Browsing Tag

potere

Donne e Uomini, esperienze, Politica Dicembre 1, 2010

MISTERO DOLOROSO

Indagando con la precisione di un’entomologa su un mistero doloroso, ovvero sul perché, quando si tratta di potere o di politica, gli uomini non vogliono donne a dar fastidio, specie se autonome, specie se competenti, specie se meritevoli, al massimo qualche cooptata, anche a sinistra (vedi Marianna Madia), mi pare di essere arrivata a questa conclusione provvisoria:

dal loro punto di vista

o le donne le dominano (e quindi le cooptano, per le strade più varie: sesso, parentele o altro) e cercano di fare loro paura

o se ne sentono dominati, come da una madre onnipotente, e ne hanno paura

Una postura affiancata e simmetrica non è contemplata.

O stanno sopra

o stanno sotto

l’amicizia e la collaborazione tra differenti non riescono a concepirla (ce la fanno meglio i gay, vedi Nichi).

La cosa deve radicarsi nel rapporto con la madre, in quell’inermità sperimentata nelle sue mani.

La paura è il sentimento fondativo. Ce la fanno pagare.

Tranne onorevolissime eccezioni, s’intende. Talmente eccezioni che non riescono a spostare nulla.

Donne e Uomini, esperienze, Politica Novembre 28, 2010

SE TUTTE LE DONNE

Leggo l’editoriale dell’ottimo Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale: “Se tutte le donne andassero a scuola, se tutte le donne si laureassero, se tutte le donne smettessero di guardare programmi televisivi dove le donne sono svilite… se non comprassero più i prodotti che fanno pubblicità usando il corpo delle donne… se votassero solo le donne... Se tutte le donne si organizzassero. Se tutte le donne facessero sentire la loro voce. Se tutte le donne sapessero il potere che hanno“.

Se tutte le donne, aggiungo io, si convincessero che il momento è adesso, quello che ho chiamato qui sotto fase ricostituente, intesa come ripartenza corroborante ed empowering, tenendo bene a mente, come numi tutelari, come angeli custodi, come sorelle, come madri, le 21 pioniere costituenti. E per fase ricostituente voglio significare soprattutto -altro che terzo polo!- completare la nostra democrazia a partire dall’assunzione del doppio sguardo, maschile e femminile. Il vero bipolarismo! Che è ora di fare la politica, e di farla a modo nostro. O meglio ancora, di prendere la politica che già facciamo e di portarla a governare il paese…

Alle amiche che passano di qui io domando questo: voi percepite in voi e nelle altre questo desiderio, già formato o in embrione?

Seconda domanda: se questo desiderio si sta effettivamente muovendo, che cosa ne fate? dove lo portate? quali sono i luoghi giusti per praticarlo? quali uomini scegliete come interlocutori?

Do a questo post molta importanza. Forse quello della costruzione di un patto.

Scrivete, commentate, condividete, fate girare.

Donne e Uomini, Politica Giugno 16, 2010

LA SCOMPARSA DELLE NONNE (E IL POTERE)

nonnapaperaracconta

Certo: mica si poteva andare avanti così, con questa cosa barbara e pelosa delle donne che andavano in pensione a 60 anni perché oltre al lavoro fuori casa avevano tutto il resto da sbrigare, e da noi welfare non ce n’è. Finalmente pari. Ora anche le donne –a cominciare dal settore pubblico- andranno in pensione a 65 anni, sempre con tutto il resto da fare e il welfare che non c’è. Forse prima o poi ci sarà, ma il Fondo “strategico” per le donne resta per l’appunto solo strategico.
La scomparsa delle nonne (e la crocifissione delle mamme). Visto che nei nidi entra un bambino su 8, una quota enorme di lavoro d’amore, mai preso in considerazione dai conti economici, che sparirà dal mercato come d’incanto, nel tempo di uno scalone. Speriamo nelle bisnonne, sempre che ci sia qualcuna a prendersi cura della loro salute.
Questa è una legge che “fa chiagnere”, per dirla con Filumena. Civile, moderna, equa. E’ il resto che non gira. Ma i nostri uomini sono straordinariamente devoti alla Madonna Equilibrista, Madre della Conciliazione. Certi che saprà sempre trovare la quadra. E’ che ci amano e ci stimano troppo, vedete? Sono mediterranei.

