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Donne e Uomini, Politica Febbraio 4, 2012

Questo governo non sta facendo nulla per le donne

Perché l’Italia è ridotta un po’ male? Perché per decenni i governi hanno avuto troppo cuore ed hanno profuso buonismo sociale”, è l’analisi del Presidente ddel Consiglio Mario Monti.

Ora, che cosa sia questo buonismo sociale io non lo so. Il fatto, per esempio, che la pubblica amministrazione sia diventato il refugium peccatorum, con assunzioni non necessarie? O che si sia fatto finta di non vedere i falsi invalidi? O che si siano chiusi entrambi gli occhi sull’evasione fiscale? O che si sia condonato il condonabile? O che si siano ripianate le voragini di grandi aziende? E chi più ne ha, più ne metta.

Ma questo non è “buonism sociale”. Questa è corruzione. Questo è lassismo. Questo è familismo.

“Buonismo sociale”, tanto per dirne una, sarebbe che lo Stato e la società fossero più buoni con le donne di questo Paese, non lasciandole sole ad affrontare tutto quello che affrontano e che non ho più voglia di elencare. “Buonismo sociale” sarebbe stato quel welfare che noi non abbiamo mai conosciuto e,che a quanto pare, continueremo a non conoscere, perché per le donne questo governo non sta facendo proprio nulla.

Questo sì che sarebbe stato buono.

Professore, non ci siamo. 

economics, lavoro Dicembre 19, 2011

I poveri che abbiamo in casa

Seguo il dibattito sull’art. 18 e provo a farmi un’opinione, senza pregiudizi.

Al momento dico solo che non è sopportabile che in uno stesso luogo di lavoro, a parità di mansioni, vi sia chi è garantito e non lo è -situazione che conosciamo bene tutti- e nemmeno che il sistema delle garanzie vada a esaurirsi con la progressiva uscita degli attuali assunti a tempo indeterminato, che nel prossimo futuro rischiano di diventare una vera rarità.

Dico che i poveri ce li abbiamo in casa, e sono i nostri figli, destinati, in assenza di nuove regole, a un precariato senza fine. Toccherà a noi doverli garantire, fargli da welfare, assicurargli un tetto, arrivare dove non arrivano, investire i nostri risparmi nella tutela delle loro famiglie. E poi?

Dico anche che non possiamo rinunciare, nemmeno in queste circostanze, a ragionare sulla qualità del lavoro e dell’esistenza. Che non possiamo sacrificare sull’altare delle garanzie il senso di un’intera vita. Conosco molti ragazzi che pur di non rassegnarsi all’alienazione di un lavoro deludente ancorché garantito, che non corrisponde affatto alle loro aspirazioni, riducono al minimo le loro pretese e rinunciano a perseguire l’idea del posto fisso. Una generazione di downshifter, nata e cresciuta nel relativo agio e pronta alla frugalità del molto-meno.

Si dovrebbe tenere conto anche di questo, nei ragionamenti. E ripensare tutta quanta la questione del welfare in questa prospettiva. Una parte consistente delle moltissime tasse che eroghiamo siano destinate a un sistema di garanzie che preservi il senso di ogni singola vita.

Anche questa è crescita.

 

Donne e Uomini, economics, Politica Dicembre 6, 2011

Continueranno a evadere

Mi auguro non sia solo un esercizio di retorica dire che questa manovra, che fa esultare i mercati, nella sua sostanza non va. La speranza è che ci sia un dibattito parlamentare vero e che almeno alcuni degli emendamenti vengano accolti.

Questa manovra non va per due grandi ordini di ragioni: a) non è sufficientemente equa b) non vi è alcuno spiraglio che lasci intravedere all’orizzonte un modello diverso da quel capitalismo finanziario che ci ha portati alla catastrofe: in buona sostanza, le logiche con cui si cura il male sono le stesse che l’hanno causato.

