa scia. Dopo aver ridotto a 800, magari pretenderanno di dimezzare a 400, il lavoro notturno gratis e la pipì nel vaso, così risparmi minuti preziosi. A un accordo sindacale oneroso ne seguiranno altri, sempre peggio: la belva del profitto è bulimica, e più mangia più vuole mangiare.

Il risultato è che i ricchi diventano sempre più ricchi, e i poveri sempre più poveri, e non è strano che, come ci dice la Banca d’Italia, il 10 per cento degli italiani possiede quasi la metà (46.6 per cento) della ricchezza totale: da qualche parte i ricchi-sempre-più-ricchi quei soldi li avranno presi, e precisamente da quelli che hanno ridotto in povertà sempre-più-povertà.

Non ha più senso, perciò, alcun ragionamento, alcun jobs act, alcun progetto politico che pretenda di non considerare la sostanza della questione: l’intoccabilità delle ragioni del profitto.

Né ha senso alcun ragionamento che tenga ipocritamente all’orizzonte la piena occupazione e il ritorno all’allegra sarabanda dei consumi, perché non avremo mai l’una e non torneremo mai più all’altra. Al centro va tenuto il diritto, per chi viene al mondo, quanto meno a esistere. All’orizzonte va tenuto un nuovo welfare che preveda un reddito di esistenza e la lotta senza quartiere contro la mostruosità delle disuguaglianze.

E insomma, come dice mia mamma, grande economista: “Dovremmo stare tutti benino”.

diritti, Donne e Uomini, Politica Gennaio 3, 2014

Alfano: “Prima le famiglie”. Meno malafede, per favore

No, io non ci credo. Non posso credere che un quarantenne come Angelino Alfano non conti coppie e famiglie di fatto fra i parenti, amici, colleghi e conoscenti. Statisticamente non è possibile. Secondo gli ultimi dati Istat vi è stata una progressiva diffusione delle famiglie di fatto, da circa 500mila nel 2007 alle 972mila nel 2010-11 . In particolare sono le convivenze tra partner celibi e nubili ad aver fatto registrare l’incremento più sostenuto arrivando a 578 mila.

Anche a lui che è uomo di mondo, e ha chiuso entrambi gli occhi di fronte alle intemperanze familiari e sessuali del suo ex-capo, capiterà di conoscere e frequentare qualche coppia di fatto, magari con un po’ di ribrezzo, ma tant’è. Conoscerà anche i loro figli, avrà visto che sono figli come gli altri, con il ciuccio, i pannolini, e poi i motorini e tutto il resto, e saprà benissimo -che gli piaccia o non gli piaccia- che quelle sono famiglie a tutti gli effetti.

Quindi la frase (in risposta alla recente proposta di Matteo Renzi sulle unioni civili): «Non si può pensare alle unioni civili senza pensare prima alle famiglie» è totalmente priva di senso. Le unioni civili sono una faccenda che riguarda le famiglie. Non famiglie di serie B: famiglie e stop, gioie e dolori, diritti e doveri. Quel piacevolissimo inferno che conosciamo tutti. Non c’è un “prima” e un “poi”. Ci sono le famiglie, a volersene occupare.

Perché poi -ed è l’altra ragione per la quale mi ribello- di queste famiglie, anche di quelle legalizzate che Alfano privilegia, i governi di cui lui ha fatto parte non si sono occupati minimamente. Nemmeno per le “sue” famiglie il vicepremier Alfano ha mai fatto un accidente.C’è una legge sostenuta dal governo Berlusconi -non ricordo quale numero- che ha permesso ai datori di lavoro di far firmare alle giovani donne dimissioni in bianco, da utilizzare in caso di gravidanza. C’è la cronica carenza di servizi per le famiglie. C’è una spesa per le politiche familiari tra le più basse d’Europa.

Ecco i dati: la spesa media dei Paesi Ocse per la famiglia è del 2,2%, con notevoli differenze. Francia, Gran Bretagna e Svezia sono i Paesi nei quali la spesa per le famiglie è più elevata (3,7% in Francia, 3,5% in Gran Bretagna, oltre il 3% anche in Svezia). L’Italia spende per le sue famiglie l’1,4% del Pil ed è, accanto a Portogallo, Grecia e Malta. Il fanalino di coda delle politiche familiari europee.