Che le italiane vivano in questa bizzarra situazione, che abbiano questa mania della polvere, che lavorino più di tutte le altre donne del West, che consentano ai loro uomini questo infantilismo irriducibile e mediorientale, e di non muovere un dito in casa, oltre che agli assessori di fare i galli con le impiegate, ai premier di fischiare alle crocerossine, ai media di metterle in mutande, ai luoghi di decisione di escluderle, all’Europa non importa un accidente. Fatti nostri.
Qualcuno venga ancora a dirmi che le donne sono una risorsa per il Paese, che se lavorassero di più il Pil aumenterebbe, che la loro differenza è un plus, che con cda più femminili le perfomance delle aziende migliorano, e io imbraccio il kalashnikov. In Rwanda l’hanno capito, qui non c’è verso. E’ che ci amano troppo. Ci adorano. Non sarebbe meglio che potessimo decidere qualcosa anche noi, che ci amiamo molto di meno?

Contemplando il nostro mistero doloroso, un paio di cose si possono dire. La prima veramente dovrebbero dirla i maschi, ragionando non in teoria ma a partire da sé. Per parlarci anzitutto del loro patologico attaccamento al potere, della loro incapacità di vivere senza questo esoscheletro. Di come facciano a non provare vergogna nel tagliare metodicamente fuori le donne per decidere tutto da soli: recito ogni mattina il Salmo deprecatorio per la giunta lombarda, 19 a 1. Della loro infantile e caparbia incapacità di fare un passo indietro, di ascoltare la parola femminile e di accettarne l’autorità senza sentirsene diminuiti: se ce l’ha fatta Socrate con Diotima, e più recentemente Papa Ratzinger (sarà perché è tedesco?), quando dice che le donne devono poter accedere “a posti di responsabilità per ispirare la politica delle nazioni… promuovendo soluzioni innovative ai problemi economici e sociali”, forse ce la possono fare tutti. Ce la fanno un po’ di più i giovani, a quanto pare: la strana coppia alla “Cougar Town”, ragazzo con signora, è solo l’epifenomeno sexy di una santa alleanza contro la prepotenza escludente dei vecchi maschi.

Ma qualcosa andrebbe detto e fatto anche dalle donne. In questi giorni a Milano c’è una supermobilitazione di cervelli femminili intorno al “caso” Paolo Massari, assessore accusato di molestie. Vere eccellenze del mondo della cultura e delle professioni, in città per fortuna ne abbiamo tante, che si agitano per un tale che come si dice qui avrebbe fatto un po’ “il ganassa” con qualche signorina, e che mia nonna avrebbe saputo come sistemare. E progettano addirittura un “Manifesto contro il gallismo”. Gesù. Poi il megaconvegno delle Pari o Dispare, gran parterre convocato a dibattere su “Donne nei media e in pubblicità: per una diversa immagine delle donne in Italia” (un’altra volta!).
Non sarebbe meglio che applicassero lo sguardo a orizzonti più grandi, con obiettivi a misura della loro competenza? Perché investire tante energie preziose per un avvilente minimo sindacale che ci porta indietro? Volendo, ci sarebbe un sindaco da fare. Un welfare da inventare. L’economia da sistemare. Il mondo da ribaltare. Perché tanta automoderazione, e nessuna vera riflessione sul potere?

La parola potere non è mai piaciuta alle donne, in particolare a quelle di sinistra. Ci hanno sempre visto qualcosa di osceno, di violento, di alienante, di sporco. C’è sempre stato bisogno di qualche foglia di fico per riuscire a parlarne: non è il potere, che si vorrebbe, ma il “poter fare”, il “potere per”… Per l’altro, in breve, in nome di quella capacità di relazione che è al centro del “genio femminile”, come lo chiamava Giovanni Paolo II (sarà perché era polacco?).
D’accordo, allora anziché di “potere” si parli di “governo”. Della possibilità di partecipare alle decisioni. Devi esserci, perché troppo spesso quello che viene deciso senza te è anche deciso contro di te. Per esempio, il fatto che sulla famiglia si continui a non investire.
Forse parlando di governo sarebbe più tutto semplice. Non è una questione solo nominalistica. Nella parola governo l’altro è incluso, risuona la vita, la responsabilità, il servizio, quell’affaccendarsi –il ri-governare– di cui le donne hanno così grande esperienza. Si intravede un modo di condurre le cose, un segno di autorità con cui le donne hanno più dimestichezza.
Ma qualunque nome le dai, oggi la cosa è questa, non il gallismo, non le chiappe nude, e non può più essere elusa. Si tratta di capire a fondo e in tutti i modi –con l’autocoscienza, l’analisi, il self help- che cosa ci trattiene sulla soglia, complici piagnone dei buttafuori. Si tratta di individuare i modelli per esserci come vogliamo esserci. Via tutte queste insopportabili balle della parità, della conciliazione, degli orari, del gender balance, tutte ipocrite invenzioni maschili, roba che non è mai servita e adesso meno che mai.
E se la democrazia non basta, si inventerà qualcosa d’altro.

pubbicato su Il Foglio il 15 giugno 2010

Donne e Uomini, economics, Politica Maggio 30, 2010

L’IMBROGLIO DELLA RAPPRESENTANZA

voto-jpg

Reduce da una piccola ma infelice esperienza con un’elezione di non primaria importanza, qualche pensiero sul tema della rappresentanza.