Sull’equità: tra le molte questioni, la domanda principale è per quale ragione la manovra sostanzialmente non intervenga sul problema dell‘evasione fiscale, problema numero uno del nostro bilancio. Perchè? Se tutti pagassero quanto devono saremmo fuori dai guai. E’ evidente a tutti che il limite di 1000 euro per la tracciabilità è una misura insufficiente e facilmente aggirabile. Ergo: si potrà tranquillamente continuare a evadere, e nessuno denuncerà gli evasori, non avendone alcuna convenienza. Questo renderà insopportabile ogni sacrificio, insieme al forte peso simbolico del non-intervento sui costi della politica -la casta non voterebbe mai una manovra che contenesse seri provvedimenti anti-casta-. Quanto a questioni simboliche, anche la Chiesa -la Cei concorda sul fatto che la manovra avrebbe potuto essere più equa- dovrebbe spontaneamente offrirsi fare la sua parte, versando l’Ici sul suo cospicuo patrimonio immobiliare, circa 50 mila immobili sul territorio italiano in gran parte non adibiti a esercizio del culto.

Sul “modello”. Leggo sul Corriere, non su un foglio rivoluzionario, le riflessioni del premio Pulitzer Adam Haslett: “Sia al di qua che al di là dell’Atlantico, le esigenze delle élite finanziarie si scontrano con la volontà popolare, apertamente ignorata” (…) “E’ assai poco rincuorante constatare che l”attuale crisi non rappresenta che un semplice ingranaggio nell’evoluzione storica complessiva del capitalismo occidentale, che continua a redistribuire la ricchezza verso l’alto, a indebolire le istituzioni democratiche e a concentrare il potere nelle mani di pochi individui“. Considerazioni perfino “banali”, che raccontano qualcosa che è sotto gli occhi di tutti.

Molto difficile che siano dei professori di economia a portarci fuori da questa idea di economia.

Ci sarebbero tantissime altre cose da dire. Ne dico almeno un’altra: si conferma l’idea che le donne conquistino la parità lavorativa solo in uscita (età pensionabile), con pensioni mediamente inferiori del 30 per cento a quelle degli uomini, continuando a erogare -anzi aumentando- le loro prestazioni di welfare vivente. Su questo conviene a tutti continuare a non vedere e a tacere. Mi auguro che non tacciano le donne di Se non ora quando che l’11 dicembre manifesteranno a Roma.

L’augurio è che la partita non sia ancora del tutto chiusa. Il problema è come riuscire a farsi sentire.

Donne e Uomini, economics, Politica Novembre 15, 2011

Vendere la pelle dell'orsa

http://video.repubblica.it/dossier/crisi-italia-2011/consultazioni-ecco-le-rappresentanti-delle-donne/80841/79231

Come potete vedere qui,,

semplicemente orribile la consigliera di parità Alessandra Servidori
a colloquio con Monti.
Gli promette che saremo donnine di buon senso,
che non chiederemo misure a sostegno del lavoro,
che non chiederemo servizi,
che saremo carne da macello,
materia prima sempre disponibile.
E di rappresentanza non parla neanche di striscio.
Speriamo che Alessandra Servidori
vada a casa a presto a tirare lo spazzolone,
come lei augura a tutte noi.
Che si vergogni.

Ha venduto la pelle dell’orsa pro domo sua.

Not in my name.

Donne e Uomini, economics, lavoro, Politica Settembre 14, 2011

Caro Presidente Napolitano: noi donne, welfare vivente…

Carissimo Presidente Napolitano,

non so bene come si scriva a un Presidente della Repubblica. Ma se è consentito, carissimo davvero: con tutta la riconoscenza di chi si sente tutelata dalla sua saggezza, dalla sua sollecitudine e dal suo equilibrio.

Questi sono giorni di grande fatica per il nostro Paese, e alla riserva di fiducia abbiamo già abbondantemente attinto. Ad aggravare ulteriormente i pesi si prospetta la possibilità di una manovra aggiuntiva, sacrificio che attende ansiosamente di essere compensato da una maggiore chiarezza sulla direzione che abbiamo intrapreso: quale Paese? quale crescita? quale sviluppo?

