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Politica Febbraio 8, 2016

Fine del modello Milano: #tuttacolpadiPisapia. O quasi

Milano, ieri sera all’Elfo Puccini: il vincitore delle primarie Beppe Sala. A fianco, il suo grande elettore Piero Bassetti e Paolo Limonta. Sullo sfondo il sindaco uscente Giuliano Pisapia e la candidata sconfitta Francesca Balzani

 

Il sindaco in scadenza Pisapia è visibilmente mesto, un sorriso stampato e tirato che di tanto in tanto cede a una maschera livida tipo Padre Pio. #TuttacolpadiPisapia stavolta è vero. Se non tutta quasi, e tutti lo pensano. All’Elfo Puccini, la Bastiglia della Rivoluzione arancione (se non vi ricordate quei giorni leggete qui) la resa è rovinosa. Dal momento dell’annuncio della sua non-ricandidatura, ormai quasi un anno fa, Pisapia non ne ha fatta una giusta: un libro inopportuno per bruciare il suo ex-supercompetitor Stefano Boeri e Pierfrancesco Majorino, la caparbia convinzione di poter decidere il successore, un’andatura da Sor Tentenna che ha logorato la fiducia dei suoi adoratori, il cedimento su Beppe Sala, il lancio –in ritardo- di Balzani, due umilianti viaggi a Roma da Matteo Renzi, e poi “sarò arbitro imparziale” e invece no, in extremis, “sto con la mia vicesindaca”. Un disastro.

L’errore più grave è stato scappare dal secondo mandato. “E dire” giura un super-renziano nel foyer “che Matteo sperava davvero in una sua ricandidatura. L’avrebbe sostenuto. Il rischio a Milano era troppo grande. Preferiva non correrlo. Ma non c’è stato verso”. Pisapia non sarà più sindaco, ma non sarà neanche il leader politico che progettava di essere. Solo tiepidi applausi, qualche fischio e qualche “buu” quando pronuncia il suo discorsetto retorico, ai limiti dell’afasia, per onorare il vincitore delle primarie Beppe Sala. Un’uscita ingloriosa.

La sala dell’Elfo Puccini si riempie solo intorno alle 22.30, quando lo spoglio conferma gli exit poll. Prima di quel momento solo un centinaio di fedelissimi, prevalentemente balzaniani e majoriniani. Clima da funeral house. Il morto è il modello Milano. Un sottofondo di musica funky e groove rende tutto più surreale. Sembra una convention di rappresentanti di spazzole.

La prima ad arrivare è Francesca Balzani, elegantemente sorridente (34 per cento). Si mangerebbe Majorino con patate ma non lo dà a vedere. Il carattere freddo e controllato aiuta. A ruota Majo (23 per cento) accolto dalla ola dei supporter. Raggiante e baldanzoso come se avesse vinto lui (ma forse qualcosa l’ha vinto uguale). Ultimo, il vincitore vero, Beppe Sala. Non proprio trionfatore, ma comunque vincitore. Altre due settimane di campagna l’avrebbero sfibrato: partito con un 60 per cento di consensi, si è dovuto accontentare del 42, mentre Balzani cresceva a vista d’occhio.

Jeans, camicia bianca e giacchetta kaki, la faccia ancora segnata da una ragionevole preoccupazione, Sala si arrampica sul palco accompagnato da un incongruo “Heroes”, un po’ tantino per un ragiunatt. Giura che non deluderà Milano, ringrazia Pisapia (niente applausi), parla di squadra e di politica “dal basso” (mamma che noia). Nessun trionfalismo, l’italiano scabro e un po’ incerto da uomo dei conti. La soddisfazione di essere andato bene in periferia: sarà anche il più destro dei candidati, ma forse è anche l’unico, da ex-manager Pirelli, ad aver visto le tute blu. Balzani giura fedeltà. Majorino giura fedeltà. Perché “la battaglia vera comincia adesso” etc etc. E ciao.

Non giurano fedeltà i loro sostenitori, quelli che per tutta la campagna hanno detto “però poi se vince Sala poi sto a casa”. Sel prende una bella botta e si ritira per l’ennesimo seminario di terapia e pallottole. Con Sala, con Passera sempre più destro, con Parisi o chi per lui come candidato del centrodestra vero, la voglia di stare a casa (o andare al mare o, a scelta, in uno slancio dadaista, di votare la sciura Bedori detta Misery) è più che giustificata.

