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Umberto Ambrosoli

AMARE GLI ALTRI, bambini, salute Luglio 4, 2013

Divieto di morbillo per i piccoli immigrati

Dunque: a Milano un bambino di 5 anni, figlio di immigrati irregolari (ovvero senza permesso di soggiorno), è febbricitante e pieno di bollicine. Verosimilmente una malattia esantematica. In genere è un pediatra a fare diagnosi e indicare una terapia. Ma il nostro piccoletto un pediatra non ce l’ha: per i figli di irregolari il servizio pediatrico è garantito solo fino ai 6 mesi. Dopo i 6 mesi in caso di malattia c’è solo il pronto soccorso, che oltre a non garantire la continuità di cure, necessaria in particolare per la salute di una creatura in crescita, comporta per la nostra sanità un esborso assai maggiore. Quindi anche dal punto di vista della spesa pubblica si tratta di una scelta fallimentare. La salute è un bene collettivo, e non tutelarlo costa.

Un pediatra volontario visita il piccolo, e diagnostica una varicella. La diagnosi rapida e certa di una malattia infettiva, com’è il caso delle malattie esantematiche, è il solo efficace presidio contro la diffusione dell’epidemia, che oltre ai molti disagi comporta, anch’essa, un aumento della spesa pubblica. Ma se non fosse stato per il buon cuore di quel pediatra, per il bimbo non ci sarebbe stato che il pronto soccorso.

A raccontarmi la storia esemplare è Lucia Castellano, capogruppo in Regione Lombardia per Patto Civico Ambrosoli, poche ore dopo che la Regione ha ribadito l’intenzione di non garantire cure pediatriche oltre i 6 mesi per i bimbi figli di irregolari.

C’è un accordo Stato-Regioni per garantire a tutti i bambini, compresi i figli di irregolari, continuità di cure. Ma a differenza di altre regioni, la Lombardia dell’eccellenza sanitaria non lo ha recepito.

Insieme al Pd, il Patto Civico per Ambrosoli ha presentato una mozione per aderire all’accordo, ma l’ipotesi è stata respinta all’unanimità da i rappresentanti del Pdl, della Lega, dei Fratelli d’Italia e della Lista Maroni. Tra gli argomenti, il fatto che garantire cure pediatriche ai figli di irregolari costituirebbe una “breccia” strumentale per superare la legge Bossi-Fini sull’immigrazione; che in caso di malattia, come già detto, ci sono eventualmente i Pronti Soccorsi; e che anzi i pediatri, in quanto pubblici ufficiali, sarebbero tenuti a denunciare i “clandestini” grandi e piccoli.

Anche i ciellini e tutti i cattolici di Lega e Pdl hanno votato contro.

Lucia mi prega di mettervi al corrente di questa vicenda, e io lo faccio volentieri.

 

Qui il testo della mozione, primo firmatario Umberto Ambrosoli:

 