Purtroppo questi pesi, carissimo Presidente, non appaiono equamente distribuiti fra le cittadine e i cittadini. Alle donne anche in questa circostanza è chiesto molto di più. Di salvaguardare il buon andamento della vita familiare e del bilancio domestico, pure disponendo di minori risorse. Di garantire qualche forma di risparmio a tutela della sicurezza della famiglia, benché da accantonare resti ben poco. Di continuare a farsi carico, vero welfare vivente, di tutto il necessario lavoro di cura, e in particolare dei bambini, degli anziani e dei non autosufficienti: lavoro preziosissimo, dato per scontato e scarsissimamente condiviso. E anzi, di farsene carico sempre di più, visti i tagli a servizi già insufficienti, pur cercando di non perdere il posto di lavoro, se si ha la fortuna di averne uno, magari precario e a tempo determinato: il rischio di entrare a fare parte dell’ampia schiera delle inoccupate per non uscirne più è molto concreto, in assenza di misure di sostegno all’occupazione femminile. Questo anche se autorevoli economisti ci hanno più volte spiegato, dati alla mano, che a un aumento dell’occupazione femminile corrisponderebbe un significativo aumento del Pil, con l’effetto virtuoso di produrre ulteriore occupazione.

E invece del lavoro delle donne non si parla più, se non in riferimento al momento dell’uscita, con l’età pensionabile in via di progressivo innalzamento: la sola parità che sia stata effettivamente riconosciuta, e in qualche modo inflitta. Perché quanto all’ammontare delle pensioni femminili, mediamente più basse di oltre il 30 per cento rispetto a quelle maschili, restiamo dispari. Disparità che va ad aggiungersi a quella del doppio o triplo ruolo, dato per scontato e indiscutibile. Qualcuno ha calcolato che ritardando il pensionamento, tra maggiori contributi versati e minori quote di pensione erogate, ogni donna “regalerà” allo stato tra i 40 e i 50 mila euro: un tesoretto che il Governo si era impegnato a destinare ai servizi per la famiglia, promessa puntualmente disattesa di fronte alla necessità impellente di fare cassa. Che alle donne tocchi lavorare fino a 65 anni significa anche che le giovani non potranno più contare sulle loro madri, ancora impegnate nel lavoro, per un aiuto con i bambini, ammesso e non concesso che sia giusto chiedere loro di compensare la carenza di servizi facendosi carico dei nipoti oltre che degli anziani genitori, necessità che con l’allungamento della vita media si pone sempre più frequentemente.

Insomma, Signor Presidente, le donne in questo Paese sono intese, volenti o nolenti, come una risorsa illimitata a cui attingere secondo necessità e ad libitum. La crisi lì non è contemplata. Proviamo a immaginare che cosa accadrebbe se tutte le italiane incrociassero le braccia anche per una sola giornata: e forse dovrebbero farlo, per rendere visibile nel momento in cui manca la preziosità di un lavoro che nessuno vede, nessuno monetizza, nessuno calcola nella sua centralità e nel suo immenso valore .

Se è vero che tra i passi necessari l’Europa ci chiedeva la parificazione dell’età pensionabile, è altrettanto e dolorosamente vero che in nessun altro Paese europeo la fatica femminile è tanto grande, i servizi così carenti, le pretese maschili così irriducibili: circostanze che probabilmente vanno in gran parte ricondotte a un’inadeguata rappresentanza politica femminile -anche qui siamo maglia nera-. Se le decisioni pubbliche non fossero prese quasi esclusivamente da uomini probabilmente non ci troveremmo in questa situazione, o quanto meno le soluzioni adottate non sarebbero queste.

Le chiedo perciò, carissimo Presidente, come si possa emendare questa profonda ingiustizia, confidando nella sua sensibilità e nella sua attenzione.