Che Alfano con il suo Nuovo Centro Destra, del quale i sondaggi fotografano l’irrilevanza, sia a caccia di voti, anche a costo di un’ipocrisia senza confini, raschiando il barile di un primitivismo civico che probabilmente non ha riscontri nella realtà, la dice lunga essenzialmente sulla sua disperazione politica, e sull’ambizione di restare protagonista costi quel che costi, anche sulla pelle delle moltissime famiglie, di fatto e non di fatto, di questo Paese.

AMARE GLI ALTRI, ANIMALI, Corpo-anima, diritti Dicembre 31, 2013

Anch’io sto con te, cara Caterina. Ma…

Anch’io sto con te, cara Caterina, ragazza coraggiosa che lotti contro la tua complessa malattia, e dici che senza sperimentazione sugli animali te ne saresti andata da bambina. E trovo ributtanti e inumani gli attacchi e gli auguri di morte che hai ricevuto sulla tua pagina Facebook: chi si batte a favore del cruelty-free non può essere tanto crudele nei confronti dei propri simili. La non violenza non è un abito che si mette e si smette a piacimento.

Però sbagli a definire “nazi-animalisti” i tuoi detrattori: si tratta di semplici professionisti dell’ hate-speech, odiatori di cui il web è pieno, e che colgono qualunque occasione, specie quando si discute di temi sensibili, per provare a sentirsi meglio scaricando la propria rabbia su qualunque bersaglio mobile (tecnica fallace: una volta che l’hai fatto, sei ancora più rabbioso, in un circolo che si autoalimenta).

Lasciamo perdere l’animalismo, quindi. Qui siamo su tutt’altro piano. E il rischio è che in seguito a questa brutta storia, “animalista” diventi sinonimo di disumano. Tipo quei gerarchi che nei campi di sterminio affamavano bambini ma garantivano carni scelte ai propri cani.

La gran parte dei ricercatori sostiene di non poter rinunciare alla sperimentazione su animali. Va tuttavia registrata anche l’opinione non meno qualificata di chi ritiene che questi test siano sostanzialmente inutili: come la biologa Susanna Penco, ricercatrice presso il dipartimento di Medicina sperimentale dell’Università di Genova, malata di sclerosi multipla da vent’anni e convinta “che sia proprio la sperimentazione animale ad allontanare le soluzioni e quindi la guarigione per i malati. Il futuro, afferma, è “la medicina personalizzata, che sfrutta le differenze genetiche interindividuali per capire il funzionamento delle malattie umane”.

La cosa importante, Caterina -e su questo siamo certamente d’accordo- che si colga ogni occasione per diminuire la sofferenza di ogni vivente. Che non si trascuri la ricerca costante di possibili alternative ai test su animali, che non si abbandonino i tentativi di trovare soluzioni diverse e altrettanto efficaci: secondo alcuni, come vedi, perfino più efficaci. La cosa importante è che non cada questa tensione a ridurre il danno per il maggior numero.

Esserci intesi come titolari, in quanto umani, di maggiori diritti (avere anzi inventato la nozione di “diritto”, e con ciò anche quella di esclusi dai diritti), ci carica di grandi responsabilità nei confronti delle creature piccole, umane, animali e vegetali che abbiamo collocato ai gradi più bassi della piramide gerarchica.

Forse siamo pronti per cominciare a ripensarci, noi stessi e il resto del mondo, “in rete” e non più in chiave di gerarchia e di dominio. La strada è questa, per quasi tutto.

Ti abbraccio Caterina, esci presto dall’ospedale, per un 2014 più sereno possibile.

 

diritti, Donne e Uomini, Politica Dicembre 13, 2013

Il Pd di Renzi e i diritti civili

 

“Sui diritti il Matteo non è forte”: ante-primarie lo ammettevano anche vari “renziani”, malcelando il “neo” del loro candidato: per ora cerchiamo di parlarne il meno possibile, poi vedremo. Stefano Boeri, eletto tra i delegati di Renzi all’assemblea nazionale Pd, più onestamente sosteneva: “Sui diritti civili, come sui matrimoni e le adozioni per le coppie gay non la penso come lui”.