IL CONSIGLIO REGIONALE DELLA LOMBARDIA

PREMESSO CHE
secondo i dati fomiti dall’ORIM (Osservatorio Regionale per l’integrazione e la
multietnicità) il numero dei cittadini stranieri extracomunitari che risiedono in
Lombardia è aumentato sensibilmente negli ultimi anni;
che i figli di stranieri senza permesso di soggiorno possono accedere alle strutture
sanitarie solo per prestazioni urgenti ed essenziali, come le vaccinazioni o per
patologie che, se non curate, provocano danni permanenti;
che i figli di cittadini stranieri senza permesso di soggiorno hanno diritto
all’assistenza del pediatra di famiglia solo fino ai 6 mesi di vita, il che significa che
manca la continuità delle cure e la prevenzione, determinando evidenti rischi anche
per la salute pubblica;
CONSTATATO CHE
il DPR n. 394/99, ha delegato alle regioni italiane l’organizzazione dei servizi
sanitari, ovvero la definizione dei destinatari e dei luoghi dove fornire l’assistenza
sanitaria:
“le regioni individuano le modalità più opportune per garantire le cure essenziali e
continuative, che possono essere erogate nell’ambito delle strutture della medicina
del territorio o nei presidi sanitari accreditati, strutture in forma poliambulatoriale od
ospedaliera, eventualmente in collaborazione con organismi di volontariato aventi
esperienza specifica;
CONSTATATO INOLTRE CHE
le regioni come Friuli Venezia Giulia, Umbria, Toscana, e P.A. di Trento prevedono
l’accesso dei minori irregolari anche all’assistenza pediatrica fornita dai PLS;
CONSIDERATO CHE
i figli degli stranieri senza permesso di soggiorno non hanno diritto al pediatra di
famiglia cioè alla continuità delle cure e che questo determina una limitazione del
diritto alla salute del minore che si trova chiaramente in contrasto con la
Convenzione sui diritti del fanciullo, che stabilisce che tutti i minori, senza
discriminazioni, devono avere accesso ali’ assistenza sanitaria;
CONSIDERATO INOLTRE CHE
– il Parlamento Europeo ha invitato gli Stati membri, con la Risoluzione A7-0032/2011
dell’S febbraio 2011, “ad assicurare che i gruppi più vulnerabili, compresi i migranti
sprovvisti di documenti, abbiano diritto e possano di fatto beneficiare della parità di
accesso al sistema sanitario” e “a garantire che tutte le donne in gravidanza e i
bambini, indipendentemente dal loro status, abbiano diritto alla protezione sociale
quale definita nella loro legislazione nazionale, e di fatto la ricevano”;
– che molti medici in diverse strutture, ottemperando al giuramento di Ippocrate,
prestano comunque l’assistenza in una condizione di indeterminatezza che rischia di
risultare in contrasto con le normative;
VISTO CHE
gli artt. 2 comma 2 e il 24 della Convenzione di New Y ork disciplinano la tutela del
diritto alla salute di tutti i minori non solo di quelli che hanno la cittadinanza;
l’art. 32 comma 2 della Costituzione recita: “La Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure
gratuite agli indigenti”;
INVITA IL PRESIDENTE E LA GIUNTA REGIONALE:
a riconoscere l’assistenza sanitaria di base anche per i minori non regolari tramite
l’attribuzione del Pediatra di libera scelta e l’erogazione di determinate prestazioni
sanitarie per i figli di immigrati extracomunitari senza permesso di soggiorno.

Umberto Ambrosoli

Lucia Castellano
Fabio Pizzul
Laura Barzaghi
Roberto Bruni
Carlo Borghetti
Michele Busi
Marco Carra
Paolo Micheli

Gianantonio Girelli

Sara Valmaggi

economics, giovani, lavoro, Politica Febbraio 11, 2013

#Regionelombardia: per i giovani, tutto

 

Siamo in par condicio, lo so, mi devo frenare, avrei un sacco di cose da dire, dovete tenere conto che io sto qui in Ohio, dove si gioca la partita perfetta. E ancora più decisiva di quella al Senato, quella per Regione Lombardia. Sondaggi non se ne vedono più, probabilissimo un vero testa a testa al fotofinish tra il centrosinistra di Ambrosoli, attorno al quale si stanno coagulando i salvifici consensi di parte dei centristi di Monti (forse in numero maggiore di quelli ufficialmente dichiarati) e il centrodestra di Maroni. Questi ultimi giorni di campagna sono decisivi, ogni singolo voto vale oro puro, è la piuma sul piatto della bilancia, c’è da stare all’erta perché ne vedremo di tutte e ne sentiremo di ogni.

Due scenari diversissimi: la macroregione del Nord, nel caso di vittoria di Maroni, con le sue tentazioni autonomiste e autarchiche (anche se queste medesime tentazioni in un quasi ventennio di solidissimo governo di centrodestra non hanno mai prodotto fatti decisivi); la rottura di questo blocco, nel caso di vittoria di Ambrosoli, leggibile come estensione a tutta la regione -e in progress al resto del Paese- del modello Milano a forte impronta civica.

Se la battaglia per il Senato sarà decisiva per il qui e ora della prossima legislatura, da molti osservatori intesa come a breve e di transito, quella per la Regione potrebbe delineare gli scenari politici per i decenni a venire, e dovrebbe essere guardata con attenzione da tutti, non solo dai lombardi. Il futuro del Paese si gioca qui.

