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roberto maroni

bambini, Politica Febbraio 17, 2016

Lombardia: se adotti niente bonus bebè

Più ancora che l’arresto (semplice routine: Lombardia ladrona) per concussione e turbativa d’asta del leghista Fabio Rizzi, braccio destro nel settore Sanità del governatore lombardo Roberto Maroni, mi offende e mi umilia la vicenda del bonus bebè che esclude i figli adottivi.

Maroni spiega goffamente che la misura sarebbe a sostegno della natalità, e non rientra nelle misure di aiuto alle famiglie (quali?). E’ evidente che Maroni non ha approfondito la questione della denatalità, per affrontare la quale il bonus bebè serve poco o niente.

Propagandisticamente però la misura è molto efficace. A corroborare una cultura per la quale ci sono i figli di serie A e quelli di serie B (specie se gli adottati non sono bianchi caucasici), a ribadire lo ius sanguinis, meglio se sang lumbard, a completare il capolavoro del nostro bel grattacielo progettato da Giò Ponti illuminato a sostegno del Family Day. Soprattutto a disincentivare ulteriormente le adozioni, che sono già drasticamente diminuite a causa dei costi e della complessità delle procedure. Ed eventualmente a vantaggio del business della fecondazione assistita: in Lombardia l’eterologa costa fino a 4 mila euro (qualche mese fa il Tar ha giudicato la misura illegittima, ora si attende il pronunciamento del Consiglio di Stato).

Quella del bonus bebè riservato solo ai nuovi nati è una misura più culturale che economica. E spalanca la forbice tra una regione avanzata, allineata o perfino superiore nei suoi standard alle medie europee, e la sua classe dirigente retriva e ideologica. Ladri a parte.

Da lombarda mi vergogno e chiedo scusa alle generose famiglie che accolgono un bambino.    

diritti, Donne e Uomini, migranti Dicembre 11, 2015

Lombardi alla prima Crociata. Contro il Niqab

Tanti anni fa, subito dopo l’11 settembre, mi sono infilata un burqa afghano di rayon blu e sono andata in giro per le strade di Milano. Per vedere di nascosto l’effetto che fa: a me, e tutti gli altri. L’effetto fu pessimo: un’esperienza terribile, non poter respirare, non riuscire a vedere, non sentirmi più io, essere presa a male parole nel mio quartiere da gente che ritenevo buona e caritatevole. Un incubo. L’unico ricordo gentile, alcune vecchie signore che mi invitarono a levarmi quel coso di dosso: “Qui sei in Italia, non può obbligarti nessuno”.

Tutto sommato ci siamo abituati: non ai burqa afghani, ma qualche niqab nelle nostre città si vede: quel velo integrale total black, una fessura che scopre gli occhi, appena più pietosa dell’accecante reticella del burqa. Io ne ho visti per strada, al supermercato. Doppia umanissima inquietudine: per il destino della donna che sta lì sotto, per la paura che oltre alla donna ci sia qualche etto di esplosivo.

La delibera del governatore della Lombardia Roberto Maroni, che vieta l’accesso a caschi e volti coperti negli ospedali e negli uffici regionali, non parla esplicitamente di velo integrale, ma dice in premessa che «le tradizioni o i costumi religiosi (…) non possono rappresentare giustificati motivi di eccezione (…) rispetto alle esigenze di sicurezza». Esiste già una legge nazionale a disporre in questo senso: la delibera Maroni ne chiede in sostanza un’applicazione più severa, cogliendo l’occasione post-parigina per fare un po’ di propaganda. Che a mio parere va a segno: la disposizione di sicuro non spiacerà alla maggioranza dei cittadini, anche se il numero dei niqab in giro è molto esiguo.

In Francia da 5 anni è in vigore la legge “interdisant la dissimulation du visage dans l’espace public”. Il divieto vale anche strada, sui mezzi pubblici, nei centri commerciali, con una multa di 30mila euro e il carcere per chi obbliga la donna a velarsi integralmente. In 5 anni le donne fermate sono state poco più di un migliaio (i musulmani in Francia sono più di 5 milioni) e vivono quasi tutte a Parigi e dintorni. La legge non è servita a impedire l’orribile strage del 13 novembre, e anzi ha risvegliato una sorta di orgoglio del niqab: ci sono donne che hanno deciso di indossarlo in segno di protesta contro il divieto, radicalizzandosi.

