Rosaria Schifani (foto Letizia Battaglia)

 

“Io, Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato, lo Stato… chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro, ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c’è la possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare… Ma loro non cambiano, loro non vogliono cambiare”. 

Qui il filmato del discorso di Rosaria -Palermo, 1992-  ai funerali del marito Vito, agente di scorta ucciso insieme al giudice Giovanni Falcone, a Francesca Morvillo e ai suoi colleghi Antonio Montinaro e Rocco Di Cillo. Guardatelo, e ascoltate i due testi. Il testo scritto da altri, da quel povero prete, che la fa parlare di speranza, di perdono, di amore. E un suo testo parallelo, fatto di parole, gesti, espressioni del viso, un testo che fa ordine, fa riferimento a un altro ordine (la foto di Letizia Battaglia rappresenta benissimo tutto questo), parla della sua estraneità di donna a quell’ordine maschile che ci fa vivere come esuli in questo mondo, dice una verità che non può essere sottaciuta ed esplode.

“Via Dogana” periodico della Libreria delle Donne di Milano, n.6/ 1992, pubblicò la fotosequenza del discorso di Rosaria Schifani.

Alla giornalista della Stampa che la incontra vent’anni dopo, Rosaria dice che quel giorno lei seguiva le sue “percezioni”: “Quel giorno, sull’altare, mi sarei presa a schiaffi. Il povero Don Cesare voleva farmi dire quello che voleva lui, e la lettera era stata preparata più da lui che da me. Io ero d’accordo, sono d’accordo, con il perdono, ma ci vuole anche la giustizia, altrimenti non ha senso. L’inginocchiarsi è questo, è la risposta alla giustizia”. Neanche due mesi dopo, Rosaria ribadì la sua rabbia ai funerali degli agenti di scorta di Borsellino, durante l’omelia del cardinale Pappalardo, E fu quasi un urlo che partiva dai banchi verso l’altare. “Lo interruppi, gli gridai: “Devi dirglielo che andranno all’inferno, che non avranno la vita eterna, altrimenti gli fai una predica dolce. Glielo devi dire: signori, voi state ammazzando, voi continuate ad ammazzare, per voi non c’è pietà da parte di Dio”.

“Vent’anni fa, su quell’altare, dissi che gli uomini non hanno il coraggio di cambiare. Adesso ne sono più che mai convinta. Niente cambierà mai: è la testa dei siciliani, degli italiani, che resta sempre quella. Sì, perché qui non si tratta di crocifiggere la Sicilia. C’è un Paese intero che è complice. Allo Stato non interessa raccontare la verità, ha paura di guardarsi dentro perché ha tanto da nascondere, perché andava a braccetto con la mafia. I due avevano per così dire una certa confidenza, l’interesse di affermare il potere dell’uno e dell’altra. Da una parte gli appalti, dall’altra la possibilità di far eleggere un politico, da una parte un favore, dall’altra parte un altro. L’indomani i ragazzi delle scorte lo giurarono: ” Vi vendicheremo”, ma poi figurati, come avrebbero fatto, ché non avevano neanche le spalle coperte dalle istituzioni?”.

 

 

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