Non leggo mai la cronaca delle catastrofi: ho abbastanza immaginazione per visualizzare la paura, lo strazio, la valanga del dolore umano. Preferisco, in casi come la Sardegna, Genova, le Cinque Terre, la cronaca politica: capire, cioè, se vi siano responsabilità umane, riconducibili unicamente al profitto, in quello che è accaduto, in modo da evitare che accada ancora.

E accadrà ancora. Non si risana in pochi mesi un dissesto idrogeologico procurato in anni e anni di incuria e di speculazioni cementizie. Insieme al cambiamento climatico che ci ha regalato questa bella novità delle bombe d’acqua autunnali e sul quale a questo punto possiamo fare ben poco, la concausa delle catastrofi sono i soldi: disboscare per fare soldi, privando la terra del suo scheletro naturale e rendendola friabile; riservare il denaro pubblico a vistose grandi opere per guadagnare consenso, e quindi soldi, anziché investirlo nella cura umile e indispensabile del territorio, che non si vede e quindi non porta voti e soldi; glassare la terra di cemento, che è impermeabile e agevola lo scorrimento delle bombe d’acqua: speculazioni edilizie, sempre per fare soldi; concedere la possibilità di costruire sempre più vicino agli argini dei fiumi, per rendere quei terreni edificabili e quindi aumentarne il valore commerciale e fare soldi.

Si potrebbe continuare all’infinito, parlando di coste snaturate da porti e porticcioli, e declinando le modalità delle catastrofi annunciate sulla specificità dei territori. Ma la chiave resta quella: fare soldi, occupazione principale della politica di destra e di sinistra negli ultimi decenni.

Il collega Ferruccio Sansa, che è ligure e conosce in particolare il disastro di quella splendida e delicatissima regione dove le montagne si tuffano in mare, e a cui solo il paziente lavoro dei contadini, con i terrazzamenti e i muretti a secco, ha dato la forza di non rovinare in acqua, su “Il Fatto” di oggi parla di “3500 morti in 50 anni. Senza contare i costi: l’alluvione di Genova 2011 ha provocato oltre un miliardo di danni. Mettere in sicurezza il territorio sarebbe costato un quinto. Invece si punta sulle grandi opere: con i 10 miliardi della Mestre-Orte (destra-sinistra-Napolitano) si risanerebbero intere regioni“. 

Faccio un esempio specifico di cui mi sono occupata da vicino: quello della splendida piana di Marinella di Sarzana, ai confini tra Liguria e Toscana -una delle due sole piane della Liguria: l’altra è al capo opposto, ad Albenga-. Località già devastata negli ultimi anni dalle piene anomale del fiume Magra: bombe d’acqua, anche qui, agli estremi della Lunigiana ferita a morte, che sono riuscite addirittura a spezzare in due un ponte, ricostruito soltanto la scorsa estate. Un incredibile masterplan nel 2007 pianificava l’edificazione di un ecomostro senza precedenti: due megadarsene per oltre mille posti barca -molto redditizi- escavate nella piana, core business circondato da un luna park di alberghi, ville, villette, centri commerciali, maxi parcheggi, strutture sportive, addirittura una metropolitana leggera per raggiungere le spiagge, e via devastando (vedere qui). Il problemino da niente, che non ha mai trovato soluzione e ha stoppato l’opera faraonica, è la cosiddetta “risalita del cuneo salino”: in poche parole il rischio che il mare, invadendo le megadarsene, andasse a inquinare le falde acquifere da cui si abbeverano Massa e La Spezia, assetando due intere province.

Ora l’impresa prometeica si è rimessa in moto: firmato un protocollo d’intesa per una ripartenza a razzo tra comuni, Regione Liguria, e Marinella S.p.a., proprietaria del 66 per cento delle aree e composta da Monte dei Paschi e da una serie di coop (tutta roba “rossa” e Pd).

Gli ambientalisti della zona sono in stato di allerta permanente nell’attesa di conoscere i dettagli del progetto -“Marinella come Miami, recitava uno strillo locale- che prende le mosse da quel pazzesco masteplan, e che dovrebbero essere resi noti a dicembre. Intanto propongono in una lettera aperta una valorizzazione del territorio ispirata a criteri di salvaguardia ambientale, paesaggistica e slow.

Stiamo a vedere come va.