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Politica Settembre 20, 2012

Votare gente che non va ai party in maschera

Contemplando le immagini disgustose della Festa dei Maiali organizzata al Foro Italico dal vicecapogruppo Pdl in Regione Lazio Carlo De Romanis, rampollo di una famiglia di costruttori eletto nel listino bloccato di Renata Polverini (quindi senza sottoporsi al voto) grazie ai buoni auspici di Antonio Tajani, e in attesa che la governatora invece di continuare a minacciare e strillare e a sentirsi poco bene si dimetta davvero, come capiterebbe in qualunque Paese mediamente civile, mi verrebbe da dire questo.

Che potendo scegliere i-le nostri-e rappresentanti -e non potremo farlo, a quanto pare, in sprezzo a quello che è il principio cardine di quella che viene definita democrazia, dovremo mandare giù un’altra volta il boccone amaro delle liste bloccate, se ci piace è così, se no stiamocene pure a casa: e allora non democrazia per non democrazia teniamoci il professor Monti, almeno siamo certi che, oltre a parlare un inglese fluente e ad avere studiato non parteciperà a orge travestito da centurione romano- ecco, potendo scegliere i-le nostri-e rappresentanti io terrei ben presente un fatto: che i-le candidati-e mostrino, nella loro vita, di non tenere in particolare conto la ricchezza materiale, che ostentino anzi un certo sprezzo per l’eccesso di soldi e le inevitabili degenerazioni che ne conseguono. E non uno sprezzo dell’ultimo minuto, ma testimoniato da tutta la loro esistenza. Che abbiano sempre vissuto in modo sobrio, senza ostentazioni, senza coste Smeralde, party, frequentazioni imbarazzanti, Isole dei Famosi e tutta quanta la fuffa che ci è toccato subire come modello di successful way of life per una ventina d’anni. Che da questo circo siano stati sempre fuori, e che diano garanzia che per loro la politica è furente amor mundi, e non un modo per fare più proficuamente  affari o per entrare nei giri che contano o per rubare o per conquistarsi uno stipendio con relativi benefit e vitalizi.

E perfino questo non è una garanzia, perché tanti sono partiti così, nella sobrietà e nell’impegno, e sono finiti con le ville e le crociere e gli elicotteri, tipo il governatore della Lombardia. E’ molto facile perdere la testa, a quanto pare.

Ecco, potendo scegliere, e non potrò farlo, e allora non so se ce la farò a votare chi non mi permette di esercitare un mio fondamentale diritto, io terrei ben presente questo criterio.

AMARE GLI ALTRI, economics Luglio 14, 2012

Diventare più ricchi

Non ricordo chi l’ha detto: “L’Occidente è il Terzo Mondo delle relazioni”. Un teologo missionario, se non ricordo male. Ma mi batte in testa da anni, forse ve ne avevo anche già parlato.

E’ questo, la solitudine, la fragilità della famiglia, il dissolvimento della comunità, a costituire la nostra povertà più radicale. E’ la vera paura di ogni madre e di ogni padre, che il proprio figlio, così spesso unico, rimanga solo. Lo temiamo anche per noi stessi, di restare soli, circondati dal mare cupo dell’indifferenza. Della risorsa relazionale, invece, quello che chiamiamo Terzo o Quarto Mondo è ben più ricco di noi (con tutte le luci e le ombre).

Cosicché, come in un gioco di bambini –“celo”, “manca”, si dice dalle mie parti- si potrebbe immaginare uno scambio: noi vi diamo un po’ di risorse economiche e materiali, o anche ve ne rubiamo un po’ meno. Voi ci re-insegnate il bene della relazione. Voi imparate a rispettare di più persona all’interno del gruppo, noi disimpariamo un po’ di “individuo”. E così via. I giochi dei bambini sono cose serie. C’è sempre da imparare anche da loro. In questa logica di scambio forse si trova la chiave per prepararsi al giro di boa epocale che ancora in troppi pensano di poter evitare, o quanto meno rimandare.

La Terra non ce la fa più. Non ci sostiene più. Non è più in grado di sopportare lo squilibrio tra l’inumano egoismo di pochi e la disperazione dei moltissimi, dei sempre di più. E chiede a noi, parte di quei pochi –ancora per poco- di restituire risorse materiali, intellettuali e spirituali accumulate, per investirle nella ricerca di un nuovo punto di equilibrio. Ci chiede, questo è certo, di rinunciare a una parte considerevole dei nostri privilegi. Ma il desiderio di guadagno, di stare sempre meglio, è essenzialmente umano, e non va condannato.

