Giusi Garigali continua a raccontarci quello che capita in Spagna. E noi la ringraziamo per i suoi reportage.
Avevo proposto a Marina di intervistare qualche portavoce degli Indignati, per poter farmi un’idea più precisa di dove vogliono andare e porgli anche qualche domanda, esternare qualche dubbio (mio) rispetto a delle posizioni “ideologiche” (loro) che non condivido, potermi confrontare con loro su idee concrete, chiare e definite.
Questo proposito mi ha portato a un esito totalmente differente, che a posteriori mi sembra incredibile non aver intuito subito, perché in realtà è sotto gli occhi di tutti, anche se finora non ho letto una riflessione che vada nella direzione che mi ha suggerito l’esperienza che ho vissuto due giorni fa. In realtà dubito perfino che gli stessi “indignati” ne siano coscienti fino in fondo: la “praticano” spontaneamente senza rendersi conto che la vera carica di novità rivoluzionaria del loro movimento sta lì, nel loro agito quotidiano.
Si affannano a inventare sempre “nuove azioni” dimostrative o ad elaborare teorie economiche alternative mentre non si accorgono che sono molto più dirompenti (e accusatori rispetto alla politica tradizionale) i loro piccoli atti comuni di tutti i giorni. Infatti, con la loro pratica quotidiana stanno puntando il dito contro una classe politica “indifferente e cinica”. E questi stessi politici cosa fanno? Alcuni li guardano dall’alto in basso (i politici di centro-destra) altri (quelli di sinistra) si preoccupano di capirne le rivendicazioni, perché questo movimento può eroderne la base elettorale. Nessuno però che cerchi di guardare dentro la novità.
Il problema è che tanto gli uni come gli altri (destra e sinistra) partono da un punto di vista diverso, distante dalle pratiche politiche degli indignati. Per esempio Carme Chacon (la ministra della difesa socialista che si prestò ad una pseudo-rappresentazione della libertà delle donne spagnole passando in rassegna le truppe in stato di gravidanza avanzata, teatrino della “rappresentazione delle donne in politica” di cui è stato maestro Rodríguez-Zapatero) che esterna interesse per le istanze rivendicative degli indignati, dimostra perfettamente di essere quello che è: una politica di professione che si muove solo e unicamente in quello che Marina e tante altre ci hanno insegnato a chiamare il campo della “politica seconda“, e che non coglie assolutamente i problemi che gli indignati pongono a livello di “politica prima“.
In realtà, a livello di “politica seconda”, gli indignati ne hanno di strada da fare. Sono destrutturati, non hanno una chiara ideologia di riferimento, fanno fatica ad uscire dalla protesta “spicciola” e anche dal facile “vittimismo”. Quindi a volerci confrontare con loro a questo livello difficilmente troveremo delle idee che ci stupiranno per la loro profondità e capacità di analisi. Ma se da questo livello “secondo” ci spostiamo al livello della “politica prima”, allora sì che troviamo nel movimento delle rivendicazioni interessanti.
Quello che gli indignati stanno chiedendo alla politica ufficiale è di tenere conto anche di loro in un modo diverso e di “includerli” nella vita politica, ascoltando. Questo è ciò che chiedono quando rinfacciano ai politici di non rappresentarli. Di qui il tentativo di dare vita a “pratiche politiche” diverse, tanto nel loro modo di stare in rete quanto di riunirsi. Di qui l'”ossessione” per l’orizzontalità del movimento, ribadita all’estremo, quasi fosse un mantra rassicurante, che ti protegge da quell’altra cosa orrenda, tipica della politica seconda, e cioè la verticalità, che allontana i rappresentanti dai cittadini. Da qui quella affermazione continua della “prematurità di prendere decisioni”, perché “bisogna ascoltare la voce di tutti” e le discussioni-fiume, di ore, per individuare solo poche “parole-chiave” che incarnino e NON interpretino in maniera definitiva, il malessere dei cittadini. Da qui il costante “divenire” del movimento.
Per alcuni, infatti, quello che è interessante è proprio “il processo”, non il suo fine ideologico, nel processo c’è già un significato rivoluzionario dirompente. Questo “processo” che ha liberato energie, che ha messo in comunicazione e in relazione alcune persone con delle altre, che ha fatto risorgere il “desiderio” e la “speranza” (qui chiamata “ilusión“, che significa desiderio che qualcosa succeda) di poterci finalmente essere, di contare e di poter contribuire a un cambiamento in prima persona. Non più anonimi individui “atomizzati”, preda di un ingranaggio individualista ma cittadini capaci di rivendicare un qualcos’altro che ti rende più umano.
