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esperienze, jihad, tv Gennaio 20, 2015

Ibrahim, che racconta il suo jihad

“Ibrahim”, jihadista di Isis intervistato da “Piazza Pulita”

A Piazza Pulita (uno tra i migliori talk: mai urlato, condotto sobriamente da Corrado Formigli) si parla di terrorismo islamico.

Tra gli ospiti Domenico Quirico della Stampa, rapito in Siria nel 2013: “Noi solitamente ci scegliamo i nemici” dice Quirico. “Stavolta è il contrario. Loro hanno dichiarato guerra a noi, e noi cerchiamo di non farla“.

Si sta commentando la straordinaria intervista di una giornalista di Piazza Pulita al siriano “Ibrahim”, guerrigliero di Isis. L’intervista è stata realizzata a Eindhoven, Olanda, raggiunta illegalmente dall’uomo attraverso la Turchia. Vale la pena di analizzarne con attenzione i passaggi e di provare a cogliere il sotto-testo: ci dicono molto di Isis, del fondamentalismo islamista, del jihad, del momento che stiamo attraversando.

“Ibrahim” parla con calma, in una postura rilassata. Nessun segno di “esaltazione”: sta esponendo convinzioni profonde e radicate.

In Turchia” spiega “ho comprato documenti falsi. Ci sono decine di trafficanti di passaporti falsi tra la Turchia e la Grecia. E’ una mafia. Sono assolutamente convinto che il governo turco sia consapevole di quello che succede sotto i suoi occhi”.

Se Ibrahim stesse dicendo il vero, le ipotesi sono due. La prima, gravissima: il governo turco favorirebbe deliberatamente i movimenti degli jihadisti tra la Siria e l’Europa; la seconda: il governo turco chiude un occhio su attività illegali come la produzione e lo smercio di falsi passaporti. E’ bene ricordare del resto che anche Napoli è stata indicata tra le centrali di produzione e smistamento di documenti falsi.

Continua Ibrahim: “All’inizio della rivoluzione per noi siriani l’esercito libero era l’unica soluzione. L’unica speranza per liberarci da Assad e ritrovare la nostra libertà. Ma l’esercito libero non è stato all’altezza del compito che aveva. Molti di noi volevano uno stato dove si applicasse la legge islamica, loro volevano uno stato secolarizzato. Ci hanno deluso e ce ne siamo andati”. La sharia imposta urbi et orbi: è questo l’obiettivo dichiarato di Isis.

Jihad è la nostra guerra santa, contro te stesso e contro tutti quelli che offendono la legge islamica. Semplicemente, jihad significa combattere i nemici dell’Islam, tutti coloro che stanno attaccando l’Islam. L’insegnamento del profeta è: prima di tutto cerca di convincere gli altri del tuo messaggio, ma se loro rifiutano e ti attaccano, attaccali a tua volta e sii implacabile”.

Il rifiuto della fede e della legge islamica, che per Isis sono un tutt’uno, viene letto come un gesto di aggressione. Chi non si converte è necessariamente un nemico, la sua non-conversione è un atto di guerra perché significa non credere al Profeta, e quindi offendere il Profeta (non servono le vignette, per questo). Per un laico è un passaggio quasi incomprensibile. Simmetricamente, il concetto di tolleranza appare incomprensibile agli jihadisti. C’è una sola verità, una sola fede possibile. Chi non vi aderisce sta dichiarando guerra a questa verità e a questa fede, quindi è un nemico che va “implacabilmente” eliminato.

A Raqqa, capitale di Isis, “lo stato islamico si occupa di loro –dei foreign fighters e di tutti quelli che hanno voluto aderire al progetto, ndr-. Lì c’è la vera giustizia sociale, ci sono scuole, ospedali, banche, centrali elettriche, e da poco hanno una moneta. E’ un cambio epocale. La cosa che devi capire è quanto la gente viva in pace.

