Dopo aver dato delle egoiste alle italiane perché non donano i propri ovociti, Roberto Saviano minimizza per correctness la questione migranti-libertà femminile. Alimentando il consenso alle destre xenofobe
Il vero lavoro che c’è da fare per uscire dalla violenza
La lotta contro la violenza non funziona perché le donne non sanno leggere come politica la violenza che subiscono e la tengono nascosta nel privato. Mancano le parole per dirlo. Un simbolico efficace. Il lavoro da fare, dunque, è trovare queste parole. E una pratica politica efficace
Ieri un convegno all’università Bocconi ha valutato in oltre 13 miliardi il costo medio annuo che grava sulla spesa pubblica italiana per le conseguenze dei maltrattamenti sui minori. Qualche settimana fa è stata quantificata in 17 miliardi la spesa media annua che consegue al maltrattamento sulle donne.
In questo periodo usa molto quantificare il costo del dolore. E allora due osservazioni:
1. la violenza sulle donne, ma anche la grande maggioranza degli abusi sui minori sono commessi da uomini. Una lettura neutra di queste casistiche non aiuta la prevenzione, che deve orientarsi su una comprensione dei meccanismi della sessualità e dell’aggressività maschili, intesi non come dati di natura immodificabili ma come modelli culturali tuttora dominanti ma in caduta, e sui quali si può e si deve lavorare
2. la quantificazione di queste problematiche può dare una misura precisa della loro entità, ma resta un’arma a doppio taglio. Ridurre ogni fenomeno infatti alla misura simbolica unica del denaro ci fa permanere in quella logica di consumo che attribuisce un prezzo a ogni cosa, riducendola a oggetto di mercato. E’ precisamente questa logica di oggettificazione dei soggetti -che siano donne o che siano bambine/i- quella che alimenta violenze e abusi.
L’esperienza del dolore -unica, soggettiva, irripetibile- non può essere ridotta a numeri. O meglio: può esserlo, ma si tratta di un approccio insidioso.
Venerdì sera in Piazza Tahir (Il Cairo) una giornalista francese di France 24, Sonia Dridi, è stata aggredita da una folla di maschi che l’hanno palpeggiata e molestata, aprendole la camicia e cercando di slacciarle la cintura (qui il video).
Soccorsa da un collega, ha evitato il linciaggio sessuale rifugiandosi in un fast food. I palpeggiatori hanno continuato a picchiare sulle vetrine, rivendicando il possesso della loro “preda”, e successivamente hanno circondato il taxi con il quale Sonia è riuscita ad allontanarsi in stato di choc. Prima di lei, altre giornaliste straniere hanno denunciato episodi simili. Qui il video dell’aggressione alla francese Caroline Sintz. L’americana Natasha Smith, a sua volta vittima delle violenze dei maschi egiziani, le racconta così: “Quegli uomini erano come dei leoni intorno a un pezzo di carne, avevo le loro mani dappertutto sul mio corpo e sotto i vestiti. Gli sguardi erano quelli di animali. Mi sbattevano a destra e a sinistra, come se fossi uno straccio e non un essere umano”
Moltissime donne egiziane, sottoposte quotidianamente a queste violenze, subiscono invece in silenzio, vista la non-reazione delle autorità e il pericolo di ritorsioni.
Dopo la primavera rivoluzionaria, di cui le donne sono state protagoniste, piazza Tahir è diventata la scena di un violento ed estremo colpo di coda patriarcale. Quasi a compensare quel protagonismo e a neutralizzare quella straordinaria forza femminile, molti maschi egiziani adottano il palpeggiamento e l’umiliazione fisica come forma di lotta sessista, il cui significato è lampante: “tu sei soltanto una cosa a mia disposizione, non hai una tua vita e tuoi desideri autonomi”. Il corpo delle donne resta uno dei principali campi di battaglia.
La politica egiziana non è meno violenta nei confronti delle cittadine: nella bozza di Costituzione l’articolo 36 stabilisce che la parità fra i sessi non deve entrare in conflitto con «i principi della sharia» e lo Stato deve far sì che una donna possa conciliare «i propri doveri nella famiglia e il suo lavoro nella società», si parla di nuova legalizzazione delle mutilazioni genitali e del matrimonio per le bambine.