Dico solo una cosa, da milanese e da lombarda, e sono sicura che tanti miei cittadini la pensano come me: sarei disposta ad altri sacrifici, a reggere il peso di tasse oggettivamente insostenibili, a rinunciare anche a molto, a congelare e a diminuire ulteriormente i consumi, se vedessi che qualcosa si muove da subito per i giovani. Parlo di lavoro, parlo di casa, parlo di istruzione, parlo di minime garanzie di cittadinanza.

Per i giovani si deve fare tutto: dal debito d’onore concesso dalle banche per gli studi o per l’avvio di un’attività lavorativa, a mutui stra-agevolati, ad affitti pubblici a canoni simbolici o poco più – le nuove generazioni sono molto mobili, poco propense a incastrarsi con una casa di proprietà-, alla concessione di spazi attualmente sfitti, parlo di negozi, magazzini e altro- per generare attività e imprese, agli incubatori di progetto, alla defiscalizzazione delle assunzioni di giovani e delle imprese giovanili, fino al reddito minimo di cittadinanza. Si prenda il modello Berlino, capitale giovanile europea, e lo si adatti alla situazione italiana. Si cominci da Milano e dalla Lombardia, perché in Italia comincia quasi tutto qui.

Non ce la faccio più a sentire, come mi è capitato sabato in un convegno bolognese, una ragazza di 27 anni dire: “Sono affaticata da tutto, anche la politica delle donne è faticosa. Non è che non vedo il futuro, io non vedo nemmeno il presente. Se penso al futuro vedo solo i nostri corpi sfatti dalla fatica di vivere così. Non ho tutta questa fiducia nelle istituzioni, ma due o tre cose si potrebbero fare: migliorare il trasporto pubblico… un sostegno alla maternità… Siamo sempre più stanche“.

Intendo questo: fare per i giovani significa fare per tutti, ridare fiducia e vitalità a tutti. Si deve cominciare di lì.

Donne e Uomini, Politica Febbraio 5, 2013

Per le donne: Umberto Ambrosoli

Dal candidato presidente di Regione Lombardia Umberto Ambrosoli ricevo le proposte politiche per le cittadine, che pubblico qui a seguire -in attesa di ricevere il programma su questi temi dei candidati presidenti degli altri schieramenti-.

La Lombardia è agli ultimi posti in Italia secondo l’indicatore di uguaglianza di genere della Banca d’Italia, con un valore di tra 0,26 e 0,35, peggiore di quasi tutto il centro nord.

 Umberto Ambrosoli incontra le donne di Lombardia e promette: “Lavoreremo su regole, opportunità e cultura: liberare le energie delle donne va a vantaggio di tutta la regione”

 Mezzo punto di PIL per ogni punto percentuale di occupazione femminile. Basterebbe questo a investire nelle pari opportunità, ma c’è anche altro. Oggi la disuguaglianza di genere in Lombardia riguarda la retribuzione (meno 6 per cento a parità di ruolo), la rappresentanza politica ed economica (con una presenza femminile nelle posizioni decisionali che va dal 5 all’11 per cento), ed è anche un problema culturale di dimensioni profonde.

I punti essenziali del programma di Ambrosoli in materia di Democrazia Paritaria sono:

  • la piena attuazione del principio della parità, anche numerica, negli organi di governo della Regione;
  • il pieno riconoscimento e la promozione dei diritti delle donne in tutti gli aspetti della vita quotidiana:
    • dalla conciliazione dei tempi di lavoro e cura,
    • all’implementazione di strumenti di rientro nel mondo del lavoro dopo licenziamenti o allontanamenti spontanei anche per ragioni di cura dei figli e degli anziani;
    • dal disegno della città e dei suoi servizi
    • alla promozione e al sostegno dell’imprenditoria femminile;
    • alla medicina che curi finalmente la donna nella sua specificità durante la malattia (“medicina di genere”).