Anche la rinuncia cristiana è praticata in cambio di un bene più grande, la benevolenza di Dio. Il bene più grande in nome del quale rinunciare, qui, non potrebbe che consistere in questa risorsa a costo zero, fonte rinnovabile di energia, che è l’amore per gli altri, che è la gioia delle relazioni e dei legami. E nella libertà di potersi sottrarre al dominio crudele del denaro. E insieme, forse, anche nel poter ancora sperare nella benevolenza di Dio.

Il cambio, mi pare, sarebbe vantaggioso.

Corpo-anima, esperienze, Politica Aprile 20, 2012

La bruttezza dei ladroni

francesco belsito, tesoriere della lega

Dopo essermi sfinita guardando la trasmissione di Santoro su tutte le ruberie della Lega -ma mettete in nome di qualunque altro partito al posto di Lega, e il risultato non cambia-, mi sono fatta una camomilla e sono andata a letto con il seguente pensiero:

ma davvero non c’è possibilità che ci convinciamo tutti che una buona vita non ha bisogno di tutto questo denaro, di vacanze billionarie e burine, di macchinoni fallici, di barconi con il campo da tennis, di ristoranti da trecento euro a coperto, di abiti da 5000 euro?

(parlando delle cene del giro Formigoni-Daccò, la moglie dell’ex assessore regionale Antonio Simone, in carcere per l’inchiesta sulla sanità lombarda, dice a “La Repubblica”: “L’argomento vero era uno solo, per tutti: soldi, soldi e soldi. I ristoranti erano i più costosi di Milano”).

Davvero non si rendono conto di quanto tutto questo arraffare e ritenere li renda brutti -mai vista gente cessa come questi ladroni, Belsito, Lavitola e così via-, opachi, torvi, indesiderabili, in-animati, diabolici, e poi per forza quando per strada ti imbatti nell’innocenza splendente e angelica dello sguardo di un bastardino scodinzolante non vorresti staccarti più, ti pare che abbia da insegnarti tutto, come un Illuminato?

Davvero non c’è speranza di risolvere alla radice il problema della corruzione non tanto con leggi che la scovino e la puniscano, quanto disinnescando l’avidità insensata che la alimenta?

Davvero dobbiamo rassegnarci a questa misura unica e immonda, onnipresente e totipotente del denaro,  portatrice di immensa infelicità, per i 99 ma anche per gli uno?

Io dico di no, che non dobbiamo.

AMARE GLI ALTRI, esperienze, Politica Giugno 27, 2011

Guerrilla civile a Napoli

A Napoli capita anche questo, ed è un segno della politica nuova

CLEANAP | Piazza Pulita| Guerrilla di civiltà
CLEANAP non è un’associazione, non è un organizzazione, nè altro… è un gruppo di liberi cittadini accomunati dall’amore per la nostra Napoli e dalla voglia di non stare più a guardare.
Ecco perchè, ispirati da altri cittadini che hanno ripulito piazza del Plebiscito, siamo scesi in piazza Bellini l’11 giugno per “FARE PIAZZA PULITA“!

Armati di scopa, paletta, detersivo, buste e, ovviamente, di buone intenzioni, abbiamo dato dignità ad un luogo stupendo, troppo spesso mortificato per la cattiva gestione…
Abbiamo voglia di farlo ancora, ma per riuscirci abbiamo bisogno anche di te!

Nostro intento è accendere un meccanismo a catena volto alla sensibilizzazione preventiva…perchè è più facile non sporcare che pulire!

L’evento, per parlare come facebook impone, si chiama CLEANAP, una crasi tra il verbo To Clean e NAP(oli). Se lo andate a pronunciare “CLEANAP”, diventa “CLEAN UP”, i cui svariati significati rimandano a: moralizzare – pulire – raccogliere – regolare – ripulire.
Il sottotitolo dell’evento è Piazza Pulita, che ha una valenza didascalica, ma anche metaforica.

Basta con l’ARMIAMMC E IAT! Scendiamo e diamo il nostro piccolo segnale!

e poi, qui di seguito, una conversazione su Napoli by Facebook tra me e Mercedes L.