A Milano #thedayafter niente arcobaleni, né singoli né doppi, un grigio londinese. Era tutto scritto, la parentesi arancione stava per chiudersi, ma tanti sembrano pugili suonati. Tutti a lavorare, è lunedì. I morti sono già bell’e sepolti. Ma un certo terrore ligure serpeggia. Che cosa fa Sel? E se si candida Civati? Capiterà qualcosa a sinistra? E’ giorno di riunioni politiche, più o meno carbonare. Milano ha retto agli austriaci e ai sabaudi. Qualche problema potrebbe crearlo anche al Partito Nazione.

Majorino ha ragione: la battaglia vera comincia adesso. Forse non solo nel senso che intende lui.

 

 

leadershit, Politica Dicembre 2, 2015

Elezioni amministrative: basta con l’uomo solo al comando. Fateci vedere la squadra

Linus, direttore di Radio Dj, è un tipo molto capace nel suo lavoro oltre che parecchio simpatico. A qualcuno del Pd milanese è venuta l’idea balzana di chiedergli di candidarsi alle primarie per la scelta del candidato sindaco. Non si sa bene a chi: di fronte al suo garbato rifiuto (“non sono all’altezza… la politica mi fa abbastanza impressione“) e alle ironie della rete, oggi tutti nascondono la mano. Un agnello sacrificale della società civile sarebbe molto utile per non dare l’idea che queste primarie sono primarie solo del Pd -e non del centrosinistra- e che Beppe Sala, commissario e ad di Expo, nei fatti non ha veri competitor. Un po’ di cortina fumogena. Peccato, anche stavolta non è andata.

C’è un fatto: tolto il caso di Beppe Sala, candidato unico del partito unico per la città unica etc etc, tutti gli schieramenti fanno una gran fatica a indicare nomi di possibili candidati/e. La bizzarra operazione Linus si spiega anche così. A Milano vive un sacco di gente, e nel sacco c’è anche tanta gente capace e competente. Eppure nomi non ne saltano fuori.

La politica delle donne mi ha insegnato a interrogare gli ostacoli anziché cercare di dribblarli, e a scrutare anche nei vuoti e i silenzi: quando persistono, è perché lì c’è qualcosa di significativo e anche di buono da capire. In questo caso, nella fatica di trovare “il nome”, il buono è che degli uomini soli al comando -e anche delle donne, quelle poche volte che capita- probabilmente ci fidiamo sempre meno. Tu eleggi uno (o una) che poi mette insieme la squadra in base a criteri spesso imperscutabili -un po’ di Cencelli, le spinte e controspinte dei grandi elettori, le simpatie della moglie, metti una sera a cena quattro chiacchiere tra amici-, con qualche rischio per le effettive competenze e quindi per il funzionamento dell’amministrazione.

La squadra, invece, quella che prenderà decisioni non irrilevanti per le nostre vite, quella che deciderà come gestire tutti i soldi che scuciamo come contribuenti e così via, ecco, forse sarebbe il caso di conoscerla prima. O quanto meno, lasciando qualche inevitabile margine di manovra per le alleanze al ballottaggio, sarebbe utile conoscere lo “squadrone” rappresentativo di un progetto e di un’idea di città dal quale il sindaco/a, primus/a inter pares, pescherà il suo team (con tutti gli altri comunque ingaggiati nell’impresa).

Ecco perché mi ritrovo perfettamente nell’impostazione suggerita da Francesco Rutelli, ex-sindaco di Roma: basta con l’uomo solo al comando,l’abbiamo già visto per carità. È giusto che il sindaco sia la guida, il direttore d’orchestra. Quella che è fallita è la solitudine del comando. Ed è per questo che a mio avviso che prima di andare a scegliere i candidati, o assieme a questa scelta, a Roma e nelle altre città si dovrà andare verso l’identificazione di progetti, ma anche e soprattutto di squadre di governo, di personalità, di competenze, perché la solitudine ha dimostrato di avere fallito“.

Se posso dire, una logica più femminile che maschile.

economics, Politica Ottobre 28, 2015

Expo è un grande successo, Expo è un grande successo, Expo è un grande successo (ad libitum). Su, dillo anche tu!

