Come dicevamo ieri, in esclusiva per Io donna Added Value ha sondato gli umori e le opinioni di italiane e italiani sul tema della rappresentanza femminile, intervistando un campione rappresentativo di 1000 cittadine/i. Rivelando a sorpresa un Paese prontissimo alla svolta “naturale” rappresentata da un massiccio ingresso delle donne nelle istituzioni rappresentative, determinato a sostenere una “massa critica” femminile che possa cambiare tempi, modi e agende della politica.
Un Paese ben più pronto della sua classe politica, che invece resiste strenuamente al “turn over”: 50/50, appunto: questa è la strada indicata dalla maggioranza degli intervistati, uomini e donne, sul modello di alcune nuove giunte. Oltre a quella di Giuliano Pisapia, la giunta Zedda a Cagliari (dove siamo addirittura a 6 donne su 10) e la giunta Fassino a Torino, appena sotto il 50. Non quote, quindi, ma una proporzione “naturale” che indica l’auspicio di un doppio sguardo sul bene comune, e il desiderio che la differenza femminile si eserciti a beneficio di tutti anche nei luoghi della politica.
Raccoglie invece pochi consensi l’idea di percentuali inferiori, il 30 o il 40, intese come riserve dedicate a una “minoranza” che poi minoranza non è affatto.
Gli italiani, uomini compresi, si fidano a tal punto delle donne che sarebbero anche entusiasticamente pronti alla “super-alternativa” costituita da una premier.
Ma vediamo il sondaggio nel dettaglio.
I gravi problemi del nostro Paese non dipenderanno anche dal fatto che nelle stanze dei bottoni ci sono poche donne? E’ così per la maggioranza degli intervistati: “abbastanza” (43 per cento) o addirittura “molto” (14 per cento). Solo il 9 per cento ritiene che non vi sia relazione tra le due circostanze.
Le donne saprebbero governare come gli uomini secondo il 61 per cento del campione, o addirittura meglio (29 per cento: percentuale che sale al 43 tra le intervistate).
Che cosa ostacola, allora, la rappresentanza femminile? Il maschilismo dei partiti secondo il 42 per cento, mentre il 30 per cento segnala il peso degli impegni familiari sulle donne. Ma incidono anche la sfiducia nella politica (15 per cento) e il disinteresse al potere (11 per cento).
Che le donne non abbiano accesso alla politica è un vero guaio, perché tutti, maschi e femmine, sono convinti che saprebbero portarvi attenzione alle problematiche familiari (76 per cento), un maggiore di responsabilità (68 per cento), un legame più forte con la vita reale (65 per cento). E ancora: impegno e determinazione, uno sguardo diverso sul mondo, concretezza, minore propensione al rischio, affidabilità e onestà.
Vale per donne di centrodestra quanto per quelle di centrosinistra: solo il 30 per cento ritiene che vi siano significative differenze, mentre quasi 9 intervistati su 10, evidentemente stanchi di risse e contrapposizioni frontali, pensano che almeno su alcuni temi le elette dovrebbero collaborare trasversalmente, come qualche volta è già capitato.
E veniamo al 50/50: alla domanda “lei sarebbe favorevole o contrario all’applicazione di questo principio all’interno degli organismi politici e istituzionali, elettivi e no?”, quasi 8 italiani su dieci (percentuale che sale a 9 tra le intervistate), si dichiara d’accordo. Lo straordinario consenso si alza ulteriormente fra gli under 35.
50/50 è la proporzione giusta, esattamente quella della vita, mentre solo 18 intervistati su cento preferirebbero “quote” del 30 o del 40.
Ampia e generale approvazione anche per un’azione positiva già in atto, quella che introduce il 30 per cento di donne nei board delle società quotate in borsa: norma bipartisan approvata di recente e che piace al 76 per cento degli intervistati. Giusto un po’ meno agli uomini, che comunque si esprimono largamente a favore (67 per cento): un ulteriore segno di fiducia nella competenza femminile.
Ma se si votasse oggi, e se una nuova legge elettorale consentisse di esprimere la propria preferenza anche alle elezioni politiche, quanti voterebbero donna?
Quasi la metà del campione (47 per cento: percentuale che sale ben al 67 per cento tra le donne). Mentre solo il 18 per cento dichiara che sceglierebbe un uomo, contro un cospicuo 35 per cento che al momento non sa. Pronti a indicare un nome femminile soprattutto i/le più giovani.
Ma il dato più significativo è che quasi 7 cittadine su 10 oggi risponderebbero positivamente a una campagna “vota donna”. In passato non ha funzionato come si sperava: ma l’impegno politico delle donne, testimoniato anche dalle piazze del 13 febbraio, oggi probabilmente si esprimerebbe anche nelle urne. Ragione in più per buttare a mare il tremendo Porcellum e per restituire alle elettrici e agli elettori il diritto, usurpato dai partiti, a scegliere da chi vogliono essere rappresentati.