In tema di sanità, il programma promette la piena attuazione della legge 194 in tutte le sue declinazioni, garantendone l’applicazione in tutta la regione, anche in presenza di medici e infermieri obiettori di coscienza.

 Forte il focus su un’adeguata promozione e azione di sostegno per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, che si tratti di donne dipendenti (percorsi di carriera, parità di salario, rientro nel mondo del lavoro dopo la maternità, licenziamenti o allontanamenti spontanei) che imprenditrici (incentivi per lo sviluppo dell’imprenditoria femminile).

A vantaggio delle donne ma anche degli uomini, delle famiglie e naturalmente dell’azienda.

Molta attenzione anche ad azioni per facilitare l’imprenditoria femminile, quali:

  • consulenza alla costruzione del business plan e mentoring
  • finanziamenti e accesso al credito: convenzioni con istituti di credito attraverso lo strumento del Fondo Regionale per lo Sviluppo (per garanzie sui prestiti delle banche alle imprese femminili)
  • strumenti di supporto all’accesso di finanziamenti e bandi europei diretti all’imprenditoria femminile e a progetti di conciliazione.

Inoltre, Regione Lombardia si impegna ad attuare e dare rilievo alle direttive indicate nella legge regionale 11/2012, Interventi a sostegno delle donne vittime di violenza, approvata il 26 giugno scorso.

 

 

Politica Gennaio 16, 2013

#Tengofamiglia 2: Lombardia, Calabria, mogli e sindache

 

E dai, diciamolo. La sinistra non è mai stata fortissima sul fronte comunicazione. A parte il tragico manifesto qui sopra, pubblicità indiretta per i Tre Caballeros, leggo oggi che il segretario regionale lombardo del Partito Democratico Maurizio Martina dichiara che per la regione “la partita è apertissima”.

Dunque: il centrodestra dice “noi vinciamo”; il centrosinistra: “la partita è apertissima” (tradotto: “non ancora chiusa”).

Vediamo: abbiamo alle spalle una giunta piena di inquisiti e infiltrata dalla ndrangheta, e che a causa di ciò è stata costretta a dimettersi. La vittoria stava lì, su un piatto d’argento. Si è fatta la scelta faticosa di Ambrosoli e del patto civico quando il Pd aveva in Pippo Civati, mr Preferenze alle Parlamentarie, il suo candidato naturale: uno che in Lombardia si è consumato le suole, che aveva condotto la battaglia contro la giunta formigoniana, che aveva un programma bell’e pronto costruito nel fitto rapporto con il territorio, che non era milanese ma brianzolo, il che avrebbe rotto il trompe-l’oeil milanocentrico, che rappresentava benissimo la discontinuità, e che avrebbe spezzato la monotonia della dialettica progressisti-moderati e cattolici-laici e catalizzato gli entusiasmi, e che è pure carino, il che non guasta. E vabbè, è andata in un altro modo. Fatto sta che questo ciclone di rinnovamento oggi appare infiacchito, e ora ci sentiamo anche dire che “la partita è apertissima”, ovvero non ancora chiusa, anche se in verità i sondaggi non autorizzerebbero questa cautela preventiva. Insomma, come scrive l’amico Paolo Repetti su Facebook, “dal 4 a 0 in casa il Pd si è messo a giocare per il pareggio“. Non esattamente quello che serve per eccitare le masse.

A dare un po’ di verve  alla battaglia lombarda arriveranno i big: Bersani, Renzi, il sindaco Pisapia, che è sempre pop. Molto giusto. Ma visto che il comitato dei garanti democratici è al lavoro per dare una ripulita alle liste, messe su in tempi strettissimi -qualche problema in effetti si è verificato-, vale la pena di sottolineare che quello che capita, per esempio, in Calabria potrebbe avere maggiori riflessi sul centrosinistra lombardo di qualunque testimonial d’eccezione. Se, per dirne una, il Pd recuperasse in volata una delle sindache antimafia, incredibilmente lasciate a casa per dare spazio a big del partito, fedelissimi, paracadutati e parenti, tipo Enza Bruno Bossio, moglie del potente dominus locale Nicola Adamo, a sua volta padre naturale del figlio dell’ex sindaca di Cosenza Eva Catizone, oggi candidata Sel (sì, lo so, sembra Beautiful, ma non è colpa mia), ebbene, questo produrrebbe effetti anche in Lombardia. Intanto la lista Monti sì è accaparrata Carolina Girasole, sindaca di Isola di Capo Rizzuto.

