Bene la sicurezza. Ma la militarizzazione di via Padova rischia di interrompere un processo virtuoso di risignificazione del quartiere avviato, per esempio, con l’invenzione di NoLo (North of Loreto) da parte di giovani creativi
Nei giorni scorsi erano state montate a Milano Via Padova le luminarie natalizie con dei cuori e la scritta “Buone Feste” in molte lingue. Questa notte (questa notte!) sono state smontate dall’amministrazione comunale le scritte in lingue diverse dall’italiano.
“Milano non può diventare Adro – dichiarano i dichiarano i consiglieri comunali Pd Pierfrancesco Maran e Maurizio Baruffi – le feste sono un momento di unità e pensare che le scritte in lingua urtino la sensibilità di qualcuno è da cretini. Pensano di amministrare una grande città come Milano come se fosse un borgo di provincia.
Se il Comune non recede da questa stupidata rimettendo immediatamente le scritte che c’erano prima, sono certo che saranno i residenti della via ad intervenire in tutte le lingue del mondo per ricordare a tutti che le feste sono un momento di unione e di fratellanza”.
Non si può essere amministrati da gente così.
Ricevo questa lettera da una lettrice:
Al take-away filippino di Ester, salvezza delle donne multitasking di via Padova, la scelta è tra pollo, manzo, verdure. Roba onesta, da vecchia mama, che puoi dare anche ai bambini. Ma certi perdigiorno marocchini (“troppi casinista”) Ester non li vuole. Un porcello di ceramica presidia il bancone. “Qui solo maiale, gli dico”. Per niente halal. E quelli scappano, inorriditi.
Chiamatela astuzia, o genio femminile. In qualche modo dovrai fare per non entrare in collisione. Qui, in questi 4 chilometri di via che i milanesi hanno sempre promosso a “viale” -non una banlieu tipo Clichy-sous-Bois ma a 5 minuti in auto o 3 di metrò dalle case del quadrilatero- vivono spalla a spalla 50 nazionalità. Cinesi, maghrebini, filippini, latinos, senegalesi, ucraini, burkiniani. La zona più multietnica di Milano, 42 per cento di stranieri all’anagrafe, 50 per cento nella realtà. Un mix di giovani coloured e vecchi bianchi nati, cresciuti lì o a loro volta immigrati, come quel cervelée (macellaio), ringhiera del 70, che fa lo spiritoso -“ciao bambolina”- con la peruviana sinuosa che lo chiama “papà”.
Tutta questa roba insieme fa un’energia pazzesca. Con i cortocircuiti che sappiamo: dov’è morto accoltellato il ragazzo egiziano Amed Aziz El Sayed ci sono ancora fiori. “Il ghetto”, “la casbah”, “il Bronx”. Eppure, fa i conti la Cei, “la percentuale di criminalità tra italiani e stranieri è analoga».
Se fai correre le emozioni, in questo “pezzo di città” -come lo chiama con sussiego la sindaca Moratti- senti la Londra caraibica di Brixton, posto dei Clash e di Skin; o di Spitafield-Banglatown, quartiere del malfamato East End a ridosso della City, oggi quasi totalmente gentrificato (imborghesito): i turisti, le antiche case dei primi migranti ugonotti abitate da artisti e modaioli. Tutto grazie a un intervento pubblico- riqualificazioni ed eventi- che ha coinvolto le realtà locali, ispirandosi al principio del “rich mix”, il melting pot come risorsa. Perché i nostri amministratori non ci fanno un giro?
“Dici via Padova e sei fregato, non spunti più di 2500 euro al mq” piangono i proprietari con le spalle al muro. Si farebbero ottimi affari avendo lo sguardo lungo, come chi ha comprato a suo tempo a Porta Venezia, la prima casbah, e in Ticinese, già “post de lader”, posto di ladri. Qualche dietrologo sospetta una megaspeculazione dietro la campagna diffamatoria. Intanto gli affari li stanno facendo i cinesi, mitici compratori cash.
La gentrification è già visibile nel tratto tra piazza Loreto e la rotonda: marciapiedi ampi e ciclabili, belle case novecentesche, kebab extralusso, un elegante coiffeur che per distinguersi dai salon cinesi, piega a 6 euro, si fa chiamare “consulente d’immagine”. Ma il “viale” è più giusto farlo in senso inverso, dalle ville di delizia sul naviglio Martesana a Crescenzago, posto di villeggiatura fuori le mura inurbato negli anni Venti. Il vecchio municipio, oggi sede del Corpo musicale, è stato sventatamente cartolarizzato. Renzo Tramaglino passò di qui, antica Via Veneta, per raggiungere Porta Orientale. E forse si ritemprò in questo borgo miracolosamente intatto: la splendida chiesa romanica di Santa Maria Rossa, i chiostri del convento riconvertito in abitazioni. Il silenzio perfetto ha conquistato Franco La Giannella, proprietario delle libreria del Corso, transfuga da corso Buenos Aires: “Ti svegli con le campane e con le voci umane, i cani scorrazzano in giardino, i vicini ti salutano”. E’ il bene primario delle relazioni.