La delibera Maroni interferisce anche con il diritto alla salute, per quanto limitato a un numero davvero esiguo di casi: donne che, non potendo presentarsi velate in ospedale, potrebbero decidere di rinunciare alle cure tout court. Non si rischia di peggiorarne la condizione, già evidentemente penosa? Un anno fa a Padova un gruppo di profughi uomini rifiutò di essere visitato da personale sanitario femminile, e l’Asl decise di richiamare medici maschi in pensione. La resistenza a rinunciare ai propri costumi può essere davvero molto forte.

E’ davvero opportuna, questa delibera? Non c’è il rischio che i danni siano maggiori dei benefici?

 

AMARE GLI ALTRI, bambini, salute Luglio 4, 2013

Divieto di morbillo per i piccoli immigrati

Dunque: a Milano un bambino di 5 anni, figlio di immigrati irregolari (ovvero senza permesso di soggiorno), è febbricitante e pieno di bollicine. Verosimilmente una malattia esantematica. In genere è un pediatra a fare diagnosi e indicare una terapia. Ma il nostro piccoletto un pediatra non ce l’ha: per i figli di irregolari il servizio pediatrico è garantito solo fino ai 6 mesi. Dopo i 6 mesi in caso di malattia c’è solo il pronto soccorso, che oltre a non garantire la continuità di cure, necessaria in particolare per la salute di una creatura in crescita, comporta per la nostra sanità un esborso assai maggiore. Quindi anche dal punto di vista della spesa pubblica si tratta di una scelta fallimentare. La salute è un bene collettivo, e non tutelarlo costa.

Un pediatra volontario visita il piccolo, e diagnostica una varicella. La diagnosi rapida e certa di una malattia infettiva, com’è il caso delle malattie esantematiche, è il solo efficace presidio contro la diffusione dell’epidemia, che oltre ai molti disagi comporta, anch’essa, un aumento della spesa pubblica. Ma se non fosse stato per il buon cuore di quel pediatra, per il bimbo non ci sarebbe stato che il pronto soccorso.

A raccontarmi la storia esemplare è Lucia Castellano, capogruppo in Regione Lombardia per Patto Civico Ambrosoli, poche ore dopo che la Regione ha ribadito l’intenzione di non garantire cure pediatriche oltre i 6 mesi per i bimbi figli di irregolari.

C’è un accordo Stato-Regioni per garantire a tutti i bambini, compresi i figli di irregolari, continuità di cure. Ma a differenza di altre regioni, la Lombardia dell’eccellenza sanitaria non lo ha recepito.

Insieme al Pd, il Patto Civico per Ambrosoli ha presentato una mozione per aderire all’accordo, ma l’ipotesi è stata respinta all’unanimità da i rappresentanti del Pdl, della Lega, dei Fratelli d’Italia e della Lista Maroni. Tra gli argomenti, il fatto che garantire cure pediatriche ai figli di irregolari costituirebbe una “breccia” strumentale per superare la legge Bossi-Fini sull’immigrazione; che in caso di malattia, come già detto, ci sono eventualmente i Pronti Soccorsi; e che anzi i pediatri, in quanto pubblici ufficiali, sarebbero tenuti a denunciare i “clandestini” grandi e piccoli.

Anche i ciellini e tutti i cattolici di Lega e Pdl hanno votato contro.

Lucia mi prega di mettervi al corrente di questa vicenda, e io lo faccio volentieri.

 

Qui il testo della mozione, primo firmatario Umberto Ambrosoli:

 