Insomma: mi pare che a questa faccenda di Parentopoli (anche a Milano abbiamo una paracadutata non diversamente leggibile, Fabrizia Giuliani, romana, moglie di, sedicente candidata Snoq ) e Inquisitopoli non si stia dando l’importanza che ha. Anzi: ci sono rumour che darebbero Bianca Berlinguer in uscita dal Tg3 per essere candidata sindaca a Roma, stante lo “zio” europarlamentare e il marito candidato al Senato in Sardegna, entrambi veterani. Una dinasty.

Come sostiene Giovanna Cosenza, autorità in materia di comunicazione politica e autrice di “Spotpolitik”, se un partito inserisce nelle sue liste candidati e candidate “parenti di” (figli di, mogli di, cognati di ecc.), e lo fa in questo momento storico in Italia, be’, sta comunicando qualcosa di molto preciso ai suoi elettori: non siamo cambiati e non abbiamo intenzione di farlo”.

Anche questa è comunicazione. Anzi, lo è molto di più.

p.s.: Volete il mio punto di vista? I parenti ce li terremo. Tutti, e dappertutto. A noi non resta che l’arma del voto.

 

 

Donne e Uomini, Politica Novembre 15, 2012

Cinquanta sfumature di Pd

Sarò strana io, ma non riesco a capacitarmi del fatto che un partito al 30 per cento com’è il Pd dalle mie parti, e oggi non è poco, abbia un’autostima così bassa.

Il nostro Pd si fa da tempo malmenare dal Sindaco, che non è del Pd, e ora si fa frustare da Umberto Ambrosoli, che non è del Pd neppure lui e tiene a ribadirlo in ogni occasione: “non ho tessere di partito” eccetera, come se avere una tessera di partito fosse necessariamente uno stigma (non ce l’ho nemmeno io, cosa che tuttavia non ostento come un merito).

Non c’è niente di male nel fare parte di un partito, o nel fatto di sostenerlo, o semplicemente di votarlo: sono cose che succedono in tutto l’Occidente democratico, al momento non si è congegnato niente di meglio (non mi si dica la “società civile” perché non ho proprio idea di chi o che cosa sia). Non c’è niente di cui vergognarsi neanche nel fatto di dirigerlo, un partito, se lo si fa con coscienza, passione, onestà, buona volontà, nella prospettiva del bene comune e con la necessaria intelligenza politica.

E invece il nostro Pd, dopo aver grattato per molte settimane alla porta di Ambrosoli per supplicarlo di accettare le sue profferte, si sottopone con masochistico godimento alle condizioni che lui pone per concedersi: primarie-non-primarie, e poi stargli ben bene alla larga, patto civico, che poi nessuno sa bene che cosa sia (come detto qui più volte, l’abuso dei termini “civico” e “civile” mi dà l’orticaria, come tutte le cose di cui non comprendo il significato).

Insomma, il nostro Pd è un po’ slave. Gli piace prenderle, farsi ammanettare, ed essere umiliato. Meglio: slave è il suo gruppo dirigente. Perché invece iscritti/ ed elettori/e sono in buona parte portatori di un notevole orgoglio di partito, sperano di vincere -cosa stranissima- e potrebbero incavolarsi fino al punto da rispedire a casa Ambrosoli, patto civico e compagnia cantante (di cui, tra l’altro, a poche settimane dal voto, non circola l’ombra di un programmino: ma son dettagli).

Il rischio di uno sberlone, sicché, a neanche due anni dallo schiaffo delle primarie per il sindaco di Milano, si fa di ora in ora più concreto. Senza contare Bobo Maroni che giganteggia all’orizzonte.

Colpisce in questo immane casino (sorry), la schiena dritta di Alessandra Kustermann, che non arretra di un millimetro, non vuole nemmeno sentire parlare di primarie-burla, ha annunciato la sua candidatura senza troppi se-e-ma, ha cominciato a parlare della Lombardia che ha in mente.