Le donne del mondo arabo lottano e mostrano il loro volto nella piazza virtuale, insieme a quello di molti uomini “nuovi” che sostengono i loro diritti essenziali. Cliccatissima su Facebook la pagina ”The uprising of women in the Arab world”, visitiamola tutt* e mettiamo il nostro “mi piace” contro la barbarie.
L’Egitto non è solo un posto per vacanze low cost. L’Egitto oggi è uno dei tanti luoghi del mondo in cui le nostre sorelle soffrono.
Stiamo discutendo di violenza maschile sulle donne. Un amico, Gabriele, riflette ad alta voce su se stesso. Una volta ha picchiato una donna. Vuole provare a raccontare come è successo, provare a darsi qualche spiegazione, dire alle donne come capita, e come difendersi. E’ un gesto a suo modo generoso, a cui va dato valore.
“Dirò qualcosa a proposito degli omicidi commessi da uomini che fino al giorno prima non hanno mai praticato violenza, di quelli cioè che non vivono in culture di codici barbari e che giornalmente, almeno formalmente, d’avanti gli occhi del loro microcosmo, indossano atteggiamenti patriarcali maschilisti e per i quali certamente l’esposizione a modelli ancor più può determinare in un momento anche solo di grande rabbia una tragedia.
Non appartengo alla tipologia de ‘ è lo stupro in se che eccita’, semmai appartengo a quell’altra che ‘se la donna non si eccita non riesco ad eccitarmi neanche io’. Anche uno come me può però arrivare ad usare le mani, mi è successo, purtroppo, credo anche che non si possa mai più ripetere e che non sarei mai arrivato ad un omicidio e questo giusto perchè fortunatamente quella volta non ho mai perso del tutto il contatto con la realtà. Se fossi stato di struttura psicotica il potenziale di aggressività che mi trasformò lungi da ogni possibile previsione in altro da me per un paio d’ore mi avrebbe certamente portato ancora oltre. Questo ennesimo episodio di un paio di giorni fa mi ha fatto tentare una spiegazione, perlomeno al mio crimine, non una giustificazione, non c’è giustificazione all’uso della violenza. “L’arma degli incapaci”: anche questo è vero, avevo tentato come potevo di affrontare il dolore, prendendomela con l’altro, per esempio, una persona assente, sconosciuta, e mantenendo innocente colei che mi si ripresentava d’avanti. Il dolore, immane, è già immaginare la tua donna, quella che ami più di te stesso con le gambe allargate ad un altro che non l’ama ma si sta passando un capriccio. Quella la consideri violenza ‘a sua insaputa’ e ti accende, perchè forse l’atto sessuale lo consideri una ‘tenera violenza’ lecita tra chi si ama, che hai costruito di modo che a lei sia graditissima, sacrilega se perpetuata con l’inganno da terzi. Tutte cazzate ma tu ci credi.
A quel punto hai già perso un po’ il contatto con la realtà, sei entrato in una spirale senza fondo di rimuginamenti, non mangi, non dormi sei iperlucido, sempre, ti si alza la pressione arteriosa …. sei alterato. Succede allora che se lei diventa violenta, prevaricatrice, vuole che gli consegni il tuo cell per cercare di dimostrarti che anche tu …. e invece non è vero che tu ….. ti strappa i capelli: funziona come un detonatore. Poi stai male, malissimo, provi a darti gli stessi schiaffi per sapere che male le hai fatto, sei stato attento a non colpirle il naso, le orecchie, pensi che siano stati colpi ben assestati, di quelli che fanno un po’ di rumore e provocano un piccolo shock, di quelli che le possano far tornare la ‘ragione’ …. ma sei più tu che l’hai persa e lei ha il viso gonfio.