Mercedes:      Napoli: a) mandolino, il golfo, il pino, torna a Surriento, il cuore dei napoletani. b) camorra,inciucio, il senso dello stato inteso come solo dovere per gli altri, una città la cui rabbia è sempre commista alla rassegnazione …che a comandare sono solo capaci “gli altri” e i camorristi.
Hanno avuto già nel 1975 Valenzi sindaco, sembrava la svolta, il PCI dalle mani pulite che imprimeva un nuovo volto alla pubblica amministrazioni e arrivammo a Bassolino… ora faranno fuori De Magistris(che spero abbia già la scorta…perchè non si sa mai!!)
Napoli non ha speranza, nessuna città ha la corruzione nelle vene così densa, poi ci sono realtà di grande coraggio… ma non intaccano la sostanza.Hai ragione è atroce l’accoglienza riservata a De Magistris.Io spero di avere torto nell mio pessimismo.

Marina:       Cara Mercedes, la tua analisi è impietosa ma anche realistica. Noi a volte ci facciamo il film: da una parte la camorra, e dall’altra Napoli imprigionata. Il fatto è che Napoli è anche la camorra, l’intreccio è mortale. Devo dirti che ho conosciuto persone molto attive nel csx napoletano, che tuttavia nei loro comportamenti personali e politici dal mio punto di vista erano seriamente censurabili: primato delle relazioni, familismo, fondi dell’Europa spesi in modo dissennato… Purtroppo è così. Tuttavia lo strazio per quei bambini con l’asma a causa dei roghi e con le palline di canfora in tasca per poter respirare è grande, un pensiero costante.

Mercedes:     Cara Marina, tra i bambini, tra quel 20 per cento in più che soffrono di patologie bronchiali acute ci sono tutti, anche i piccoli incolpevoli figli dei malavitosi.Ai camorristi in questo momento però il bene da difendere è il denaro a tal punto che, anche il vederli con le palline di canfora, lo considerano un prezzo da pagare.

Marina:        Sì, è la cosa che mi aveva molto colpito in Gomorra, questa onnipotenza e onnipresenza dei soldi. Vivevano alle Vele come animali, in canottiera e ciabatte di gomma, gonfi di cibo e di droghe, una specie di insignificanza della vita, di fronte alla mostruosa significanza del denaro.

 

Ho pensato ai discorsi che abbiamo fatto qui su Milano, sul dono e sul gratis, e alla mostruosità che nascono dal fare tutto solo per soldi, anche i propri figli con l’asma e la naftalina in tasca.

AMARE GLI ALTRI, esperienze, Politica Giugno 25, 2011

Caro assessore Stefano Boeri

Caro Assessore Stefano Boeri,

dove ti giri ti giri e la litania è sempre quella: non ci sono soldi. Neanche in Comune. Mancano per il pane, figuriamoci per le “rose” della cultura (anche se quelle rose si mangiano, eccome). Frugo nelle mie tasche, e come Tom Sawyer e Huck Finn ci trovo una fionda, qualche biglia, una rana morta, ma soldi pochi. In casi come questi si tratta di torcere il difetto -anzi il deficit- in opportunità. Se si prova a intendere la cultura come cultura della carenza, allora siamo ricchi.

Quando mancano i soldi in genere scattano altre cose: un senso più forte dello stare insieme per darsi una mano e per valorizzare quel poco che c’è. Una cultura del dono, del gratis e dell’amicizia che riesce a farsi largo quando l’onnipresenza del denaro, misura onnivora, le lascia un po’ di spazio. Dove c’è povertà e sofferenza noi milanesi diamo in genere il nostro meglio: è inutile che ti ricordi il nostro “volontariato”, un brutto nome per una cosa tanto bella.

Ecco, si tratta forse di fare di questa cultura del dono di cui siamo già naturalmente tanto ricchi l’asse portante della nostra politica culturale, in continuità con quella diffusa generosità che abbiamo visto in azione in questi mesi e che ha prodotto il miracolo della svolta civica. Questa è l’occasione che ci viene offerta dal deficit di bilancio.

Assessore, ti ricordi quando a messa il sacrestano passava con il suo saccoccio per l’offertorio? Dare qualche spicciolo funzionava  anche da collante per la comunità parrocchiale. Poter dare, ciascuno per ciò che ha e che può, alla nostra città, ristabilirebbe anche quel senso di comunità che ci è mancato dolorosamente e per troppo tempo, e sarebbe un fatto culturale, anzi Culturale in sé.