Fino a Loreto, dov’era il santuario dedicato alla Madonna Nera, era tutto un bosco. Giunti lì si ringraziava la Vergine per averla scampata dai briganti e dai lupi: “L’ultimo fu avvistato alla Gobba nel 1901” dice la scrittrice Sveva Casati Modignani, nata e residente in via Paruta, esemplare della sparuta e spaesata “gentry” locale. I briganti, invece, ci sono ancora. E anche qualche lupo in agguato, specie tra il ponte e la rotonda. Sveva vorrebbe una class action contro la giunta milanese che non ha governato i flussi migratori. Ricorda l’età dell’oro: il fosso, i prati con il sambuco, le libellule, l’arena estiva con Lucia di Lammermoor. I buoni vicini, come il professor Castelluccio, preside napoletano, avanguardia dell’ondata terrona dei 60. Dopo i mantovani, i bergamaschi e i veneti in fuga dal Polesine, toccò ai siciliani e ai pugliesi assunti dalle fabbriche del boom, l’olio d’oliva e le esotiche melanzane (“ball d’i fràa”, palle di frate), i casermoni come funghi.
“I problemi erano gli stessi” dice un’anziana volontaria della Caritas “ma non erano così in tanti. Per questo è dura”. Nella parrocchia di San Giovanni Crisostomo c’è un centro d’ascolto e un “guardaroba”. La Chiesa fa un gran lavoro per l’integrazione. La signora è anche andata a un corso sull’Islam: “Nelle famiglie ti accolgono. Hanno una venerazione per noi mamme e nonne”. Il guaio dice, sono quegli uomini soli ammucchiati in case degradate, diventate posti di spaccio e microcriminalità. Quei proprietari che hanno affittato case in cui nessun italiano abiterebbe: niente ristrutturazione –prendere o lasciare- e a caro prezzo. Lo raccontano bene Alfredo Agustoni e Alfredo Alietti in “Società urbane e convivenza interetnica” (FrancoAngeli), istruttivo saggio proprio sul caso via Padova.
Là dove c’era l’erba oggi ci sono kebab, botteghe cinesi, minimarket con quinoa e Inka Cola, phone center, boutique delle unghie, massaggi thai, le vetrine della Casa della Carità di don Colmegna. Il vecchio cinema Ambra che fa strip tease, ex-capannoni riconvertiti in Chiese evangeliche. Vecchiette con il carrello, ragazze velate, ucraine monumentali, e una marea di bambini. L’odore del pane e il ritmo del merengue. Un energizzante caos iper-metropolitano, pieno di vita e di fatiche.
L’epicentro del sisma – via Clitumno, via Arquà- è dopo il ponte della ferrovia. Maria Mesch, pittrice bavarese capelli arancio fluo, aria da Berlino-Kreuzberg, ha riattato un negozio per farne casa-e-bottega (associazione Durchblick) per sé, marito, bambino e cane. Prima stava a Milano 2, poi a Città Studi. Si è spostata lì semplicemente “perché è bello. L’atmosfera conta, per il mio lavoro. E anche gli amici”. Guai dice di non averne mai avuti. Per strada saluta tutti. Indica con orgoglio i pregi locali: la pasticceria napoletana, il negozio dove un milanesissimo signore vende a buon prezzo prezioso sapone d’Aleppo, direttamente da suk a suk.
E il parco Trotter-Casa del Sole, progettato da Giovanni Ceruti, archistar del tempo, nato un secolo fa come colonia estiva. Un po’ malconcio e bistrattato, ma ne sono tutti innamorati persi. E’ il cuore pulsante di Babele. Oltre alle scuole –ci va anche la figlia di Malika Ayane superstar, che di via Padova dice “è come stare al porto, con tante famiglie straniere in cerca di fortuna” -, c’è un teatrino che ospita tra l’altro una ricca rassegna di poesia. Mercatini, cricket, associazioni di ogni tipo. Un laboratorio di scrittura creativa sul modello del mitico 826 di San Francisco.