Volevo fare un’intervista che mi è stata ripetutamente negata in nome dell'”orizzontalità” del movimento e dunque dell’assenza di “portavoce ufficiali”. Mi è stato quindi suggerito di partecipare all’assemblea. Finora ero stata in piazza, avevo letto gli striscioni, avevo preso con me i volantini, ma non mi ero tuffata per 3 ore in un’assemblea. Stare dentro l’assemblea mi ha fatto capire quale è la “novità” di questo movimento, quali sono i suoi tratti distintivi. Che, come vi ho già detto, non credo vadano ricercati in elaborazioni teorico-politiche mature, ma in questo modo diverso di affermare la volontà di stare dentro la storia, non più “oggetti” ma “soggetti”.
Arrivo alla piazza della Vila de Gràcia alle sette di sera. Vedo subito il Punto d’Informazione. Qui raccolgo molti volantini. Oggi ci sarà l’Assemblea Generale del movimento di Gràcia. Infatti, dopo l’abbandono (quasi completo) della piazza Cataluña, il movimento si è decentrato nelle varie zone di Barcellona e si sono create Assemblee in molti quartieri. Quella di Gràcia si riunisce il lunedì pomeriggio. L’assemblea comincia verso le 7.20. L’audio è pessimo. Si chiedono due volontari per redigere il verbale. Tutti sono seduti per terra. Chi prende la parola non lo fa da una posizione frontale rispetto ad una “platea”, ma direttamente da dentro il gruppo. Ogni tanto alzano le braccia e muovono le mani. Chiedo spiegazione. Mi dicono che questo gesto corrisponde all’applauso nel linguaggio dei sordomuti. Serve per “applaudire” durante i vari interventi senza disturbare, per non interrompere. Si passano in rassegna tutte le varie commissioni. Il portavoce di ogni commissione prende la parola e racconta cos’è stato fatto durante la settimana. Identifico il portavoce della commissione comunicazione. Si chiama Ignasi. Mi avvicino e gli chiedo se è disponibile a farsi intervistare. Ignasi è decisamente in imbarazzo. Dice che lui non è disposto a rilasciare interviste e che comunque nessuno mai mi potrà parlare a nome del movimento. Tutto quello che può fare per me è semplicemente sottoporre la mia richiesta alla commissione comunicazione i cui componenti valuteranno che risposta darmi. Mi suggerisce però (anche lui) di fermarmi all’assemblea: in questa sede potrò porre le mie domande. Io invece ho già capito che nessuno avrà voglia né tempo di rispondere a nessuna mia domanda. Le mie domande, infatti, sarebbero fuori luogo, attengono alla “politica seconda”. Qui siamo su un altro pianeta.
Si decide di riunirsi in gruppi ridotti di 20/25 persone e di dare vita a un dibattito Da ognuno di questi gruppi usciranno delle “parole chiave” che poi verranno scritte su uno striscione che si lascerà in piazza, affinché i passanti possano leggere e riflettere. In ogni caso quello che non si farà è trarre delle conclusioni. Solo proposte e parole chiave, nessuna sintesi. Un grande rispetto del pluralismo, volontà di “inclusione”: il movimento è aperto a tutti. Ci sediamo in circolo. La sensazione positiva che ho subito di questo contesto è il tentativo empirico di fomentare la partecipazione democratica. Questa volontà mi sembra autentica. Sembrano in buona fede. Gente sola, che ha vissuto gli anni di boom economico centrata su se stessa, avendo come unico valore il più totale individualismo, e che ora, con la crisi, ha scoperto di aver bisogno degli altri, di aver bisogno di relazioni, di costruire relazioni perché “da soli si perde in umanità”. Atri aspetti positivi che rilevo sono quelli di una assunzione di responsabilità che dichiarano che “la coerenza è già un atto politico”, la coerenza fra la propria vita privata e quella pubblica.
