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ambiente, economics, Politica Novembre 20, 2013

Bombe d’acqua e montagne di soldi

 

Non leggo mai la cronaca delle catastrofi: ho abbastanza immaginazione per visualizzare la paura, lo strazio, la valanga del dolore umano. Preferisco, in casi come la Sardegna, Genova, le Cinque Terre, la cronaca politica: capire, cioè, se vi siano responsabilità umane, riconducibili unicamente al profitto, in quello che è accaduto, in modo da evitare che accada ancora.

E accadrà ancora. Non si risana in pochi mesi un dissesto idrogeologico procurato in anni e anni di incuria e di speculazioni cementizie. Insieme al cambiamento climatico che ci ha regalato questa bella novità delle bombe d’acqua autunnali e sul quale a questo punto possiamo fare ben poco, la concausa delle catastrofi sono i soldi: disboscare per fare soldi, privando la terra del suo scheletro naturale e rendendola friabile; riservare il denaro pubblico a vistose grandi opere per guadagnare consenso, e quindi soldi, anziché investirlo nella cura umile e indispensabile del territorio, che non si vede e quindi non porta voti e soldi; glassare la terra di cemento, che è impermeabile e agevola lo scorrimento delle bombe d’acqua: speculazioni edilizie, sempre per fare soldi; concedere la possibilità di costruire sempre più vicino agli argini dei fiumi, per rendere quei terreni edificabili e quindi aumentarne il valore commerciale e fare soldi.

Si potrebbe continuare all’infinito, parlando di coste snaturate da porti e porticcioli, e declinando le modalità delle catastrofi annunciate sulla specificità dei territori. Ma la chiave resta quella: fare soldi, occupazione principale della politica di destra e di sinistra negli ultimi decenni.

Il collega Ferruccio Sansa, che è ligure e conosce in particolare il disastro di quella splendida e delicatissima regione dove le montagne si tuffano in mare, e a cui solo il paziente lavoro dei contadini, con i terrazzamenti e i muretti a secco, ha dato la forza di non rovinare in acqua, su “Il Fatto” di oggi parla di “3500 morti in 50 anni. Senza contare i costi: l’alluvione di Genova 2011 ha provocato oltre un miliardo di danni. Mettere in sicurezza il territorio sarebbe costato un quinto. Invece si punta sulle grandi opere: con i 10 miliardi della Mestre-Orte (destra-sinistra-Napolitano) si risanerebbero intere regioni“. 

Faccio un esempio specifico di cui mi sono occupata da vicino: quello della splendida piana di Marinella di Sarzana, ai confini tra Liguria e Toscana -una delle due sole piane della Liguria: l’altra è al capo opposto, ad Albenga-. Località già devastata negli ultimi anni dalle piene anomale del fiume Magra: bombe d’acqua, anche qui, agli estremi della Lunigiana ferita a morte, che sono riuscite addirittura a spezzare in due un ponte, ricostruito soltanto la scorsa estate. Un incredibile masterplan nel 2007 pianificava l’edificazione di un ecomostro senza precedenti: due megadarsene per oltre mille posti barca -molto redditizi- escavate nella piana, core business circondato da un luna park di alberghi, ville, villette, centri commerciali, maxi parcheggi, strutture sportive, addirittura una metropolitana leggera per raggiungere le spiagge, e via devastando (vedere qui). Il problemino da niente, che non ha mai trovato soluzione e ha stoppato l’opera faraonica, è la cosiddetta “risalita del cuneo salino”: in poche parole il rischio che il mare, invadendo le megadarsene, andasse a inquinare le falde acquifere da cui si abbeverano Massa e La Spezia, assetando due intere province.

Ora l’impresa prometeica si è rimessa in moto: firmato un protocollo d’intesa per una ripartenza a razzo tra comuni, Regione Liguria, e Marinella S.p.a., proprietaria del 66 per cento delle aree e composta da Monte dei Paschi e da una serie di coop (tutta roba “rossa” e Pd).

Gli ambientalisti della zona sono in stato di allerta permanente nell’attesa di conoscere i dettagli del progetto -“Marinella come Miami, recitava uno strillo locale- che prende le mosse da quel pazzesco masteplan, e che dovrebbero essere resi noti a dicembre. Intanto propongono in una lettera aperta una valorizzazione del territorio ispirata a criteri di salvaguardia ambientale, paesaggistica e slow.

Stiamo a vedere come va.