Albero della Vita 1

Expo è un enorme successo: qualunque sia il punto di partenza, di qui devi passare. Dal riconoscimento che Expo è stato un grandioso successo.

Anche nella Carta dei valori delle primarie del centrosinistra si menziona “il successo di Expo 2015 con la grande partecipazione popolare ai suoi eventi”. Se vuoi candidarti il boccone lo devi mandare giù.

Con 18 milioni di visitatori l’Expo di Hannover fu definita “flop del millennio”, e il sito oggi è una città fantasma totalmente abbandonata. Ma con 20 milioni di biglietti–forse- l’Expo di Milano è un enorme successo. I contribuenti hanno in collo un debito di 160 milioni per acquistare le aree –valore reale, una ventina-, 72 milioni per la bonifica –ne erano stati preventivati 6-. I 200 mila posti di lavoro annunciati non si sono visti. In compenso in tv passano gli spot governativi in cui i volontari ringraziano per la fortuna di aver lavorato gratis e ripetono a più voci il mantra del successo di Expo.

8 milioni e mezzo per lo spettacolo monstre del canadese Cirque du Soleil, compagnia in via di liquidazione, giusto con qualche flebile lamento da parte dei teatranti italiani: Milano sarebbe la città della Scala e del Piccolo, l’Italia il Paese dell’opera lirica e della Commedia dell’Arte. Roberto Bolle, per il quale la gente si strappa i capelli a Londra e a New York, si era offerto di ballare in Duomo, ma nessuno lo ha chiamato. L’investimento è stato pessimo: siamo ben lontani anche dal semplice pareggio. Diciamo un mezzo flop. Eppure Expo è stato un magnifico successo: guarda quanti tedeschi e giapponesi in bermuda in piazza Duomo. La Milano da bere 2.0.

I contenuti politici sono stati sostanzialmente irrilevanti. Secondo Caritas Internazionale anche nella Carta di Milano, unico documento prodotto, “non si sente la voce dei poveri del mondo, né di quelli del Nord né di quelli che vivono nel Sud del pianeta”.  Ciò non toglie che Expo è stato un fantastico successo.

Albero della Vita 2

Coraggio, dillo anche tu: Expo è stato un grande successo, e il mago di Rho(z), Giuseppe Sala, il suo miglior interprete, manager perfetto per la città-holding.

Premessa al fatto che anche il post-Expo, principale punto di programma per Milano, dovrà essere un enorme successo.

Bene. Lo speriamo tutti. Qua gufi non ce ne sono.

Ma un successo per chi? Per affaristi e mattonari che parteciperanno alla speculazione edilizia del millennio, la grande festa per lo spostamento dell’Università Statale nell’ex-sito Expo (e di Istituto dei Tumori, Besta e annessi e connessi, nell’ex-area Falck di Sesto San Giovanni, nell’edificanda Città della Salute) liberando a vantaggio del partito trasversale del cemento un intero grande quartiere, quello di Città Studi con le sue villette liberty, magari ci lasceranno giusto l’obitorio, in memory of?

O successo per i cittadini, dei 99 contro l’uno, che chiederanno conto di come i loro soldi sono stati investiti, e in quelle aree vorranno qualcosa che serve veramente alla città, che la fa crescere non solo in cubature, che migliora la qualità della vita di tutti?

Qual è il vero Albero della Vita?

E’ intorno al dopo-Expo che si gioca la partita del Sindaco di Milano. E’ principalmente su questo si dovranno misurare le proposte in campo.

 

Politica Ottobre 25, 2015

Il sindaco di Milano non potrà non dirsi renziano

A Milano volano gli stracci (tra l’ex vicesindaca Ada Lucia De Cesaris e il candidato Pd alle primarie Pierfrancesco Majorino, accusato di usare il proprio ruolo istituzionale per farsi campagna elettorale) e si gira a vuoto alla vana ricerca di un candidato civico che si sacrifichi per non far sembrare le eventuali imminenti primarie quello che effettivamente sono: primarie del Pd, e non del centrosinistra. Oltretutto con candidati deboli e inadeguati a sostenere la sfida con il centrodestra.

Primarie ben diverse da quelle “risorgimentali” del 2010. Quindi molto poco attrattive per il centrosinistra (figuriamoci per la città nel suo complesso, che del dibattito sulle primarie se ne sta sbattendo allegramente).

