Gli umori anticasta ormai lambiscono anche il Presidente Giorgio Napolitano.

E’ un segno preciso, come qualcosa che minaccia di traboccare. Nemmeno più quel saldo argine a garanzia. Cominciano a girare in rete vecchi filmati (lui che, da eurodeputato, rifiuta di rispondere a un giornalista tedesco che lo interroga sui rimborsi-viaggio), polemiche sulla parata “sobria” del 2 giugno (il 1° giugno e mezzo, ironizza oggi Travaglio sul “Fatto”) e sui suoi giudizi su Grillo

La cosiddetta “antipolitica” -“antipolitici” sarebbe più corretto- non risparmia più nessuno, nemmeno il Presidente. L’Italia trema, regolamentari sciacalli sono al lavoro, tutti compriamo parmigiano online, e  infine -calcio sui maccheroni- neanche la possibilità di distrarsi con una partita.

La sensazione è quella di una valanga, di un Vajont, una massa che aumenta ogni giorno di volume e in velocità. Come pensiamo di arrivare al 2013? A che cosa dobbiamo prepararci? Sentite anche voi quello che sento io, il brontolio sordo che annuncia un’eruzione?

Come dare forma a questa energia incontrollata, come minimizzarme la distruttività?

Sarebbe utile un “progetto Saviano” -anche intorno a lui vortica un certo malumore- o è tardi anche per questo?  E magari  una lista, in sostegno alla lista che sostiene la lista di Saviano che sostiene il pd, tutto pur di non fare un programma. Buona idea, quella di Saviano: era venuta anche a me, ma  tre anni fa. E’ ancora tempo per questo?

Ci sono giorni in cui la confusione ti opprime.

p.s. non riesco ad attivare il link, non so perché. In ogni modo, nel febbraio 2009, avevo scritto questo:

Dico un nome -non perché lo preferisca ad altri, ma per questioni oggettive- che potrebbe costituire un polo carismatico davvero alternativo all’attuale nomenklatura di sinistra, e soprattutto alla seduttività di Silvio Berlusconi: Roberto Saviano. Che probabilmente non ha alcuna intenzione di fare politica, ma nessun dubbio sul fatto che costituirebbe un’alternativa vera. Di nomi se ne possono indicare altri, e vi prego di farlo. Sempre che si ritenga di dover permanere all’interno della dialettica democratica (maggioranza-opposizione), e non invece di doverne fuoruscire, con un’ardita invenzione politica.

 

 

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