Voglia gradire i più cari saluti

 

Donne e Uomini, lavoro, Politica Settembre 7, 2011

ScioperA generale

 

 

 

 

 

Dunque il governo Berlusconi ha deciso che noi italiane lavoreremo di più, andando in pensione più tardi, in compenso i servizi diminuiranno causa taglio welfare. Il triplo salto mortale diventa sestuplo. La manovra ci spezza l’osso del collo.

Le giovani mamme non potranno nemmeno più contare sulle nonne per i loro bambini, perché le nonne saranno ancora al lavoro, avendo già peraltro sulle loro spalle la casa, i loro vecchi genitori, la cura dei malati, e via dicendo. Le donne italiane sono l’unico welfare di cui disponiamo, il cui ammontare può essere aumentato a dismisura, senza nemmeno chiedere loro se sono d’accordo e se pensano di farcela. L’unica è starsene a casa, altro che aumento dell’occupazione femminile che fa crescere il Pil. E fare più bambini: disfattiste!

E ora divertiamoci rileggendo quello che mi ha detto il ministro Renato Brunetta esattamente due anni fa di questi tempi (hey, ministro, te lo ricordi quel giorno a Ravello?):

mia domanda: Che cosa ne farà di quello che si risparmia posticipando il pensionamento delle donne?

risposta di Brunetta: «Sono due miliardi e 300 milioni di euro nei prossimi dieci anni che andranno ai non autosufficienti e al welfare familiare. Io ho voluto questo, io l’ho fatto mettere in un decreto legge già approvato dal Parlamento. Questa è la differenza tra un riformista e un post- comunista radical chic».

Lui l’ha voluto, ma poi non l’ha fatto. Immagino che il ministro oggi ci direbbe che le cose si sono messe economicamente peggio di quanto allora si potesse prevedere. Immagino che io gli risponderei: ma davvero pensate che siano sempre le donne a dover pagare? che siano la materia prima, la risorsa inesauribile a cui attingere a piacimento, come alla mamma? Perché non provate a immaginare -altro che sciopero generale!- che cosa capiterebbe se le donne mollassero all’unisono per 24 ore i bambini, i vecchi, la casa, la spesa, la cucina e tutto il lavoro di cura che erogano gratuitamente dopo aver lavorato 8 ore + eventuali straordinari?

Ecco: perché non lo facciamo?

Donne e Uomini, Politica Giugno 16, 2010

LA SCOMPARSA DELLE NONNE (E IL POTERE)

nonnapaperaracconta

Certo: mica si poteva andare avanti così, con questa cosa barbara e pelosa delle donne che andavano in pensione a 60 anni perché oltre al lavoro fuori casa avevano tutto il resto da sbrigare, e da noi welfare non ce n’è. Finalmente pari. Ora anche le donne –a cominciare dal settore pubblico- andranno in pensione a 65 anni, sempre con tutto il resto da fare e il welfare che non c’è. Forse prima o poi ci sarà, ma il Fondo “strategico” per le donne resta per l’appunto solo strategico.
La scomparsa delle nonne (e la crocifissione delle mamme). Visto che nei nidi entra un bambino su 8, una quota enorme di lavoro d’amore, mai preso in considerazione dai conti economici, che sparirà dal mercato come d’incanto, nel tempo di uno scalone. Speriamo nelle bisnonne, sempre che ci sia qualcuna a prendersi cura della loro salute.
Questa è una legge che “fa chiagnere”, per dirla con Filumena. Civile, moderna, equa. E’ il resto che non gira. Ma i nostri uomini sono straordinariamente devoti alla Madonna Equilibrista, Madre della Conciliazione. Certi che saprà sempre trovare la quadra. E’ che ci amano e ci stimano troppo, vedete? Sono mediterranei.