Una cosa molto pericolosa e deprimente, il cui esito potrebbe essere quello di consegnare la città al centrodestra.

Lo stato di salute della coalizione è pessimo.

I civici di sinistra divisi e delusi: la promessa di partecipazione è stata tradita.

Prc si è già chiamata fuori.

Sel continua a cambiare idea sull’eventuale candidatura di Giuseppe Sala, commissario di Expo: dal “parliamone” al “no” nel giro di una settimana.

Pippo Civati, fondatore di Possibile, ha parlato senza mezzi termini di fine del modello Milano. E il sindaco Pisapia lo ha ricambiato con un sostanziale “tu non esisti”.

E’ il Pd a tenere saldamente il mazzo, dettando modi e tempi, lo sguardo puntato sul business miliardario palazzinaro del dopo Expo, vero punto programmatico: il nuovo sindaco di Milano non potrà non dirsi renziano.

Non che a Milano manchino possibili ottimi candidati civici, come Ferruccio De Bortoli, molto inviso a Renzi –che l’ha già bocciato come presidente Rai- per le sue ferme prese di posizione. Perfino piddini renziani come Stefano Boeri sostengono che “non ci sono le condizioni” per candidarsi.

Le condizioni in atto sono che il Pd di Renzi, com’è nel suo stile consolidato, intende designare il sindaco di Milano, o più precisamente gestire il business della città-holding Milano. Preferibilmente senza primarie o, nel caso non se ne potesse fare a meno, gestendole in modo consono. Se non sarà Sala, potrebbe anche andare il ministro Martina.

Tutto qui. Il Pd renziano è il vero responsabile della rottura del modello Milano, con tutto ciò che ne conseguirà. Il vero tema è che un centrosinistra con dentro il Pd non è più immaginabile.

Se c’è una speranza per questo modello virtuoso, pur con tutti i suoi limiti, è fuori da queste primarie-trappola, in uno scatto di libero orgoglio creativo. Al momento nessuna traccia.

P.S: una differenza notevole, rispetto al 2010, è che allora i candidati -oltre a non essere tutti del Pd come stavolta- erano rinomati professioni sti che rischiavano anche il reddito -in alcuni casi notevole- per amore della città e della politica. Stavolta invece sono tutti del Pd e tutti politici professionisti in cerca di conferma.

pubblicità Ottobre 10, 2015

Pisapia-Freccia Rossa: l’orgoglio ferito di Milano

“Fonti romane” dicono che ieri, in una giornata piuttosto complessa per Roma, il sindaco di Milano Giuliano Pisapia è andato a Palazzo Chigi per un colloquio con Matteo Renzi. C’è un simbolico che ha un notevole peso politico: se a Renzi interessa tanto la partita milanese sarebbe stato lui a dover prendere una  Freccia o un aereo pubblico o privato e a farsi un giro a Palazzo Marino (o anche no).

Un gesto ben poco civico e pisapiano che offende la città: è vero che Renzi si gioca la pelle nella partita amministrativa milanese congiuntamente a quella romana. Ma questo è un problema di Renzi, non di Milano e del suo sindaco.

Non mi sentirei più di escludere che Pisapia faccia marcia indietro e decida di ricandidarsi. E comunque, che si tratti di lui, di Sala o di chissà chi, che il giocattolo delle primarie, che come dicevamo qualche giorno fa si è rotto, venga ficcato in un baule in soffitta tra le cose inutili (agli attuali candidati un ovvio premio di consolazione). Ma in tutto questo ci sarebbe comunque un Renzi di troppo, il premier che nessuno ha mai eletto, la creatura delle primarie che rinnega le proprie origini. Passato lui, il portone viene richiuso a dieci mandate.

L’incartamento è tale che viene istintivo guardare altrove, nello spazio aperto di una città libera che trovi un proprio sindaco o una propria sindaca ben lontano da questi tavoli o tavolini dove siedono giocatori-incasinatori, che tra i “valori” a cui i candidati dovrebbero aderire infilano in modo very casual un incomprensibile riconoscimento del “successo di Expo” (in realtà, il punto programmatico cardine del programma).

Milanesi! Respirare! Aria! Aria, fantasia, e orgoglio!