“Quando leggo certe storie sui giornali, dico: ma io mica abito lì. Qui facciamo anche aperitivi di condominio”, dice Francesca Federici, sposa veronese, zona via Arquà. Matteo da via Moscova ora sta in un delizioso villino del “ghetto”: “Era dura qualche anno fa” racconta “quando i negozi italiani chiudevano. Oggi è vivissimo, i marciapiedi sempre pieni: queste sono culture che vivono in strada”.
Controlli, sì: le ferite infette vanno sanate. Polizia: le regole vanno rispettate. Ma servirebbe anche un’operazione di “marketing territoriale”. Idee di giovani creativi. Designer e stilisti che adottino la via. Un po’ di mecenatismo ambrosiano. Il “rich mix”, per l’appunto.
Per ora in programma c’è una festa il 22-23 maggio, messa in piedi da 50 associazioni. Titolo –addirittura-: “Via Padova è meglio di Milano”, come ha detto una volta un bambino. Ci suonerà anche l’Orchestra di via Padova, messa insieme grazie a Maximina, edicolante spagnola. E’ stata lei a presentare al direttore Massimo Latronico, terrone di Lucania, musicisti di dieci nazionalità, dall’Albania al Perù.
“Dite a mia mamma di non piangere/ tuo figlio, Dio non lo abbandonerà” canta il marocchino Aziz Riahi in “Esiliato”. Sembra “Lacreme Napulitane”. Ma in repertorio anche canzoni d’amore.
pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 20 marzo 2010
Sono veramente stupefatta per certe iniziative della sindaca Moratti. Come quella di imporre una specie di coprifuoco in via Padova. Che, dice, non è il Bronx, non è una banlieu -e infatti l’altro giorno è andata molto democraticamente in bocciofila, dove i vecchietti le hanno detto: “Sciura Moratti, l’è vegnuda a ciapà i voti?“- ma poi viene governata come se lo fosse.
L’ultima e poco luminosa idea che è venuta alla sindaca è quella di anticipare alle 22 l’orario di chiusura di kebab, take away, phone center. Perché non dellle pizzerie e dei ristoranti cinesi, non è chiaro. Una sorta di discriminazione commerciale che avrà l’effetto di incrudelire la convivenza tra etnie, anziché facilitarla. Inotre il fatto che ci siano negozi aperti la sera -mentre il centro è un angosciante deserto- è una delle cose che rende desiderabile abitare in via Padova, oltre ad aumentare la sicurezza: si cammina più volentieri dove ci sono negozi aperti, ci si sente più sicuri quando per la strada gira qualcuno. Mano morbida, viceversa, per quei proprietari di case -quasi esclusivamente italiani- che affittano in nero agli stranieri: multa da 500 euro e rischio di denuncia. Forse una minaccia di requisizione ed esproprio funzionerebbe meglio. Una buona metà dei problemi sarebbero risolti.
Non so come vengano certe idee alla nostra sindaca: in altre città, come nella Londra dell’East End, si è intrapresa la direzione opposta -incoraggiare e abbellire gli esercizi commerciali- e con successo. Don Piero, parroco di San Giovanni Crisostomo, soprattutto uno che vive lì, ha detto: “Ho la sensazione che questo spiegamento di forze, tra militari e polizia, renda la vita meno sicura, più impaurita“. Meno sicura, non saprei. Più angosciosa, senz’altro sì.
Saprete tutti, immagino, che da qualche mese anche in Italia è possibile intraprendere le cosiddette class action, azioni collettive contro le inefficienze delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici.
La class action contro la Pubblica Amministrazione non prevede risarcimenti, come nel caso dei ricorsi collettivi nel settore privato, ma punta al miglioramento nella produzione del servizio. L’azione collettiva potrà essere esercitata contro le pubbliche amministrazioni eccezion fatta per Authority, presidenza del Consiglio e organi costituzionali.
Una bella class action contro gli enti locali di Milano e Lombardia, tanto per dirne una, che non ci garantiscono il respiro e la salute. Un’altra contro il Parlamento, che omette di legiferare per tutelarci dalla corruzione, danneggiandoci collettivamente e singolarmente. O per esempio una class action dei proprietari di case in via Padova e dintorni, Milano, il cui valore sul mercato è crollato a causa della latitanza dell’amministrazione comunale che per anni non ha governato, fingendo di non vedere. Un’altra dei cittadini di Greco, quartiere milanese, contro le ferrovie dello Stato: da quelle parti non si dorme più, perché i motori dei Freccia Rossa parcheggiati nel locale deposito rombano tutta la notte.
Eccetera. Queste sono le prime cose che mi sono venute in mente. Mi piacerebbe essere uno di quei giovani avvocati grintosi che si vedono nei film americani, e imbastire cause a raffica. A voi, per esempio, che cosa verrebbe in mente?