Che le italiane vivano in questa bizzarra situazione, che abbiano questa mania della polvere, che lavorino più di tutte le altre donne del West, che consentano ai loro uomini questo infantilismo irriducibile e mediorientale, e di non muovere un dito in casa, oltre che agli assessori di fare i galli con le impiegate, ai premier di fischiare alle crocerossine, ai media di metterle in mutande, ai luoghi di decisione di escluderle, all’Europa non importa un accidente. Fatti nostri.
Qualcuno venga ancora a dirmi che le donne sono una risorsa per il Paese, che se lavorassero di più il Pil aumenterebbe, che la loro differenza è un plus, che con cda più femminili le perfomance delle aziende migliorano, e io imbraccio il kalashnikov. In Rwanda l’hanno capito, qui non c’è verso. E’ che ci amano troppo. Ci adorano. Non sarebbe meglio che potessimo decidere qualcosa anche noi, che ci amiamo molto di meno?

Contemplando il nostro mistero doloroso, un paio di cose si possono dire. La prima veramente dovrebbero dirla i maschi, ragionando non in teoria ma a partire da sé. Per parlarci anzitutto del loro patologico attaccamento al potere, della loro incapacità di vivere senza questo esoscheletro. Di come facciano a non provare vergogna nel tagliare metodicamente fuori le donne per decidere tutto da soli: recito ogni mattina il Salmo deprecatorio per la giunta lombarda, 19 a 1. Della loro infantile e caparbia incapacità di fare un passo indietro, di ascoltare la parola femminile e di accettarne l’autorità senza sentirsene diminuiti: se ce l’ha fatta Socrate con Diotima, e più recentemente Papa Ratzinger (sarà perché è tedesco?), quando dice che le donne devono poter accedere “a posti di responsabilità per ispirare la politica delle nazioni… promuovendo soluzioni innovative ai problemi economici e sociali”, forse ce la possono fare tutti. Ce la fanno un po’ di più i giovani, a quanto pare: la strana coppia alla “Cougar Town”, ragazzo con signora, è solo l’epifenomeno sexy di una santa alleanza contro la prepotenza escludente dei vecchi maschi.

Ma qualcosa andrebbe detto e fatto anche dalle donne. In questi giorni a Milano c’è una supermobilitazione di cervelli femminili intorno al “caso” Paolo Massari, assessore accusato di molestie. Vere eccellenze del mondo della cultura e delle professioni, in città per fortuna ne abbiamo tante, che si agitano per un tale che come si dice qui avrebbe fatto un po’ “il ganassa” con qualche signorina, e che mia nonna avrebbe saputo come sistemare. E progettano addirittura un “Manifesto contro il gallismo”. Gesù. Poi il megaconvegno delle Pari o Dispare, gran parterre convocato a dibattere su “Donne nei media e in pubblicità: per una diversa immagine delle donne in Italia” (un’altra volta!).
Non sarebbe meglio che applicassero lo sguardo a orizzonti più grandi, con obiettivi a misura della loro competenza? Perché investire tante energie preziose per un avvilente minimo sindacale che ci porta indietro? Volendo, ci sarebbe un sindaco da fare. Un welfare da inventare. L’economia da sistemare. Il mondo da ribaltare. Perché tanta automoderazione, e nessuna vera riflessione sul potere?

La parola potere non è mai piaciuta alle donne, in particolare a quelle di sinistra. Ci hanno sempre visto qualcosa di osceno, di violento, di alienante, di sporco. C’è sempre stato bisogno di qualche foglia di fico per riuscire a parlarne: non è il potere, che si vorrebbe, ma il “poter fare”, il “potere per”… Per l’altro, in breve, in nome di quella capacità di relazione che è al centro del “genio femminile”, come lo chiamava Giovanni Paolo II (sarà perché era polacco?).
D’accordo, allora anziché di “potere” si parli di “governo”. Della possibilità di partecipare alle decisioni. Devi esserci, perché troppo spesso quello che viene deciso senza te è anche deciso contro di te. Per esempio, il fatto che sulla famiglia si continui a non investire.
Forse parlando di governo sarebbe più tutto semplice. Non è una questione solo nominalistica. Nella parola governo l’altro è incluso, risuona la vita, la responsabilità, il servizio, quell’affaccendarsi –il ri-governare– di cui le donne hanno così grande esperienza. Si intravede un modo di condurre le cose, un segno di autorità con cui le donne hanno più dimestichezza.
Ma qualunque nome le dai, oggi la cosa è questa, non il gallismo, non le chiappe nude, e non può più essere elusa. Si tratta di capire a fondo e in tutti i modi –con l’autocoscienza, l’analisi, il self help- che cosa ci trattiene sulla soglia, complici piagnone dei buttafuori. Si tratta di individuare i modelli per esserci come vogliamo esserci. Via tutte queste insopportabili balle della parità, della conciliazione, degli orari, del gender balance, tutte ipocrite invenzioni maschili, roba che non è mai servita e adesso meno che mai.
E se la democrazia non basta, si inventerà qualcosa d’altro.