Chi crede e si sottomette alla sharia trova la pace, intesa non solo come non-guerra, ma come soddisfazione all’unisono dei bisogni materiali e spirituali. Islam significa “sottomissione, abbandono, consegna totale a Dio”, e quindi sicurezza e pace (salām: l’assonanza con Islam è evidente).

“I giornalisti occidentali sono stati decapitati perché è stato provato che erano spie. Gli yazidi adorano un diavolo, quindi per la legge del profeta non possiamo accettarlo”.

La persecuzione  “obbligatoria” degli Yazidi, seguaci di un culto di probabile origine gnostica, è la dimostrazione plastica del fatto che dicevamo: prima ancora che inaccettabile, per i fondamentalisti religiosi l’idea di tolleranza è incomprensibile. La differenza di credo non solo non può essere ammessa, ma va attivamente combattuta (jihad) da ogni fedele. L’inammissibilità di una fede diversa e quella di tutte le altre differenze è il fondamento di ogni totalitarismo.

Voi pensate che sia l’Isis a reclutare i ragazzi, ma vi sbagliate. Sono loro che ci cercano per andare nello stato islamico…. Odiano l’ipocrisia e il doppio gioco dell’Europa. Se insistete a offendere la nostra religione e a uccidere la nostra gente, in ognuno di noi può nascere odio e chiunque può fare qualsiasi cosa”.

Il “doppio gioco dell’Europa” va letto probabilmente come l’adesione dell’Europa al Patto Atlantico, il fatto di avere scelto gli americani aggressori e di aver preso parte alle loro guerre: risuona qui il vagheggiamento di un’Europa antiamericana (e antisionista) e amica dell’Islam. Molto impressionante quell’odio che può nascere “in ognuno di noi”: più che di una guerra senza un fronte territoriale riconoscibile, microfisica e “molecolare”, si potrebbe parlare di una guerra che impegna ogni singolo corpo, “pronto a morire”. Ciascuno è chiamato singolarmente a essere esso stesso “guerra” contro gli infedeli, arma umana autorizzata, già innescata e autosufficiente. 

E’ una crociata contro di noi, e noi dobbiamo difenderci…”: la guerra dunque è partita dagli infedeli, ed è in corso da molto tempo. E “finché il Vaticano non prende una posizione contro questa guerra, vuole dire che è complice”.

Qui si coglie un’ambiguità: la massima autorità cristiana viene in qualche modo riconosciuta, alle sue posizioni viene attribuito un valore. Forse, ancora, il vagheggiamento di un possibile dialogo con i cristiani. Confermato dal lungo silenzio di Ibrahim, quando la giornalista gli chiede se è possibile che l’Isis arrivi a Roma. L’uomo medita, come se non intendesse chiudere del tutto la porta. Non sceglie la minaccia definitiva di Abu Bakr al-Baghdadi, califfo dello Stato Islamico: “Se Iddio vorrà, conquisteremo Roma e il mondo intero“.

Cerca rifugia nel Corano: Il profeta ha detto: arriveremo”.

 

 

 

 

Donne e Uomini, leadershit, questione maschile Febbraio 21, 2013

Il potere non fa più per loro

 

Mi scrive stamattina un amico lettore: “Il potere non fa più per noi (uomini): vogliamo imbarcarci e sparire nei mari del Sud come in un romanzo di Conrad“. Buon viaggio!

Intanto contemplo gli imbrogli e i casini freschi di giornata: i pensionati in coda per ritirare l’Imu, quel povero narciso di Oscar Giannino che non è riuscito a fermare nemmeno il suo personale e ridicolo declino, le aziende del gas che hanno ciuffato alla Snam 430 milioni di euro progettando di farli ripagare a noi consumatori, Monti che dice che Merkel non vuole il Pd (in sostanza: la signora maestra ha detto che il capoclasse sono io), il Pd che non voleva neanche sentire parlare di Grillo ma dopo la piazza di Milano si mette finalmente “all’ascolto… perché il Movimento 5 Stelle ha portato dei temi che ci interrogano” (Bersani) e considera i grillini “interlocutori preziosi” (D’Alema: loro non ricambiano, temo). E poi il ciclone sesso-soldi-potere (lotte, faide, lobby gay, saune, bordelli) per che sta per abbattersi sulla Chiesa, con Papa in fuga per non ritrovarsi a gestirlo…