IL CONSIGLIO REGIONALE DELLA LOMBARDIA

PREMESSO CHE
secondo i dati fomiti dall’ORIM (Osservatorio Regionale per l’integrazione e la
multietnicità) il numero dei cittadini stranieri extracomunitari che risiedono in
Lombardia è aumentato sensibilmente negli ultimi anni;
che i figli di stranieri senza permesso di soggiorno possono accedere alle strutture
sanitarie solo per prestazioni urgenti ed essenziali, come le vaccinazioni o per
patologie che, se non curate, provocano danni permanenti;
che i figli di cittadini stranieri senza permesso di soggiorno hanno diritto
all’assistenza del pediatra di famiglia solo fino ai 6 mesi di vita, il che significa che
manca la continuità delle cure e la prevenzione, determinando evidenti rischi anche
per la salute pubblica;
CONSTATATO CHE
il DPR n. 394/99, ha delegato alle regioni italiane l’organizzazione dei servizi
sanitari, ovvero la definizione dei destinatari e dei luoghi dove fornire l’assistenza
sanitaria:
“le regioni individuano le modalità più opportune per garantire le cure essenziali e
continuative, che possono essere erogate nell’ambito delle strutture della medicina
del territorio o nei presidi sanitari accreditati, strutture in forma poliambulatoriale od
ospedaliera, eventualmente in collaborazione con organismi di volontariato aventi
esperienza specifica;
CONSTATATO INOLTRE CHE
le regioni come Friuli Venezia Giulia, Umbria, Toscana, e P.A. di Trento prevedono
l’accesso dei minori irregolari anche all’assistenza pediatrica fornita dai PLS;
CONSIDERATO CHE
i figli degli stranieri senza permesso di soggiorno non hanno diritto al pediatra di
famiglia cioè alla continuità delle cure e che questo determina una limitazione del
diritto alla salute del minore che si trova chiaramente in contrasto con la
Convenzione sui diritti del fanciullo, che stabilisce che tutti i minori, senza
discriminazioni, devono avere accesso ali’ assistenza sanitaria;
CONSIDERATO INOLTRE CHE
– il Parlamento Europeo ha invitato gli Stati membri, con la Risoluzione A7-0032/2011
dell’S febbraio 2011, “ad assicurare che i gruppi più vulnerabili, compresi i migranti
sprovvisti di documenti, abbiano diritto e possano di fatto beneficiare della parità di
accesso al sistema sanitario” e “a garantire che tutte le donne in gravidanza e i
bambini, indipendentemente dal loro status, abbiano diritto alla protezione sociale
quale definita nella loro legislazione nazionale, e di fatto la ricevano”;
– che molti medici in diverse strutture, ottemperando al giuramento di Ippocrate,
prestano comunque l’assistenza in una condizione di indeterminatezza che rischia di
risultare in contrasto con le normative;
VISTO CHE
gli artt. 2 comma 2 e il 24 della Convenzione di New Y ork disciplinano la tutela del
diritto alla salute di tutti i minori non solo di quelli che hanno la cittadinanza;
l’art. 32 comma 2 della Costituzione recita: “La Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure
gratuite agli indigenti”;
INVITA IL PRESIDENTE E LA GIUNTA REGIONALE:
a riconoscere l’assistenza sanitaria di base anche per i minori non regolari tramite
l’attribuzione del Pediatra di libera scelta e l’erogazione di determinate prestazioni
sanitarie per i figli di immigrati extracomunitari senza permesso di soggiorno.

Umberto Ambrosoli

Lucia Castellano
Fabio Pizzul
Laura Barzaghi
Roberto Bruni
Carlo Borghetti
Michele Busi
Marco Carra
Paolo Micheli

Gianantonio Girelli

Sara Valmaggi

economics, giovani, lavoro, Politica Febbraio 11, 2013

#Regionelombardia: per i giovani, tutto

 

Siamo in par condicio, lo so, mi devo frenare, avrei un sacco di cose da dire, dovete tenere conto che io sto qui in Ohio, dove si gioca la partita perfetta. E ancora più decisiva di quella al Senato, quella per Regione Lombardia. Sondaggi non se ne vedono più, probabilissimo un vero testa a testa al fotofinish tra il centrosinistra di Ambrosoli, attorno al quale si stanno coagulando i salvifici consensi di parte dei centristi di Monti (forse in numero maggiore di quelli ufficialmente dichiarati) e il centrodestra di Maroni. Questi ultimi giorni di campagna sono decisivi, ogni singolo voto vale oro puro, è la piuma sul piatto della bilancia, c’è da stare all’erta perché ne vedremo di tutte e ne sentiremo di ogni.

Due scenari diversissimi: la macroregione del Nord, nel caso di vittoria di Maroni, con le sue tentazioni autonomiste e autarchiche (anche se queste medesime tentazioni in un quasi ventennio di solidissimo governo di centrodestra non hanno mai prodotto fatti decisivi); la rottura di questo blocco, nel caso di vittoria di Ambrosoli, leggibile come estensione a tutta la regione -e in progress al resto del Paese- del modello Milano a forte impronta civica.

Se la battaglia per il Senato sarà decisiva per il qui e ora della prossima legislatura, da molti osservatori intesa come a breve e di transito, quella per la Regione potrebbe delineare gli scenari politici per i decenni a venire, e dovrebbe essere guardata con attenzione da tutti, non solo dai lombardi. Il futuro del Paese si gioca qui.

Dico solo una cosa, da milanese e da lombarda, e sono sicura che tanti miei cittadini la pensano come me: sarei disposta ad altri sacrifici, a reggere il peso di tasse oggettivamente insostenibili, a rinunciare anche a molto, a congelare e a diminuire ulteriormente i consumi, se vedessi che qualcosa si muove da subito per i giovani. Parlo di lavoro, parlo di casa, parlo di istruzione, parlo di minime garanzie di cittadinanza.