Probabilmente questo tipo di dinamica anche una ennesima dichiarazione d’amore, lei lo sente, l’hai terrorizzata e pur dicendoti che ti avrebbe denunciato l’hai pure accompagnata al pronto soccorso e lei all’ultimo momento dichiara di essere stata aggredita da uno sconosciuto … tu sei rimasto la, pronto a scontare la tua colpa, il carabiniere di turno ti osserva e tu ti senti puro e pronto a scontare allo stesso tempo. L’hai accompagnata a casa, fortunatamente solo qualche edema superficiale, lei è ancora terrorizzata, senza parole scompare per riapparire dopo meno di una settimana; mentre tu eri ridotto a una bestia è riuscita a contare tutti gli schiaffi che le hai dato, sa che tu la ami: questo è ancora un momento pericolosissimo per le donne. Già, quando il tuo ragazzo si altera e comincia a discutere animatamente come non ha mai fatto è arrivato il momento di allontanarlo fisicamente, di non restare quantomeno appartati. Quando si innesca una certa dinamica, appena si intravvedono i primi segnali di trasformazione, la donna dovrebbe andare via, dovrebbe essere preventivamente preparata a riconoscere e a monitorare questi segnali, mettere da parte l’affettività ed usare solo il raziocinio. Poi c’è sempre tempo per ricucire una cosa ricucibile.
A noi uomini non psicotici, le madri, gli insegnanti e operatori ad hoc dovrebbero impartire una educazione sentimentale, spiegarci che le donne hanno tutto il diritto di fare le stesse cazzate che facciamo noi, che hanno tutto il diritto di giocare con i sentimenti, che non è soltanto un gioco esclusivo nostro e tante altre cose che in parte, un po’in tutte le fasce sociali ci sono sembrate appannaggio esclusivo. Anche alle donne si potrebbe spiegare che l’amore, quello per gioco, quello ‘vero’ e perfino quello matrimoniale non prevede obblighi, discussioni controvoglia né violenza verbale.
Prendetela come una testimonianza che può aiutare a comprendere la fenomenologia”.
Mi colpiscono in particolare tre passaggi di questa autocoscienza:
la violenza su di lei come un fatto “tra uomini”, io la intendo così, lei che viene punita perché con il suo comportamento costringe alla rottura del patto tra maschi e riporta all’odio fratricida
l’avvertimento che lui dà alle donne, perché imparino a cogliere i segnali di pericolo
la “supplica” alle madri, perché possono molto: da madre di figlio maschio dico che è vero, le madri possono molto, e vanno aiutate a potere, vanno supportate dai padri coscienti, dalla scuola, dalla cultura.
Un blogger maschio, Paolo Baldini, sul Corriere di oggi (“Misoginia online”, pag. 33) parla di noialtre blogger femmine, e dei troll che ci perseguitano. E’ un fenomeno mondiale e piuttosto studiato: che fare? affrontare o censurare?
Qui noi ce ne intendiamo, vero? E potrei dire al collega Baldini e a tutti che i troll misogini sono sostanzialmente di tre tipi:
1. i violenti, gli odiatori di donne puri, quelli che nascosti dai nick ti danno della p…a e altre cose del genere. Quelli che se non gli dai ragione esplodono furiosamente -nella vita reale sarebbero botte-, come quel tal Roberto Mazzuchelli che su Facebook scrive, rivolto a me e ad altre donne che stanno discutendo: “Ma allora hanno ragione quelli che dicono che le donne hanno un neurone solo!”. Bloccato.
2. i negazionisti: questi sono militanti veri pro-patriarcato e anti-misandria, organizzati in blog sfigatissimi dove non va nessuno, che cercano in ogni modo di dimostrare in modo più o meno garbato che le donne stavano molto meglio prima quando agli uomini era permesso essere “veri” uomini, e che oppressione, emarginazione, sfruttamento e violenza sono tutte balle. Uno che per esempio mi ha sottoposto una sfilza di domande assurde via Facebook, e poiché io mi ostinavo a non rispondergli ha provato con le brutte: “Marina, str..a, perché non rispondi alle mie domande?”. (bloccato) O come quest’altro, autore di questa formidabile cretinata: “Marina, stai prendendo un granchio enorme: sono meno di 200 le donne che ogni anno in Italia perdono la vita per mano maschile… Il cancro è invece responsabile della morte di migliaia di donne ogni anno in Italia e nel mondo”.
3. i paternalisti: quelli che chiosano ogni cosa che tu dici, che commentano il tuo stile, che ti spiegano bonariamente che cosa devi pensare-dire-fare, a cui dà un terribile fastidio la tua libertà di pensiero: e anche qui, guai se obietti, perché partono i vaffa. (bannati). Sono i più insidiosi, perché si presentano amichevolmente, salvo strapparsi la maschera quando non li assecondi e non gli dici “Certo, caro. Hai ragione tu, caro”.