Qualcuno offrirà soldi: ci sono cospicui patrimoni privati, siamo sì un po’ più poveri, ma pur sempre al centro del triangolo più abbiente d’Europa. Qualcun altro idee: siamo pieni di creativi. Altri ancora un po’ del loro tempo, della loro buona volontà, delle loro relazioni. Una generale mobilitazione che, come ti dicevo, è già cultura e fa cultura. La cultura della comunità, dell’amicizia, del dono, del gratis: concetto inattuale ma fondamentale, perché la grazia è già abbondanza.

Per scendere a terra con qualche esempio: invitare i nostri stilisti, che tanto hanno avuto dalla nostra città, a restituire “adottando” un pezzetto di città meno fortunato del Quadrilatero per farci qualcosa di bello, visto che con il bello loro hanno una certa dimestichezza; chiedere ai nostri grandi artisti in ogni campo, dal cinema, al teatro, alla musica, alle arti figurative, di fare il loro dono alla città, con una performance “in sottoscrizione”, come si diceva una volta, finalizzata a qualche obiettivo benefico. Penso proprio a una rassegna, per Amore di Milano. Che se lo merita, perché ancora una volta Milano sta facendo qualcosa di politicamente rilevante per il resto del Paese, e qualcosa di buono, pare. Quindi anche grandi artisti “stranieri”: pensa a Toni Servillo, che a Milano si è sempre detto molto legato, o a Paolo Conte, che sta qui nella bella Asti, praticamente in periferia, per non parlare di Adriano, e pensa a tanti scrittori, che qui hanno avuto l’occasione di incontrare la grande editoria, insomma, pensa a chi vuoi tu.

L’Evento culturale sarebbe questo, caro Assessore: la nostra cultura e il nostro meglio che si mettono insieme per fare un regalo a Milano. E poi si dovrebbe dare l’occasione a tanta gente che smania per poter fare qualcosa, per partecipare direttamente e intensamente alla ricostruzione della città -uso parole un po’ drammatiche, ma non così lontane dal vero: si tratta soprattutto di una ricostruzione morale, anzi spirituale– di poter offrire il loro dono, canalizzando tutte queste buone energie, smistando il traffico della generosità

Insomma, Assessore Boeri, come vedi ci si offre, nella penuria, un’occasione straordinaria: quella di fare Milano almeno un po’ a prescindere dai dané. Parole d’ordine: dono, gratis, amicizia, amore, grazia, spirito. Il tutto simboleggiabile in quel bellissimo Mudra dello yoga, quel gesto delle mani rivolte a palmo in su, che simboleggia la richiesta di aiuto ma anche la capacità di accogliere la grazia -e poi ci vorrai dare la soddisfazione di una bella seduta collettiva di yoga ai Giardini pubblici o anche in piazza Affari, simbolica e distensiva?-

Chiudo con una dichiarazione del poeta coreano Lee Chang-dong, che è anche regista (“Poetry”) ed è stato ministro della Cultura del suo paese: “Mi sono battuto per cambiare la percezione che la cultura dovesse dipendere dall’economia“.

Ciò che impedisce davvero la cultura, più che la povertà di mezzi, è la povertà delle relazioni. Tutto ciò che rende difficile incontrarsi. Oggi c’è più cultura nella chiusura di una piazza o di una strada al traffico delle auto, nella possibilità di risentire il rumore dei propri passi mentre si cammina e di scambiare due parole con l’altro, che nell’apertura di un nuovo museo. C’è cultura ogni volta che si intuisce che il senso delle cose non è quello che appare. Che c’è dell’altro. E che nello spazio tra ciò che appare e quello che invece potrebbe essere corre la possibilità di un tratto di vita meno infelice, e di molte belle cose da fare.

Fare cultura oggi è soprattutto provocare il desiderio di qualcosa che non può essere consumato.

Un abbraccio e buon lavoro, a te e anche al sindaco e ai tuoi colleghi di giunta.