Non si tratta in verità di essere più o meno “forti” sul tema dei diritti. Si tratta forse di non aspettarsi da Matteo Renzi quello che Matteo Renzi non intende dare. Di cambiare aspettative. Di non stupirsi, per esempio, dell’edificazione di un cimitero dei feti a Firenze. Del fatto che Marianna Madia, delegata al lavoro della sua segreteria, ritenga che

L’aborto è il fallimento della politica, un fallimento etico, economico, sociale e culturale… credo che la vita la dà e la toglie Dio, noi non abbiamo diritto di farlo. Quindi dico no all’eutanasia. Se si parla di famiglia io penso a un uomo e una donna che si sposano e fanno dei figli. Scegliendo per la vita”. Salvo poi rettificare “penso che la 194 sia una conquista e che vada applicata in toto”.

Nessuna rettifica sull’eutanasia né sulle famiglia omoaffettive.

Il 2 ottobre il mix voto contrario-astensione di vari consiglieri Pd in Regione Toscana ha affossato una mozione che chiedeva una migliore applicazione della 194 –peraltro presentata dalla maggioranza di centrosinistra-: legge ormai sostanzialmente inapplicata causa obiezione di coscienza oltre al 70 per cento.

Qualche giorno fa il copione si è riproposto in Europa con la bocciatura della risoluzione della deputata socialista portoghese Edite Estrela sulla “salute e i diritti sessuali e riproduttivi”, che chiedeva tra l’altro il diritto “all’aborto sicuro e legale” in Europa (quindi non il diritto ad abortire, ma a non crepare), un’educazione sessuale per bambine e bambini, la prevenzione di gravidanze indesiderate con accesso equo alla contraccezione in un’ottica di lotta alle discriminazioni di genere. La risoluzione, sostenuta tra gli altri dalla European women lobby, dall’European parliamentary forum on population and development e da Amnesty International e fieramente combattuta dai no-choice, è stata bocciata anche grazie all’astensione dei piddini Silvia Costa, David Sassoli, Patrizia Toia, Franco Frigo, Mario Pirillo, Vittorio Prodi e all’assenza di alcuni altri. Posizione che non forse non corrisponde alle aspettative in tema di diritti di molti elettori e iscritti (ancora maggioranza?) nel Pd.

Lo dice chiaro Rosy Bindi:

Renzi realizza ciò che io ed altri non siamo riusciti a fare: rompere la continuità Pci-Pds-Ds-Pd”.

Non, peraltro, che il Pci-Pds-Ds-Pd sia mai stato davvero in prima linea sul tema dei diritti: il divorzio, per dirne una, fu essenzialmente una conquista radicale, che il Pci osteggiò a lungo. Ma con la segreteria Renzi la linea di resistenza potrebbe diventare maggioritaria.

E del resto, da analisi del voto alle primarie, solo il 29 per cento degli elettori di Matteo Renzi si definisce di sinistra. Il Pd, insomma, starebbe cambiando elettorato e pelle.

Ancora due notazioni: dire “sono a favore della 194” oggi non significa nulla. E’ a favore della 194, ma sul serio, solo chi intraprende politiche che ne garantiscano l’applicazione, individuando contromisure alla vastissima obiezione. In caso contrario si è a favore di una scatola quasi vuota. Non a caso i no-choice non vanno all’attacco frontale con un referendum abrogativo, a rischio di nuova sconfitta: ancora un po’ di obiezione e la legge non ci sarà più.

L’altra cosa la dico a chi ritiene che, in tempi duri come questi, parlare di diritti sia un lusso, come pretendere rose quando manca il pane. Per dirla marxianamente, struttura e sovrastruttura. Questo è un vero e tenace trompe-l’oeil, una visione ingannevole. E’ forse la mancanza di lavoro e di soldi a impedire una legge che consenta a una coppia dello stesso sesso di sposarsi se lo desidera, o a un cittadino di lasciare disposizioni sul suo fine-vita? E più diritti per le donne, come dimostrato da centinaia di studi, non si tradurrebbe in punti di Pil? Non si parla sempre del miglioramento della condizione delle donne come di una misura per la crescita e di un indicatore di civiltà?

Del Pd di Renzi si dice che è “post-ideologico”. Forse, più correttamente, si dovrebbe dire che racconta un’altra storia al nostro Paese. Prima ancora che una scissione, rischia una deflagrazione su questi temi sensibili, temi dai quali oggi passa molta politica.