Tutti questi uomini compongono online la questione maschile. La stessa che vediamo, sperimentiamo, subiamo offline. La debolezza, la paura che diventa violenza. Non soltanto non sono disposti ad ascoltare e non sopportano il tuo protagonismo intellettuale e politico, ma basta che tu reagisca fermamente perché perdano il controllo e partano insulti e minacce (le mani online non le possono menare).
E poi ci sono tutti gli altri, sempre di più. Uomini a cui non serve, per sentirsi uomini, darsi continue prove di saper tenere le donne “sotto”. Uomini che sono stanchi del modello patriarcale, che le donne le vogliono al loro fianco, con tutta la fatica che questo comporta. Perché hanno capito che anche a loro conviene così. Noi li amiamo.
p.s. Solo un appunto al collega Baldini, quando dice: “Difendo le donne… dall’incivile misoginia della rete. Dall’assalto dei troll anti-minoranze“. Noi non siamo affatto una minoranza. Noi siamo la maggioranza.
Molte fra noi blogger hanno i loro persecutori, diciamo così, in particolare quelle ritenute “femministe”. I militanti antifemministi intervengono a raffica e in modo organizzato sui blog, oppure lavorano dietro le quinte come veri e propri stalker. Da qualche tempo un tale Massimo Di Natale, tenutario di un blog “per una vera rinascita della donna nella società attuale e la valorizzazione del suo ruolo. Contro il femminismo radicale etc”, prova a ossessionarmi su Fb e via email con le sue “5 domande”. Eccone alcune (non tutte, sono troppo noiose):
Perché le femministe svedesi, vedendo che le donne non riuscivano a penetrare a sufficienza nei consigli di amministrazione, hanno imposto nel 2003 le quote rosa (50% di rappresentanza per uomini e donne) salvo poi richiederne la rimozione in quei settori accademici, come Medicina, Psicologia o Veterinaria, in cui l’applicazione di questa misura comportava l’esclusione di studentesse e ricercatrici a vantaggio dei colleghi uomini?
Perché quando un uomo guadagna più di una donna si parla di “cameratismo maschilista” mentre quando una donna guadagna più di un uomo si parla di “merito
Perché le femministe, quando si tratta di agevolare la carriera delle donne, richiedono la presenza di asili nido nelle aziende dove poter lasciare i figli piccoli, mentre quando si parla di detenute madri pretendono al contrario che non vengano tenute in carcere in modo da consentire loro di stare vicino ai propri bambini?
Eccetera. Poiché io non gli rispondo, non sono obbligata -e come mi permetto? lui non prevede il libero consenso- Massimo Di Natale si innervosisce:
Marina Terragni, perchè mi hai bloccato? Perchè non vuoi rispondere alle mie domande?
successivamente passa alle brutte:
“Marina perchè sei così stronza? rispondi alle domande!“, mi ordina esclamativo e perentorio l’altro giorno via email. Il comportamento è precisamente quello dello stalker, che non tollera di essere ignorato, e alza progressivamente il tiro.
Faccio questa denuncia pubblica per varie ragioni: perché Di Natale e quelli come lui -non è l’unico, ce n’è anche di molto peggio, mascherati dietro i nick-, si rassegnino, io non mi lascio intimidire; perché sappiate che cosa succede nel backstage, che qui non si vede; perché possiate osservare insieme a me le analogie tra il comportamento di questi militanti e quello degli ordinari stalker e domandarvi insieme a me quale può essere stata l’esperienza personale che li ha condotti a odiare le donne.
p.s. In una legge federale statunitense il cyberstalking è considerato parte integrante di un piano ampio di lotta contro la violenza maschile sulle donne.
p.p.s Se Di Natale non la pianta lo denuncerò alle autorità competenti e pubblicherò qui il suo indirizzo mail.
Tutti i giornali stamattina sono pieni della violenza degli uomini sulle donne. Sakineh che attende la lapidazione in Iran, la giovane mamma assassinata dal marito in un cortile del quartiere Stadera a Milano, la ragazza di Varedo stuprata dall’amico conosciuto su Facebook, tutte le donne che in Italia, in Europa e nel mondo in questo preciso istante stanno subendo la terribile violenza di uomini impauriti.
Perfino una chiacchierona come me si fa prendere dallo sconforto e si ammutolisce. Gli uomini devono trovare un posto diverso dove riporre il loro onore. Non possiamo più tenerlo tra le nostre gambe.