Politica Ottobre 7, 2015

Primarie Milano: il giocattolo si è rotto?

Il sindaco dimissionario Giuliano Pisapia

Milano: il giocattolo primarie è sul punto di rompersi. E la coalizione di centrosinistra garantita da Pisapia nei fatti non c’è più.

L’idea che gira è quella di una coalizione civica e di sinistra alternativa al Pd e che non partecipi alle primarie. Perché non faremo la loro foglia di fico” si è detto per esempio ieri sera in un’assemblea cittadina di Prc. “Il Pd non è più un partito di sinistra. Né si capisce perché tra i valori a cui ubbidire per partecipare alle primarie dovrebbe esserci il riconoscimento del successo di Expo”.

In effetti le primarie del 2011, che portarono alla trionfale elezione di Giuliano Pisapia, sembrano appartenere a un’altra era geologica: umori risorgimentali, antiberlusconiani e anitimorattiani, grande voglia di voltare pagina, partecipazione, appassionanti candidature civiche.

Stavolta è tutt’altra storia. I candidati sono tutti politici di professione e tutti del Pd. Il candidato-a “foglia di fico” per ora non si trova. Al momento le primarie restano una faccenda interna alla politica politicante. Addetti ai lavori e militanti a parte, la città è distratta e per nulla appassionata. Ma su questo fronte, a sinistra come a destra, non sembra intenzionata a tornare indietro e spera in un sindaco-a supercivico-a, preferibilmente legato al mondo del lavoro e delle professioni -la vera politica, forse anche la vera religione di Milano- e che non si sia formato nelle stanze dei partiti. O quanto meno un politico eretico, in grado di sparigliare.

D’altro canto i potenziali supercivici di cui si sente dire non sembrano minimamente intenzionati a sottoporsi al giogo delle primarie, che non riconoscono come il proprio campo di gioco, preferendo un libero Fuori Primarie.

A queste primarie, insomma, non sembra credere più nessuno. Matteo Renzi per primo, consapevole del fatto che al tavolo di Milano si gioca una partita nazionale, che riguarda anche il suo destino politico. Ma l’unica mossa che gli è consentita a quel tavolo è calare il suo asso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Politica Settembre 21, 2015

Milano: le primarie degli Innamorati

Apprendiamo che le primarie per il candidato sindaco a Milano si terranno il 14 febbraio, San Valentino. Battutone a parte sulle primarie degli innamorati eccetera, qualcosina a riguardo si può dire.

1. al momento le primarie del centrosinistra sono primarie del Pd: i tre candidati allo scoperto, Fiano, Majorino e Caputo, sono tutti del Pd. Ha ragione il sindaco Pisapia a premere per almeno un candidato civico (o una civica) che sparigli, ma l’agnus dei si fatica a trovarlo. I candidati civici ancora sotto traccia non hanno nessuna voglia di spargere il proprio sangue per il Pd e di partecipare alle primarie. L’avevo già detto: il Fuori Primarie potrebbe essere molto interessante.

2. Il segretario metropolitano Pd Bussolati oggi sul Corriere minaccia neanche troppo velatamente:Chi pensa di costruire alternative a sinistra marcando le differenze ha una prospettiva minoritaria che verrà sconfitta dai milanesi”. Sente odore di Fuori Primarie pure lui.

3. A sinistra-sinistra il caos è totale: una parte vorrebbe sostenere il Pd Majorino ma il rischio è che se poi passassero Fiano o Sala, in base alle regole delle primarie si ritroverebbe impegnata -orrore- su un candidato renziano. Un’altra parte di primarie non vuole nemmeno sentire parlare.

4. Comunque il Pd le primarie non le vorrebbe fare, e spera sempre in un candidato che metta d’accordo tutti. Il rischio che dalle primarie esca un candidato sindaco debole, facilmente sbranabile da una destra arrembante, è molto alto. Del Debbio dice no ma scalda i motori, ed è un candidato molto temibile: volto televisivo, gioviale, moderato, capace di comunicare.

5. La situazione oggi è completamente diversa da quella del 2011: lì fu un moto risorgimentale per liberarsi di Letizia Moratti, e con lei di Berlusconi. Oggi non c’è niente del genere. Di più: la promessa di partecipazione è stata profondamente delusa, e le periferie abbandonate sono l’epicentro di un possibile sisma.