pubbicato su Il Foglio il 15 giugno 2010

Senza categoria Giugno 15, 2010

PROPOSTONE

neonato

Propostona bipartisan: 4 giorni di congedo obbligatorio per i neopapà!

Alessia Mosca – autrice della proposta del Pd – spiega che “l’Europa ci impone di portare a 65 anni l’età pensionabile per le donne, ma è opportuno riequilibrare anche un altro pezzo della vita, e cioè la cura dei figli che non può essere a carico solo delle mamme”. L’obiettivo – come precisa Barbara Saltamartini, autrice del testo Pdl “è passare dalle pari opportunità alle pari responsabilità. E quindi pensare non alla tutela delle donne, ma a un sistema che consenta alla famiglia di organizzarsi”.

Et voilà, la parità! Ed era tanto semplice: com’è che non c’è venuto in mente prima? Con quei 4 giorni 4 risolviamo tante cose.

Meno male che ci sono anche le donne, in politica. Questo sì che è welfare.

Archivio Giugno 28, 2008

PROBLEMATICI NIDI

Continuo a ricevere una tale quantità di posta sugli asili-nido da non poter fare a meno di ritornarci. Mamme –tantissime- che si identificano con il mio pensiero politicamente scorretto: che i nidi non sono necessariamente il meglio per i bambini, e neanche per loro stesse, le quali infatti si sono arrabattate per trovare altre soluzioni. Più esiguo il gruppo di madri e soprattutto di educatrici, punte nel vivo, che ha argomentatamente difeso il nido.
Per arrivare a una sintesi: meglio un buon nido, e di nidi eccellenti senz’altro ce ne sono molti, che una nonna svogliata o una madre sola e depressa. Nessun dubbio. Ma è altrettanto certo che essere  separato dalla mamma a 6 mesi, 8 mesi o un anno non è esattamente una fortuna per un bambino. Che a quell’età l’esperienza non può essere ritenuta “formativa”. In quella fase della vita capitano cono cose molto più importanti della formazione. Negli 0-3, il momento dell’imprinting, più mamma c’è e meglio è. E più la mamma è felice di esserci, a sua volta accudita dal “grembo” costituito da un buon compagno, da una famiglia e da una comunità accoglienti per il nuovo nato, meglio sarà.
Mi perdonino tutte le bravissime educatrici, ma dire che la situazione ideale è questa, e che la soluzione preferibile deve avvicinarsi a questa idealità non può costituire un’eresia che le offende.
Ancora poche righe per dire qualche altra cosa: anzitutto che l’interesse del bambino è sempre prioritario rispetto a quello della mamma, del papà, dei datori di lavoro, degli educatori e così via. E’ da quello che serve a lui che si deve cominciare a ragionare. Le mamme vanno in ogni modo supportate nello svolgimento di quel preziosissimo lavoro –il più prezioso di tutti- che è crescere un nuovo essere umano; ma supportarle non significa necessariamente sostituirle, e poi pare che le giovani mamme di oggi non vogliano affatto essere sostituite. Sulla base di questa nuova sensibilità e di questi nuovi bisogni forse si può provare a inventare qualcosa di diverso dalla formula rigida e universale del nido, buona per il fordismo e oggi forse superata.
Visto il grandissimo interesse da settembre torneremo comunque in argomento con una serie di inchieste.
(pubblicato sui “Io donna”- “Corriere della Sera” il 28 giugno 08)