Avrei da dire un paio di cose sulla violenza maschile. Una celebre avvocata matrimonialista mi racconta che, in sede di separazione, troppi giudici sottovalutano la gravità e la diffusione delle violenze psicologiche dei mariti sulle mogli. Dice che quando non vedono occhi pesti o braccia rotte tendono ad ascrivere al “normale” stress da separazione
minacce, persecuzioni, telefonate minatorie e altre piacevolezze. Ci vorrebbe un salto di coscienza che ci facesse comprendere che se le violenze fisiche sono molto diffuse, e anche dove non ce le aspetteremmo mai, quelle psicologiche –vessazioni economiche, mancanza di rispetto, umiliazioni, ricatti, limitazioni della libertà personale, esercizio del dominio in tutte le sue forme: sono anche donne a esercitarle sui mariti, ma in non più di 1-2 casi su 10- sono diffusissime, con l’aggravante di essere quasi sempre invisibili e misconosciute nel loro potenziale di devastazione e di sofferenza.
Spesso, io credo, si tratta di violenze-rifugio: ormai consapevole di poter essere punito per gli abusi fisici, il violento si “limita” a quelli psicologici, che proprio per questo dovrebbero poter essere individuati e puniti con la stessa severità.
Un’altra cosa: molti violenti sono stimatissimi professionisti, uomini d’affari, intellettuali, personalità dello showbitz. I quali, dopo aver rotto la testa delle loro compagne o averle ridotte all’impotenza e alla depressione, continuano ad essere stimatissimi professionisti, uomini d’affari, etc. Non è giusto. La sanzione dovrebbe anche essere sociale, soprattutto da parte di quegli uomini che aborrono la violenza sulle donne. Si dovrebbe sapere chi sono, e poter dire: da quel dentista non ci vado, perché è un violento, i miei soldi non li do da amministrare a quel gestore, perché è un violento. Quel libro non lo leggo, quel film non lo vado a vedere, perché chi li ha firmati è un violento, con quel collega non bevo neanche il caffè, perché è un violento.
Non si può smobilitare su queste cose, che distruggono non solo gli individui e le famiglie, ma anche il tessuto sociale. Il patriarcato che muore è una bestia feroce.
(pubblicato su “Io donna”-“Corriere della Sera”)
Un gelido e festoso sabato sera a Napoli, il fitto passeggio di via Chiaia. Un bel giovane bruno, alto e distinto, cammina con la bionda fidanzata al fianco. Discutono, e all improvviso lui le sferra un calcio. Secco, come un cavallo imbizzarrito. Due schiaffi erano meglio , è il mio primo istintivo pensiero. Avrei immaginato che lì correva gelosia, passione, qualcosa di umano e rovente. Ma quel calcio è stato purissimo disprezzo. La ragazza continua a passeggiargli al fianco. Non se n è andata, non si è rivoltata.
Scendendo a passo svelto verso piazza dei Martiri, mi giro verso l uomo. Pianto i miei occhi nei suoi per almeno un minuto, senza distoglierli. Lui ricambia intensamente il mio sguardo. Mi preparo al peggio. Ma non c è sfida. Una torva amarezza, forse, come in un figlio che ha deluso la madre.
La ragazza non mi vede. Io sono il terzo, anzi la terza, che ha fatto irruzione nella dinamica malata. E il malato chi è? Lei, che non se ne va? O lui, con tutto il suo sprezzo? E quand è che si disprezza? Quando si vuole una cosa, mi dico, ma non si ha di che pagarla. Lui si sente povero povero d amore, di risorse interiori, povero di se stesso- e lei abbastanza ricca da poter reggere tutto questo. Sbagliano tutti e due: lui deve arricchirsi, far fruttare ciò che ha, fortificarsi, perché è assai debole. E lei deve chiedere aiuto, o il disprezzo finirà per ferirla a morte.
E capitato a Napoli, ma succede anche a Stoccolma, nel chiuso delle case. Anche lì ci sono uomini che vattono le donne. Però a Napoli si vede, capita ancora en plein air. Meglio così, tutto sommato. Perché la questione la debolezza degli uomini, il dolore delle donne- è pubblica. E in piazza va risolta. Anche con un rusticano duello di sguardi.
(pubblicato su “Io donna”- “Corriere della Sera”)