6. Un candidato civico-civico oggi avrebbe grandi chance. Un nome mi ronza per la mente

(to be continued)

Aggiornamento ore 20.00: forse anche per evitare battutone, la data è stata anticipata al 7 febbraio.

 

Politica Agosto 24, 2015

Milano: Fuori-Salone, Fuori-Expo e Fuori-Primarie

Tutti dicono che la parte più interessante del milanesissimo Salone del Mobile (bel nome da Fiera anni Sessanta) è il Fuori-Salone: eventi, performance, creatività in zona Savona-Tortona, Lambrate e così via.

Anche il Fuori-Expo avrebbe dovuto fare da controcanto creativo a Expo, ma non abbiamo visto quasi niente: peccato.

Più interessante potrebbe configurarsi il Fuori-Primarie (del centrosinistra per individuare il candidato sindaco).

Situazione: nessuno si assume la responsabilità di dire che le primarie non si faranno -come peraltro non si faranno nel centrodestra- ma serpeggia il terrore che possa vincerle un candidato debole, con scarse chance di fare fronte alla proposta del centrodestra, pronto al tutto per tutto pur di riprendersi Milano.

Per ora i candidati sono tre: Pierfrancesco Majorino, Emanuele Fiano, Roberto Caputo. Gli altri eventuali si muovono sottotraccia, e forse ci resteranno definitivamente. Per Matteo Renzi consegnare Milano al centrodestra (come è successo a Venezia) costituirebbe una debacle insanabile, il principio di una valanga: tutto fa pensare che dal cappello del premier, in accordo con il resto del centrosinistra, alla fine uscirà un notevole coniglio.

Ma sarà dura convincere i milanesi che è stato meglio evitare le primarie, e il coniglio potrebbe finire impallinato. Anche perché in questo caso si costituirebbe un interessante Fuori-Primarie, dove si muoverebbero candidati non di poco conto, aureolati del carisma dei “resistenti” al Candidato Unico. Fuori-Primarie che peraltro, come dice la parola stessa, potrebbe costituire uno spazio libero anche nel caso in cui le primarie si tenessero. 

L’eccitante partita nelle prossime settimane. Vedremo se mi sono sbagliata.

italia, Politica, Senza categoria Marzo 16, 2015

Venezia, effetto Casson: vince il candidato non renziano. E ora vediamo Milano

Felice Casson, candidato sindaco per il centrosinistra a Venezia

Molto molto bella la stravittoria di Felice Casson (55.6 per cento dei consensi) alle primarie del centrosinistra per il sindaco di Venezia, staccando nettamente gli altri due candidati. Persona schiva, ai limiti della timidezza, ma di straordinaria fermezza morale, Casson NON era sostenuto dalla gran parte del Partito Democratico veneziano. Il che non ha impedito questo grande risultato, in una città scioccata e umiliata dal tradimento dell’ex-sindaco Orsoni.

Perché poi c’è il voto, è la morale della favola: e quando dalla rappresentazione mediatica, dai talk show, dai trionfalismi bonapartistici si passa al libero voto, le sorprese possono essere davvero grandi. E quando, come nel caso dell’elezione dei sindaci, si può esprimere una chiara preferenza per un candidato e le stanze dei partiti devono ingoiare, capitano cose come questa: ecco perché le preferenze piacciono poco a chi governa.

Intanto tra poco sapremo se Giuliano Pisapia lascerà o si candiderà per il secondo mandato come sindaco di Milano. Molti chiaroscuri nella sua gestione, che sintetizzerei così: una retorica della partecipazione, con i consigli comunali su megascreen come le partite, che ha ceduto rapidamente il passo a una propensione dirigistica; bene il piano del traffico, benissimo la tenuta sui diritti civili, Pisapia è sempre stato stra-garantista; male le periferie, sostanzialmente abbandonate, in una visione un po’ provinciale, borghese e “centrostoricistica” della città. Difetto di visione: sguardo puntato solo su Expo, evento che non sta scaldando i milanesi, e già incagliato nel subito-dopo Expo. Ancora non è chiaro che cosa sarà di quel sito.