Ennesima dimostrazione che il coraggio è delle donne.

Politica Ottobre 17, 2012

Regione Lombardia: fattore Maroni

Se votassi il centrodestra -e non nascondiamoci: non lo voto- sarei entusiasta della candidatura di Bobo Maroni alla presidenza di Regione Lombardia. Avrebbero già dovuto candidarlo come sindaco per non perdere Milano: l’avevo suggerito, a suo tempo, ai miei pochi buoni amici di quella parte politica.

Maroni ha le carte in regola se non per vincere, impresa piuttosto disperata, quanto meno per minimizzare il prezzo che il suo schieramento dovrà pagare. Caduto sulla ‘ndrangheta, il centrodestra potrebbe almeno in parte rialzarsi affidandosi a un ex-ministro degli Interni che nella lotta alla criminalità organizzata ha ottenuto qualche risultato. E che saprebbe riaccendere l’orgoglio della Lega, bestia ferita ma ancora vigorosa (conosco la mia terra e la mia gente). Insomma, non l’en plein, ma un argine sicuro contro la disfatta.

Più debole la candidatura dell’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, stimato dai moderati, un po’ troppo milanese per infiammare la riscossa. Ma anche lui non da sottovalutare.

A quanto pare il centrodestra sta valutando di organizzare primarie di coalizione (Maroni dice sì, certo di vincere). Ragione in più per non evitare quelle del centrosinistra: io sarei per un primarie day il 25 novembre, politiche e regionali in un colpo solo. Non credo che convenga saltare questo passaggio: i lombardi -noi lombardi- hanno molta voglia di scegliersi il presidente.

Vediamo i nomi che girano: Umberto Ambrosoli, avvocato penalista e giovane uomo degnissimo, riservato figlio dell’eroe borghese Giorgio Ambrosoli, più anti-Formigoni di lui non sembrerebbe esserci. Ma lui oppone -il che lo rende ulteriormente degno- la sua inesperienza della macchina amministrativa e del sistema Lombardia: già rifiutò la candidatura a sindaco. Non sembrerebbero schermaglie. Vedremo. Bruno Tabacci: candidatura debolissima. Già un trentennio fa vicepresidente di Regione Lombardia e oggi assessore al Bilancio nella giunta Pisapia, Tabacci è percepito come “vecchia politica”. Difficile che possa interpretare il grande desiderio di rinnovamento. Alessandra Kustermann: fantastica medica, primaria alla clinica Mangiagalli, esperta del sistema sanitario, grande e antico lavoro a fianco delle donne, in particolare sul tema della violenza. Potrebbe catalizzare l’attenzione dell’elettorato femminile. Anche lei, come Ambrosoli, favorita dalla provenienza dalla cosiddetta “società civile”, ma penalizzata da una notorietà prevalentemente cittadina, e il tempo per farsi conoscere è poco. Un buon piazzamento in eventuali primarie la indicherebbe come possibile -e auspicabile- assessora alla Sanità, posizione chiave in Lombardia. Maurizio Martina, segretario del Pd lombardo: una candidatura troppo interna e di “apparato”. Fuori dal Pd, Martina è poco conosciuto, e il “fuori Pd” oggi elettoralmente pesa molto. E infine -almeno a oggi- il consigliere regionale Pippo Civati, coetaneo di Ambrosoli, percepito dall’opinione pubblica come “rottamatore buono”, un pezzo di strada condivisa con Renzi prima di un definitivo divorzio, capace di muoversi con disinvoltura sul territorio mediatico virtuale -è piuttosto noto alla platea televisiva nazionale-, ma anche suole consumate in un intensissimo lavoro sul territorio reale: la Lombardia, e non solo quella, la conosce palmo a palmo. E i lombardi conoscono lui. Praticamente come Maroni.

Mi pare che la scelta vada fatta anche in funzione del competitor che ci si troverà davanti. 

Io la mia l’avrei fatta. Sperando che mi sia consentito esprimerla.