Politica Ottobre 28, 2011

Liguria: le responsabilità della politica (rossa)

bocca di magra, il ponte della colombiera crollato

Il 6 luglio scorso, in un post intitolato “Un presidente competente“, parlavo nomina del presidente dell’ente Parco Montemarcello Magra, uno degli epicentri della catastrofe ligure, da lungo tempo soggetto a smottamenti e frane. Terrorizzati dalla prospettiva della solita nomina politica, gli eroici ambientalisti della zona indicavano come il nome del professor Piero Donati, nato e cresciuto in quei luoghi, storico dell’arte ed ex funzionario della Sovrintendenza ai Beni Storico Artistici della Liguria di Levante, da sempre in prima fila nella difesa e nella valorizzazione di questo territorio bellissimo e difficile, benché non in quota ad alcun partito.

Facevano bene a preoccuparsi: come al solito, il nome uscito dalla concertazione tra i politici locali è stato quello di Francesco Pisani, secondo le associazioni ambientaliste “una delle scelte più sbagliate che si potessero operare… nel suo iter Amministrativo come Sindaco di Ameglia prima, e poi come Presidente di Ameglia Servizi, e tuttora come Assessore all’Urbanistica dello stesso Comune, ha dato prova di essere soggetto dalla scarsissima sensibilità ambientale”. Ma evidentemente a Pisani andava trovata una collocazione. Chi campa di politica pretende di continuare a camparci ad libitum.

Regione, provincia e buona parte dei comuni dello spezzino sono governati da giunte rosse. In particolare da un Pd dall’identità cementizia e speculatrice, che in quel meraviglioso territorio oggi devastato progetta di costruire una megadarsena artificiale da mille posti barca circondata da migliaia di metri cubi di villette a schiera, alberghi e via dicendo, uno degli ecomostri più ecomostri che si possano immaginare (progetto Marinella: vedi http://blog.leiweb.it/marinaterragni/2009/07/18/la-rivoluzione-del-buon-senso/). Così il fiume Magra avrà più barche da trascinare alla deriva, alla prossima piena. Sono anni che strilllo, e non smetterò di strillare.

La nomina dei presidenti dei Parchi tocca al Governatore Claudio Burlando. La terribile lezione di questi giorni porti consiglio. In quei posti ci vuole gente competente e innamorata dell’ambiente, esperta di dissesto idrogeologico, malattia gravissima del nostro territorio, e capace di individuare soluzioni efficaci in una situazione in cui le risorse pubbliche scarseggiano.

Chi pretende di vivere di (cattiva) politica potrebbe anche considerare l’ipotesi di andare a lavorare, come facciamo tutti. E il Pd ligure farebbe bene a intraprendere una seria riflessione.

 

 


Politica Luglio 18, 2009

LA RIVOLUZIONE DEL BUON SENSO

“Ci vorrebbe un po’ di buon senso”: si dice in questo modo per intendere che basterebbe il minimo. Che per fare andare bene le cose non servono grandi astrazioni o troppi studi, ma ci si può accontentare di quel fondamentale e infallibile sapere umano, alla portata di tutti.
A questo buon senso vorrei dare una certa importanza. Applicare il buon senso significa capire in che direzione si muovono le cose, assecondare questo movimento e accettare i propri limiti.
Se, per esempio –ed è una cosa su cui ogni tanto torno, perché mi sta a cuore- ci troviamo all’estuario di un bel fiume che forma una magnifica piana accanto al mare, sito ancora risparmiato dalla speculazione edilizia e dal turismo selvaggio, e ci viene in mente che potremmo farci un gran bel business escavando per milioni di metri cubi e facendo allagare la piana dal mare in modo da ricavarci 800 o 1000 nuovi richiestissimi posti barca, circondati da decine di migliaia di metri quadri di cemento tra alberghi, negozi, villette a schiera; se fantasticando su questo faraonico progetto ci imbattessimo però nel fastidioso inconveniente che in questo modo scasseremmo tutto il delicato equilibrio idrogeologico del luogo, minacciando le risorse idriche di un paio di province, e intasando di natanti quel bel tratto di fiume e di mare come un’autostrada nel week end; se ci rendessimo conto che andremmo a edificare la madre di tutti gli ecomostri… Be’ basterebbe un po’ di buon senso, non servono studi ingegneristici, masterplan e mobilitazioni di cervelli. L’idea la butteremmo nel cestino.
L’ecomostro in questione è un progetto Unieco (coop rosse di Reggio Emilia), che a suo dire “impronta i propri comportamenti a criteri di responsabilità, sia dal punto di vista sociale, sia etico, sia ambientale”, da realizzarsi nella piana di Marinella, alla foce del Magra, con tanto di appoggio entusiasta delle giunte rosse di Sarzana e di Ameglia, i due comuni coinvolti, e delle organizzazioni sindacali. Dal che si può dedurre che forse anche per rifondare il Pd non servono congressi, dibattiti, brain storming, palingenesi o svolte carismatiche. Che forse basterebbe solo un po’ di semplice, umanissimo (se permettete, femminilissimo) buon senso.

(pubblicato su Io donna- Corriere della Sera  il 18 luglio 2009)