Se Giuliano Pisapia non dovesse ricandidarsi per le amministrative del 2016, i rischi per il centrosinistra sarebbero piuttosto elevati: il centrodestra giocherà la sua partita alla grande perché sa molto bene che da Milano -da sempre oggetto misterioso per la politica romana: ignorare o maneggiare con cautela- parte quasi tutto: senza la battaglia del 2011 per il cambio di giunta oggi probabilmente non ci sarebbe un governo Pd. Proprio per questa ragione Matteo Renzi sarebbe fortemente tentato dalla proposta di un candidato-unico destrorso-pigliatutto, scelta che però avrebbe per lui non poche controindicazioni, aprendo spazi a una sinistra che sappia intercettare le sofferenze di una città che non ama esibire i patimenti ma cionondimeno li prova. Con possibili effetti a sorpresa: vedi Casson, quando il Pd vince grazie ai non-renziani.

Partita interessante, insomma, e serio banco di prova per il renzismo, che su Venezia dovrebbe riflettere attentamente: sul tema Renzi, destra e sinistra e Terza società in sofferenza, consiglio caldamente la lucida analisi di Luca Ricolfi (significativamente, non la pubblica Il Fatto Quotidiano, ma il giornale di Confindustria, Il Sole 24 ore). Buona lettura.

 

 

Politica Gennaio 22, 2014

Preferire le preferenze?

Ovvio che per i segretari di tutti i partiti le liste bloccate -ovvero niente preferenze– siano a dire poco una gran comodità. Meno ovvio che oggi molti eletti delle minoranze dei partiti, gente che finché è stata in maggioranza per le preferenze non ha mai manifestato alcuna passione, adesso le spasimino e siano pronti a dare battaglia: sanno bene di non poter godere del sostegno delle segreterie, e che se hanno una chance di rientrare è per quella strada.

Contrariamente a quanto si potrebbe credere l’espressione di preferenze non è affatto un dispositivo universale: nel mondo non sono molti i sistemi elettorali che la prevedono. Ma va anche detto che nel nostro Paese si esprimono preferenze sia alle elezioni amministrative sia alle europee: solo alle politiche, con il Porcellum, e ora con l’approvando Italicum, le liste sono bloccate.

Vero che lo strumento delle preferenze è molto ambiguo, impone ai candidati campagne elettorali costose e fratricide, tagliando fuori chi non se le può permettere -vale in particolare per le donne, in genere meno danarose degli uomini- o chi rifiuta di “investire” grandi somme di denaro lasciando intendere di contare su un ottimo rendimento futuro. E favorisce invece chi è ricco, o chi è sostenuto da lobby, gruppi di potere, clientele o perfino da organizzazioni criminali a cui una volta eletto dovrà rispondere. Ma è vero anche che una larga fetta dell’opinione pubblica intende oggi la possibilità di esprimere preferenze come una restituzione obbligatoria, indispensabile per una ripresa di dialogo con la politica “traditrice”, e come presidio contro il rischio che i nominati si ritrovino a rendere conto esclusivamente ai loro “benefattori”.

Il segretario del Pd Matteo Renzi dà la colpa a Silvio Berlusconi e al suo categorico “niet” sulle preferenze, e si impegna a garantire almeno per la sua parte politica il correttivo delle primarie (alcuni propongono di renderle obbligatorie per legge e per tutti i partiti). Non si può tuttavia sostenere che il risultato delle primarie, già sperimentate alle ultime politiche, sia stato entusiasmante, avendo favorito cordatine, padroncini di tessere e signorotti locali ai danni di possibili candidature civiche. Premiando quindi la fedeltà al partito ai danni del merito, con il risultato di selezionare una classe politica largamente incompetente, salvo onorevoli eccezioni.

Le questioni da considerare, quindi, sono parecchie. Non ultime le perplessità espresse da vari giuristi e costituzionalisti sul fatto che liste bloccate, ancorché brevi -5 o 6 candidature- interpretino lo spirito della sentenza recentemente espressa dalla Corte Costituzionale, e siano al riparo da eventuali nuovi ricorsi.

Fatta la somma di tutto questo, come la vedete?

Comunque votiate: siete per le preferenze? vi “basterebbero” primarie? o la questione non vi pare rilevante?

Se l’Italicum passasse così com’è, con liste bloccate, l’indizione o meno di primarie  sarebbe per voi un fattore decisivo per la scelta del partito da sostenere?