In effetti: il potere non fa più per loro. Io lo direi meglio: il potere non fa più per il mondo. Non appare più come il dispositivo adatto -ammesso che lo sia mai stato- a regolare la convivenza umana. Si decompone sotto i nostri occhi, si mostra per quello che è: egoismo, individualismo, avidità, lussuria, violenza, paura. Ci tocca vivere questo momento terribile, in cui tutto si disfa, e si salvi chi può, e scappi con i soldi chi può, e tutti gli altri aggrappati ai relitti della scialuppa.

Il timore che (la fine del) patriarcato trascini nella sua caduta istituzioni ancora indispensabili all’ordine sociale più elementare, provocando caos o risposte reazionarie o resistenze sbagliate, è dunque fondato”, scriveva 40 anni fa la filosofa Julia Kristeva. Lo scenario in effetti è proprio questo, e tanto vale tenerlo ben presente. La deriva maschile trascina tutt*.

Stringiamoci tra noi donne, e con gli uomini migliori, come quel Mr Lester Burnham, antieroe di “American Beauty”, che aveva scelto di andare a cuocere hamburger in cambio della minore responsabilità possibile. Solo insieme riusciremo a navigare a vista.

Politica Febbraio 2, 2010

UN PESSIMO DAN BROWN

guardie-svizzere

Accidenti. Questi sviluppi della vicenda Feltri-Boffo-Avvenire sono degni del peggiore Dan Brown, scrittore che peraltro non piace affatto al Vaticano. Come avrete letto, Vittorio Feltri sostiene di essere stato imbeccato e imbrogliato riguardo al collega Dino Boffo da “una personalità della Chiesa di cui ci si deve fidare istituzionalmente“. La velina gli sarebbe arrivata direttamente dalla gendarmeria del Vaticano. Pare anche che il direttore dell’Osservatore Romano Gian Maria Vian si sia attivato telefonicamente per avvalorare le informazioni. A meno che non si tratti di una contromanovra per decapitare, oltre ai vertici di Avvenire, anche quelli di Osservatore Romano.

Tutto quanto -veline, guardie svizzere e via dicendo- va a comporre un plot alquanto grottesco. Se fossi l’editor di uno scrittore di gialli ecclesiastici, gli suggerirei di inventarsi qualcosa di meglio.

Ieri Feltri e Boffo hanno pranzato da “Berti”, onesta cucina milanese e gradevole giardino estivo. Il tavolo era tra i più in vista.

OSPITI Dicembre 2, 2008

LO SPAZIO IN MEZZO di Luisa Muraro

Su Chiesa e omosessualità, ricevo e pubblico un intervento della filosofa Luisa Muraro.

Oltre a danneggiare la Chiesa, pensi tu Marina che questa presa di posizione del Vaticano abbia l’effetto di ostacolare la campagna della depenalizzazione? Gli ostacoli sono già tanti e decisivi, temo, il che deve suggerire un’ipotesi: forse ci sono altri effetti che questa presa di posizione del Vaticano persegue, uno potrebbe essere di marcare una vicinanza con l’Islam, e di restare così nell’area della religiosità sentita e praticata, restarci in maniera concorrenziale, distante dal dilagare di permissività e di diritti a gogò che va in circolo con la crescente indifferenza religiosa.

luisa muraro, "il dio delle donne"

luisa muraro, "il dio delle donne"