Per i giovani si deve fare tutto: dal debito d’onore concesso dalle banche per gli studi o per l’avvio di un’attività lavorativa, a mutui stra-agevolati, ad affitti pubblici a canoni simbolici o poco più – le nuove generazioni sono molto mobili, poco propense a incastrarsi con una casa di proprietà-, alla concessione di spazi attualmente sfitti, parlo di negozi, magazzini e altro- per generare attività e imprese, agli incubatori di progetto, alla defiscalizzazione delle assunzioni di giovani e delle imprese giovanili, fino al reddito minimo di cittadinanza. Si prenda il modello Berlino, capitale giovanile europea, e lo si adatti alla situazione italiana. Si cominci da Milano e dalla Lombardia, perché in Italia comincia quasi tutto qui.

Non ce la faccio più a sentire, come mi è capitato sabato in un convegno bolognese, una ragazza di 27 anni dire: “Sono affaticata da tutto, anche la politica delle donne è faticosa. Non è che non vedo il futuro, io non vedo nemmeno il presente. Se penso al futuro vedo solo i nostri corpi sfatti dalla fatica di vivere così. Non ho tutta questa fiducia nelle istituzioni, ma due o tre cose si potrebbero fare: migliorare il trasporto pubblico… un sostegno alla maternità… Siamo sempre più stanche“.

Intendo questo: fare per i giovani significa fare per tutti, ridare fiducia e vitalità a tutti. Si deve cominciare di lì.

Politica Ottobre 17, 2012

Regione Lombardia: fattore Maroni

Se votassi il centrodestra -e non nascondiamoci: non lo voto- sarei entusiasta della candidatura di Bobo Maroni alla presidenza di Regione Lombardia. Avrebbero già dovuto candidarlo come sindaco per non perdere Milano: l’avevo suggerito, a suo tempo, ai miei pochi buoni amici di quella parte politica.

Maroni ha le carte in regola se non per vincere, impresa piuttosto disperata, quanto meno per minimizzare il prezzo che il suo schieramento dovrà pagare. Caduto sulla ‘ndrangheta, il centrodestra potrebbe almeno in parte rialzarsi affidandosi a un ex-ministro degli Interni che nella lotta alla criminalità organizzata ha ottenuto qualche risultato. E che saprebbe riaccendere l’orgoglio della Lega, bestia ferita ma ancora vigorosa (conosco la mia terra e la mia gente). Insomma, non l’en plein, ma un argine sicuro contro la disfatta.

Più debole la candidatura dell’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, stimato dai moderati, un po’ troppo milanese per infiammare la riscossa. Ma anche lui non da sottovalutare.

A quanto pare il centrodestra sta valutando di organizzare primarie di coalizione (Maroni dice sì, certo di vincere). Ragione in più per non evitare quelle del centrosinistra: io sarei per un primarie day il 25 novembre, politiche e regionali in un colpo solo. Non credo che convenga saltare questo passaggio: i lombardi -noi lombardi- hanno molta voglia di scegliersi il presidente.

Vediamo i nomi che girano: Umberto Ambrosoli, avvocato penalista e giovane uomo degnissimo, riservato figlio dell’eroe borghese Giorgio Ambrosoli, più anti-Formigoni di lui non sembrerebbe esserci. Ma lui oppone -il che lo rende ulteriormente degno- la sua inesperienza della macchina amministrativa e del sistema Lombardia: già rifiutò la candidatura a sindaco. Non sembrerebbero schermaglie. Vedremo. Bruno Tabacci: candidatura debolissima. Già un trentennio fa vicepresidente di Regione Lombardia e oggi assessore al Bilancio nella giunta Pisapia, Tabacci è percepito come “vecchia politica”. Difficile che possa interpretare il grande desiderio di rinnovamento. Alessandra Kustermann: fantastica medica, primaria alla clinica Mangiagalli, esperta del sistema sanitario, grande e antico lavoro a fianco delle donne, in particolare sul tema della violenza. Potrebbe catalizzare l’attenzione dell’elettorato femminile. Anche lei, come Ambrosoli, favorita dalla provenienza dalla cosiddetta “società civile”, ma penalizzata da una notorietà prevalentemente cittadina, e il tempo per farsi conoscere è poco. Un buon piazzamento in eventuali primarie la indicherebbe come possibile -e auspicabile- assessora alla Sanità, posizione chiave in Lombardia. Maurizio Martina, segretario del Pd lombardo: una candidatura troppo interna e di “apparato”. Fuori dal Pd, Martina è poco conosciuto, e il “fuori Pd” oggi elettoralmente pesa molto. E infine -almeno a oggi- il consigliere regionale Pippo Civati, coetaneo di Ambrosoli, percepito dall’opinione pubblica come “rottamatore buono”, un pezzo di strada condivisa con Renzi prima di un definitivo divorzio, capace di muoversi con disinvoltura sul territorio mediatico virtuale -è piuttosto noto alla platea televisiva nazionale-, ma anche suole consumate in un intensissimo lavoro sul territorio reale: la Lombardia, e non solo quella, la conosce palmo a palmo. E i lombardi conoscono lui. Praticamente come Maroni.