 

AMARE GLI ALTRI, economics Maggio 21, 2011

QUANTO COSTA IL DESIDERIO

Visto a Milano un magnifico attico supercentrale circondato da un’infilata di luminosissime terrazze, fiorite di zagare e gelsomini. Una meraviglia, insomma. Lo voglio. La mia amica Nadia dice: tu sei pazza, guarda che lì sopra ti sentiresti in galera, a te piace vedere la gente che passa… (uff!)

Richiesta: 3 milioni e 900 mila euro. Ma credo che a 3 milioni e 2 venga via: tanto è uguale, non ce li ho lo stesso (sempre Nadia: e se li avessi saresti scema, bloccare una cifra del genere in una casa, poi chi te la ricompra?)

Non ce li ho, ma potrebbe sempre capitare che un lettore stramilionario un bel giorno mi dicesse: “Mi piacciono le cose che scrivi, perciò ho deciso di regalarti 3 milioni e 900 mila euro”. (faccia anche 4 già che c’è, ci sono anche le spese notarili, il trasloco, ecc.). “In fondo a me che cosa cambia” dice ancora il mio lettore “tra avere mille milioni di euro e averne 996, tolti quei 4 che do a te?”. Giusto. Tutto è relativo. A lei non cambia quasi nulla. E invece a me…

Di questi 4 milioni, in verità, se lei è s’accordo, pensavo destinarne centomila alla mia carissima Diana, adorabile ragazza ecuadoriana che mi dà una mano da anni. Così finirebbe la sua casa in costruzione a Guayaquil, e magari ci aprirebbe pure un negozietto e potrebbe tornare lì, dalla sua bambina. Centomila euro che a me non cambierebbero granché, a lei tutto.

Perché quei centomila euro per lei sono una nuova vita. Quei 4 milioni per me solo una nuova casa. E quei mille milioni (anzi, 996, non facciamo scherzi) per il mio lettore, quasi nulla. Insomma, valgono più quei centomila euro che mille milioni, il paradosso è questo. Ben più che il cambio di valuta, è il desiderio a dare valore a un cumulo di denaro inerte.

Che cosa può desiderare uno che ha mille milioni, se non di farli diventare duemila? E che cosa posso desiderare io, che a dirla tutta una casa comoda ce l’ho già –pagata con il mutuo-, e pure con il terrazzo, il suo bel limone e i gelsomini e i grilli, se non di raddoppiare il terrazzo e spostarmi in centro-centro?  (te l’avevo detto che è un desiderio cretino: sempre Nadia).

Penso a Diana, alla sua bambina che avrà visto giusto due volte in tanti anni e ormai sta diventando una ragazza, alla sua casa sudata mattone dopo mattone, al fatto che è sempre così sorridente. E mi sento piena di vergogna.

AMARE GLI ALTRI, tv Marzo 10, 2011

SORELLA TV

La televisione ha fatto molto per noi. Negli anni Sessanta ci ha perfino alfabetizzato. Ci andavano i migliori, una volta. quelli che avevano studiato, quelli che avevano molto da dire e da dare. Ci ha fatto conoscere i classici, il grande teatro, il grande cinema. La musica. Lo swing. L’America, con i suoi grandiosi show del sabato sera, modello d’oltreoceano. Il gioco, i quiz, la bellezza, la politica. Piazzata sulla mensola in alto, nei bar. E poi l’apparecchio a casa, preziossimo, con il centrino sopra, i vicini che non l’avevano ancora che alle nove venivano a guardarla. Sistemata via via più in basso, sempre meno totem e sempre più focolare. Il b/n, quegli stranissimi filtri di plastica che davano l’illusione del colore (tutto virato sul rosso-verde) e poi la tv color sistema Pal (ricordo male?). La tv ha accompagnato il boom, lo sviluppo del paese, lo ha promosso e raccontato.

A un certo punto, una trentina d’anni fa, le cose hanno preso una piega diversa. E’ nata la tv commerciale. La pubblicità ha cominciato a dettare direttamente programmazione e palinsesti. Il servizio pubblico ha assunto il modello. Fare soldi è diventato il challenge universale. I risultati sono quelli che vediamo.

Oggi c’è il web. La tv deve riprogrammarsi tenendone conto. Ma credo che abbia ancora molto da dare. E credo che il suo futuro abbia molto a che vedere con la riassunzione del suo antico compito pedagogico e della responsabilità nei confronti del pubblico. Il che potrà capitare solo se tutti (operatori e telespettatori) faranno la loro parte. E grande parte di questa parte (scusate il bisticcio) oggi è destruens, e sta nella capacità di dire no: non collaborerò alla realizzazione di quel programma, lotterò per quella produzione edificante, non guarderò quella robaccia e contribuirò a diminuirne l’audience. Scelte individuali che possono molto, moltissimo.