La prima a prendere la parola è Goretti. Dice di essere galega e di avere provato, fin dall’inizio, una grandissima “ilusión”. Ha fatto parte della Commissione Ambientale in piazza Cataluña, ma è lì dove ha cominciato a vedere alcuni problemi, quando si è trattato di passare dal negativo, ossia dalla denuncia e dalla protesta, al positivo cioè alla proposta… Nonostante questo è felice di continuare ad essere dentro il movimento. Un altro – che si definisce “vecchio ma resuscitato grazie al movimento” – dice che è un bene essersi incontrati in tanti, con tanta voglia di cambiare. Continua: “pensavamo di essere da soli contro la crisi e invece siamo in tanti. Sono sicuro che insieme potremo fare qualcosa”. Questo concetto ritorna in molti altri interventi: la necessità di riscontro e di rispecchiamento nell’altro, che ti dà fiducia e ti fa ben sperare… Ti fa uscire dall’isolamento e dalla debolezza. Ti fortifica. Poi è la volta di Claudia, che dice che, secondo lei, “è positivo che ci sia tanta gente nuova, che non aveva mai partecipato prima a delle assemblee”. Jose dice che “è evidente che il sistema aveva giocato a favore dell’individualismo e ci aveva rubato quella parte di umanità che ci fa diversi. Ciò che ha di positivo il movimento”, continua “è di aver risvegliato il desiderio di cambiamento, anche se a volte sembra un caos totale.” Riconosce che tanta orizzontalità a volte “confonde”, che una maggiore organizzazione aiuterebbe contro il potere che invece è ben strutturato, che va bene lavorare adesso a livello di quartiere ma si devono marcare gli obiettivi a livello generale. Dice un’altra ragazza: “la ricchezza del movimento sta nel suo processo. All’inizio ero scettica, ma mi piace la voglia di partecipazione. Tutti si devono ascoltare. Questo è l’unico modo di crescere.” Eva dice “mi piace il tema dell’assemblea. Bisogna aver pazienza, ma non è tempo perso. È arricchente”. Nuria continua: “per me questa è politica. Per questo è importante discutere, per passare da una democrazia non rappresentativa a una rappresentativa. E sono convinta che tutto non viene solo dalla crisi economica ma da un ordine mondiale che non funziona.” Laura: “io dopo un momento di scetticismo comincio a credere che questo movimento vuol dire molto. Sto veramente avvertendo il cambio nella mentalità della gente. Mi sono sentita molto oppressa da questo sistema. Voglio trovare la forza e l’energia. E la cosa interessante è che si vedono tante facce nuove”. Marc: “è positivo che stiamo cominciando a tirar fuori cose nuove, a pensare. Dobbiamo smetterla di credere che dobbiamo per forza possedere una casa, una macchina, un computer ultimo modello eccetera”. Tomás: “siamo una piattaforma cittadina di “sinistra”, e vogliamo cambiare la situazione economica. Per me la grande vittoria è la “presa di coscienza personale”. Questa è la presa di posizione più “politica” all’interno del gruppo, in cui si ammette esplicitamente di stare “a sinistra” anche se, come sappiamo, molti degli indignati amano definirsi a-politici. Per Anna: “il movimento è una cosa filosofica. Sto vedendo che non è che tutto finisce nell’io, io, io.. Dove andiamo? verso una società in cui è protagonista il gruppo non l’individuo.” “A me sembra tutto fantastico. Non tutti siamo allo stesso livello di consapevolezza, ma dobbiamo includere tutti, avere la testa aperta per accogliere le persone”, dice Cecilia Goro e commenta: “la grande forza sta nei legami che si creano“. Un’altra donna, più anziana, con la faccia torva, dice di “aver avvertito l’impotenza davanti alla crisi, la sensazione di non poter reagire”. E poi giustifica la violenza dell’altro giorno – i fatti davanti al Parlamento – con la violenza sociale pregressa subita dalle persone che hanno scatenato i disordini. Questo per me è l’intervento più triste. Quello più carico di livore e meno di desiderio. Più inquadrato in un orizzonte rivendicativo alla maniera della “politica tradizionale”. Questo suo giustificare la violenza mi fa pensare a cose tristi avvenute anche nel nostro Paese, che niente hanno a che fare con quello a cui sto assistendo. Puro odio e intolleranza. Un altro dice che, finalmente, la politica si è trasferita per la strada. E che la fase buona del Movimento comincia adesso, dopo l’esperienza della piazza Cataluña. Si cercano quindi le parole chiave, quelle parole che più spesso sono tornate nelle riflessioni di ognuno. Queste parole sono nell’ordine: – Ilusión – Indignazione – Opportunità – Desiderio di un cambio – Pazienza – Necessità di organizzazione.
Dove andiamo? Si chiedono. Concordano sul fatto che “tutti hanno voglia di cambiare, ma che è il dibattito nel movimento che dà un senso alle cose, che i gruppi di lavoro sono ancora troppo grandi e che tutti rimangono con la voglia di parlare.” La proposta che si farà all’Assemblea generale sarà quella di ridurre i gruppi a 6/7 persone. Conclude Marc: “stiamo andando verso un’educazione della coscienza in senso etico. Non si va da nessuna parte se poi, a casa propria, ognuno si comporta in maniera incoerente. Io sta imparando molto da tutto questo, soprattutto a livello personale.”