La questione che io sollevo diventa allora un’altra, ed è che si sta confondendo i diritti con la depenalizzazione, esattamente come si è fatto con l’aborto (che è argomento ben diverso, intendiamoci). In
entrambi i casi, si crede che depenalizzare sia uguale a sancire un nuovo diritto relativo al comportamento depenalizzato. Tu dici, come altri: che i comportamenti omosessuali siano giudicati un peccato, io non lo credo ma ammetto che la Chiesa possa insegnarlo. Secondo me, la fai troppo facile, devi considerare che questo è troppo poco dal punto di vista di coloro che pensano che sia un peccato, per loro bisogna anche che la cultura lo faccia sentire come tale, altrimenti…

A me pare di vedere che c’è un margine per uno scambio, direi quasi una trattativa fra le due posizioni, ed è questo. C’è sotto un errore, si crede che, fra riconoscere un diritto e vederci al contrario un reato, non ci sia niente di mezzo, e a causa di questo niente di mezzo, qualcuno ha creduto giusto mantenere la condanna penale. Ma è sbagliato e bisogna adoperarsi a mostrarlo, come noi femministe a suo tempo abbiamo insistito che è sbagliato parlare di un diritto d’aborto, è sbagliato anche legalizzarlo (come poi si è fatto) e che la strada giusta è la semplice depenalizzazione, in quanto questa riduce l’ambito degli interventi del diritto penale ampliando l’ambito di altri possibili interventi. Ma quali sarebbero, nel caso dell’omosessualità?

Uno ne vedo, che forse sono molti: combattere il disprezzo per favorire la consapevolezza e la conoscenza, che sono sicuramente strade per uscire da comportamenti coatti e dal vittimismo sempre in cerca di risarcimenti e compensazioni.

Ciao, Luisa Muraro.

AMARE GLI ALTRI Dicembre 2, 2008

DISPOSTA A SCRISTIANIZZARMI

Mi sento con compassione dalla parte di quei molti preti di buona volontà, e in particolare di quei preti omosessuali, a cui oggi il voto di ubbidienza peserà come un macigno. Rispetto la Chiesa, sono cresciuta nel suo abbraccio, benché da tempo me ne sia parzialmente sciolta, e credo che la fede possa fare molto per alleviare l’infelicità e l’ingiustizia. Oggi la Chiesa avrebbe potuto serenamente sostenere, pur senza venire meno al principio in base al quale la stigmatizza come un doloroso peccato -principio che pure non sento come mio-, che l’omosessualità non è un reato. Perchè un conto è un peccato, che attiene alla libera coscienza, un altro conto è un reato, punito in un centinaio di stati di questa terra e in una ventina addirittura con la messa a morte. E invece la Chiesa si dice contraria alla proposta di depenalizzazione dell’omosessualità che la Francia ha annunciato di voler sottoporre alle Nazioni Unite.

Sono certa che la Chiesa, ovvero il corpo dei fedeli, si senta ferita a morte da questa violenta presa di posizione del suo Principe, che significa assumersi fin da oggi, inutile girarci intorno, il peso di centinaia di omosessuali crocifissi con la sua benedizione, o quanto meno con la sua complice distrazione. “Not in my name”, è questo che dovrebbero dire tanti cattolici in tutto il mondo.

Sono sicura che qualcosa è andato storto, perché Dio è perdono, e Gesù si farebbe mettere in croce al posto del più piccolo omosessuale di questo mondo, e c’è tutto il tempo per correggere la stortura. O in alternativa sono costretta a pensare a un perverso moto autopunitivo, alla torsione di una cattiva coscienza, poiché come tutti sanno -basta aver frequentato un oratorio, o essere stati in un collegio religioso- tra gli uomini di Chiesa la percentuale di omosessuali, praticanti o meno, è decisamente alta, e l’omofobia corrispettiva e denegante altrettanto cospicua.

C’è qualcosa di terribilmente e perversamente umano, dietro questa orribile decisione in nome di Dio. NOT IN MY NAME di sicuro. Anch’io sono cristiana, e sono disposta a scristianizzarmi se nell’indifferenza o peggio della mia Chiesa un solo ragazzino iraniano andrà a morte perché gay.