Il discorso più grande è questo: sottrarre ciascuno quello che possiamo alla misura simbolica unica dei soldi. Mostrare che possono esserci anche altre misure, non scambiabili con soldi. Una persona a me molto cara l’altro giorno mi ha detto, in modo semiserio: se il problema di tutto sono i soldi, allora aboliamoli. Abolirli del tutto non possiamo (ci provò già Pol Pot, e non andò benissimo) ma abolirli un pezzettino sì. Sottrarre a questa misura almeno parte delle nostre scelte e della nostra vita è un obiettivo praticabilissimo. Già qui e fin d’ora.

economics, esperienze Ottobre 30, 2010

IL BELLO DEL GRATIS

Tutta la notte in lotta con i peperoni: me li hanno mandati dalla campagna, la peperonata era obbligatoria. Un bizzarro semi-incubo. Io e mio marito che dobbiamo lasciare una stanza d’albergo, ma non ci riusciamo. Dimentichiamo sempre qualcosa, si rompe il trolley, i nuovi ospiti seccati fuori dalla porta… Un inferno.

La prima chiamata del mattino è una compagnia telefonica che mi propone non so che megaofferta. La seconda un oleificio che intende piazzarmi qualche bottiglia “solo per lei a un prezzo speciale”. Accidenti: grazie! Cortesemente declino, e passo alla posta. Tutte lettere d’amore: bollette, banca, pubblicità. E-mail intasata, al solito. Anche qui: inviti a presentazioni, promozioni di tutti i tipi, scarpe, mobilia, automi da cucina. Cestino tutto, saluto con deferenza l’esercito delle pr, chiudo il portatile, mi preparo a uscire. Un’infilata infernale di appuntamenti, stasera devo andare anche in tv. Con queste occhiaie peperonate.

Si fa viva nel mio cervello una tale conosciuta per caso che chiede di essere introdotta dappertutto: e mica per amore dell’umanità, o per sfuggire dalla solitudine. Anche lei ha da vendere qualcosa, lo so. Tu pensi che cerchino affetto, ma quello che gli serve è una mailing list. Mio marito mi risveglia dal sogno allungandomi una raccomandata dell’amministratore. La infilo nella borsa e scappo. Già che passo davanti alla banca faccio un bonifico. Che cosa farei, stamattina, se non dovessi lavorare? Forse un salto al mercatino. A comprare qualcosa di cui non ho bisogno. Meglio di no. In metrò tengo la borsa stretta sotto il braccio. L’ultimo portafoglio me l’hanno sfilato un paio di mesi fa.

Su cento cose che ti capitano in una giornata, almeno 99 hanno a che fare con la merce. O con i soldi, merce delle merci. Pagare qualcuno, o essere pagati. Credo che faccia molto male alla salute.

Perciò quando su Facebook un’amica che ha aperto un alberghetto a Berlino invita mio figlio e la sua ragazza per un week end (“… miei ospiti, ovviamente”), è come se il sole invadesse la stanza. La sontuosa bellezza del dono, delle relazioni libere dal denaro!

pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 30 ottobre 2010

economics Marzo 6, 2009

MERDA IN PIAZZA SCALA

E voi che che cosa fate? Quei quattro soldi (o quanti ne avete), li lasciate in banca? (della Borsa non parlo nemmeno). Ho sfogliato i giornali, stamattina, e dopo aver visto le prime pagine sull’anno terribilis e sulla stretta creditizia, e i titoli sull’azienda Italia a rischio fallimento, e poi l’opposizione che non c’è, Califano e l’8 marzo, lo stupro nel super di Lambrate, e di conseguenza dopo aver letto il titoletto di Repubblica “Merenda in Piazza Scala” come “Merda in Piazza Scala” -il cervello fa quello che può, l’inconscio fa il suo onesto lavoro, e voi sapete che tra soldi e cacca vi è una certa quale affinità-, sono tornata alla prima pagina e mi sono domandata, per tornare a bomba: che cosa si fa? quei quattro soldi li si lascia in banca? E se no, dove?