Mi pare che la scelta vada fatta anche in funzione del competitor che ci si troverà davanti. 

Io la mia l’avrei fatta. Sperando che mi sia consentito esprimerla.

 

Politica Giugno 20, 2011

Tiren innanz

Potrebbe essere l’ultima volta di Bossi a Pontida, di sicuro. Non perché gli si auguri un male ingiusto -Dio protegga il vecchio guerriero!-ma perché se per stavolta il popolo leghista, che c’è e risponde vigorosamente all’appello, butta giù il boccone amaro della sfilza di promesse a breve e a medio termine, mettendo le briglie all’insofferenza, fingendo di credere che quello che non è avvenuto in anni capiterà in mesi, dando un po’ di tempo al capo perché trovi l’uscita navigando a vista, consolandosi con il sogno di Bobo Maroni premier, una prossima volta non ci sarà.

Tiren innanz, sapendo bene come lo sappiamo tutti, leghisti e non leghisti, che non ci sarà nessuna riforma costituzionale con dimezzamento dei parlamentari e Senato federale, garantita addirittura per il 3 luglio, che non ci sarà nessun ministero che fa gli scatoloni per spostarsi nella Villa Reale di Monza, il presidente Napolitano ha già tagliato corto-. E che le spese mostruose e inaccettabili della politica non saranno tagliate entro il 19 luglio, che il consiglio dei ministri -dove: a Roma o a Monza?- non darà il via libera alla riforma fiscale entro il 21 settembre, e così via.

Quello che forse ci sarà per la fine dell’estate sarà una Lega un po’ più pronta a tirare le somme che oggi non può ancora permettersi di tirare e a separare il suo destino da quello del premier Berlusconi senza farsi troppo male. E ci sarà un Paese ancora più malmesso.

A proposito: voi lettori del nord conoscete per caso qualcuno, leghista o non leghista, che vorrebbe quei tre ministeri al Nord? Perché io non ne ho mai incontrato uno…

Politica Ottobre 4, 2010

CONSULENZE (O DEL TAFAZZISMO)

roberto maroni con giulio tremonti

Nel suo discorso di ieri al Pdl, Silvio Berlusconi non ha “incoronato” Letizia Moratti. Il che suggerisce ciò che è evidente: la candidatura della sindaca in carica, in grave crisi di credibilità, è oggetto di aspra discussione nello schieramento di centrodestra. Verosimilmente la Lega ha ufficialmente aperto la questione.

Un paio di giorni fa, polemizzando con il ministro degli Interni Roberto Maroni a proposito della vicenda dei Rom, il vicepresidente del Pd lombardo Filippo Penati ha asserito: «Se Maroni vuole comandare Milano si candidi a fare il sindaco al posto della Moratti».

Meraviglioso. Dagli pure delle idee.

AMARE GLI ALTRI, TEMPI MODERNI Settembre 28, 2010

ROM IN CENTRO

Percepisco una diffusa insofferenza sulla questione dei Rom. Non nei confronti dei Rom, voglio dire, quanto del fatto che la vicenda dei Rom stia diventando centrale nel dibattito politico, e usata strumentalmente per sistemare conti politici interni: vedi Maroni versus Moratti. La Lega  detesta Moratti, anzi Brichetto -ed è in ottima compagnia-. Sono cominciate anche all’interno della coalizione, chiamiamola così, di centrodestra le manovre in vista dell’elezione del sindaco di Milano.

Ma qui vorrei parlare d’altro, non del centrodestra. Chiedervi se la questione dei Rom voi la sentite come decisiva o tutto sommato secondaria. Sento tanta gente dire: esistiamo anche noi, cittadini qualunque; la politica si dovrebbe occupare di noi, prima di tutto. Che cosa ve ne pare? E’ il caso di seguire e partecipare a questo dibattito? Si tratta davvero di una questione politicamente rilevante, o invece tutto sommato è marginale?