E da chi? Da donne dei partiti o della società civile? Meglio professioniste della politica o outsider? Le elettrici si dividono equamente (45 e 43 per cento), mentre gli uomini si sentono meglio garantiti dalle già-politiche. Preferibilmente quaranta-cinquantenni: è questa l’età, quella della maturità e dell’esperienza -non quella del sex-appeal- ritenuta più giusta da 7 intervistati su 10. Che in percentuale ancora più alta (83 per cento, 93 tra le donne) vedrebbero con favore, e finalmente, una premier: alternativa chiara, apprezzata soprattutto dai giovani adulti. Nel caso, chi? Qui si registra un certo smarrimento.
Ben 7 su 10 non indicano nessuna, come se non sapessero molto delle nostre politiche, o fossero in attesa di un volto nuovo. Qualche rara indicazione solo per Anna Finocchiaro del Pd (8 per cento), per la radicale Emma Bonino e per la presidente del Pd Rosy Bindi, (entrambe 5 per cento), inseguite dalla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, dalla Ministra per le Pari Opportunità Mara Carfagna e da Daniela Santanché del Pdl (tutte al 2 per cento). Anna Finocchiaro, seguita da Bindi e Bonino, risulta anche in assoluto la politica più ammirata (dal 15 per cento), prima di Rosy Bindi ed Emma Bonino alla pari (8 per cento).
Italiane e italiani sembrano percepire meglio il protagonismo politico delle “straniere”: la premier tedesca Angela Merkel (40 per cento), la Segretaria di Stato americana Hillary Clinton (31 per cento) e la leader birmana Aung San Suu Kyi (12): forse, fra tutte, la portatrice di una più forte “differenza”.
Alla giornalista Ritanna Armeni e alla sua collega parlamentare Fli Flavia Perina abbiamo chiesto di commentare i i risultati del sondaggio
Ritanna Armeni Mi pare che dal sondaggio emerga una forte spinta neo-emancipazionista. Come a dire: sappiamo che la differenza femminile esiste, ora vogliamo finalmente vederla in azione. La cosa interessante è che 7 uomini su 10, una netta maggioranza, si dichiarano favorevoli a una premier donna e al 50/50. Un entusiasmo sostanzialmente pari a quello femminile. E’ una cosa che colpisce molto. Significa che le capacità e le competenze femminili non sono più in discussione, che il Paese è davvero cambiato nel profondo. Sono solo gli uomini della politica a non voler cambiare. La casta è in assoluta difensiva. Si difendono posti, logiche, linguaggio, e un massiccio ingresso delle donne costituirebbe una formidabile minaccia. C’è anche un’incultura che impedisce di leggere la realtà e i cambiamenti già avvenuti e registrati dalla società. L’altra cosa che noto è l’apprezzamento per la saggezza e l’autorevolezza femminile: quelle che gli intervistati, uomini e donne, vorrebbero in politica sono le quaranta-cinquantenni, nel pieno della maturità. Di Anna Finocchiaro, che raccoglie il maggior numero di consensi, sono apprezzate la compostezza e quel tratto di autorità che si sposa a una bellezza sobria, con i capelli grigi. Un antimodello rispetto a quelli correnti. Insomma: il tema della rappresentanza femminile è all’ordine del giorno, è la vera leva del cambiamento, e non può più essere eluso. Il sondaggio lo evidenzia con percentuali molto alte, che non lasciano dubbi.
Flavia Perina Mi ha molto colpito la laconicità delle risposte alla domanda sulle donne politiche nazionali: ben il 61 per cento dichiara di non averne in mente una in particolare. Come se non conoscessero la nostra rappresentanza femminile. Eppure donne come Rosy Bindi, Mara Carfagna e Daniela Santanché godono di una notevole visibilità. Ma è come se non se ne percepisse il profilo politico, come se si pensasse che sono poco incisive, scarsamente rilevanti. Che contano poco, insomma. C’è una notevole discrasia tra il fatto che l’83 per cento degli intervistati si dice favorevole a un premier donna, evidentemente percepita come l’alternativa assoluta all’attuale premiership, e l’incapacità di darle un volto. Io credo che a fronte di una domanda così forte di protagonismo politico femminile i partiti sbaglino a non investire sulle donne. E poi: alla domanda se si preferirebbe votare una donna già in politica o una rappresentante della società civile, vince di misura la politica. Parlando di uomini, forse la risposta non sarebbe stata la stessa. Insomma, è come se le donne politiche fossero percepite come fuori dalla casta, immuni dal contagio, e di loro ci si potesse ancora fidare. E infine, altro dato interessante: tra le donne di centrodestra e di centrosinistra non vengono percepite differenze sostanziali. Evidentemente l’appartenere all’uno o all’altro degli schieramenti è ritenuto secondario rispetto all’essere donne, e alla possibilità di trovare un’intesa su temi e priorità.