La rappresentanza è svuotata di significato, in quanto i rappresentanti al 99 per cento rappresentano sé medesimi come singoli e la categoria dei rappresentanti nel loro insieme. La grande parte delle energie e delle risorse sono impiegate per regolare i conti tra rappresentanti, mentre i rappresentati, i cittadini, le loro necessità, le loro vite, sono solo un fastidio con cui di tanto in tanto dover accettare fare i conti.
La difficoltà sta nel saper convivere con questo fatto senza frustrazioni, svuotando ed erodendo progressivamente di politicità i luoghi della rappresentanza. Si tratta di un processo probabilmente fatale, ma certamente troppo lento.
Per esempio: mi fa un’enorme rabbia assistere allo spreco costante delle risorse di tutti, non soltanto ai ladrocini delle svariate cricche -ce n’è ormai dappertutto- ma alla non-economicità delle scelte che vengono intraprese e alla miopia di certi investimenti. Come tutte le donne sono oculata e risparmiatrice, vado in sofferenza per i soldi buttati, per le occasioni mancate, anche in quei rari casi in cui non c’è imbroglio. So che questo sentimento è molto diffuso nel mio sesso.
Mi viene spesso in mente una scena di Schindler’s List, quando lui alla fine, spogliandosi di quel poco che gli è rimasto, un anello, una penna d’oro, dice piangendo: “Con questo ne avrei salvati altri quattro… Con quest’altro ne avrei salvati cinque…” (vado a memoria). Ecco, mi capita tante volte di ritrovarmi a ragionare così: con queste risorse buttate avremmo potuto fare questo, con queste altre quest’altra cosa, così importante per tutti.
Ora ci toccheranno altre lacrime e altro sangue, a quanto pare: daremo ancora più soldi ai nostri rappresentanti, sotto le più svariate forme. E sono certa che tutti parteciperemmo volentieri al sacrificio se sapessimo da che parte si va, come capita nelle nostre case e nelle nstre famiglie quando si dice per esempio: quest’anno niente vacanze di Natale, perché dobbiamo cambiare la vecchia cucina, una rinuncia economica, ovvero la rinuncia a un agio in cambio di un agio più grande. Ecco, questo non lo vediamo mai, e ci sentiamo ridotti all’impotenza. Scoprire cricche e cricchette al lavoro è solo vedere la punta di un gigantesco iceberg di ruberie, avidità, arroganze ed egoismi individuali. Questo ci fa soffrire molto, e fa soffrire, ripeto, soprattutto noi donne, condannate per via del sesso di cui siamo nate a non poter mai prendere decisioni secondo il nostro buon senso, secondo logiche di non-azzardo e oculatezza, a doverci piegare a logiche che si sono ampiamente dimostrate perdenti anche nei rari casi in cui veniamo incluse tra i decisori.

Non sono vecchia, ma neanche una ragazzina, ho l’età giusta per poter governare, ma ho sempre più paura di dovermene andare di qui senza avere visto come sarebbe questo mondo se le donne potessero farlo a modo loro. Mi viene in mente un uomo illuminato come Sanjit “Bunker” Roy, fondatore dell’Università degli scalzi del Rajastan, quando ha raccontato di insegnare la tecnologia solare alle mamme e alle nonne dei villaggi africani, che tornate a casa mettono subito in pratica il loro sapere per il bene di tutti. “Se la insegnassimo agli uomini” dice “andrebbero subito a rivendersela in città”.

Forse la sola possibilità è che le donne stringano un patto con uomini illuminati come lui, e anche con molti giovani uomini, capaci di riconoscere l’autorità femminile senza sentirsene diminuiti. Quell’autorità, quella competenza e quel merito che al contatto con i meccanismi della rappresentanza si dissolvono come neve al sole, e non contano più nulla, vengono sopraffatti da logiche di scambio, alleanze perverse, mostruosità pseudo-politiche che rispondono unicamente a logiche di autoconservazione. Per esempio, nella piccola elezione che vi dicevo, e il cui ballottaggio è ancora in corso, una lista “di sinistra” che per vincere si allea con una corrente dichiaratamente “di destra”, nonché familistica in senso letterale-gestita da un’intera famiglia- pur di tenersi i suoi poveri seggiolini. “Con queste logiche imperanti” dice giustamente un mio amico “se alle elezioni politiche si presentasse anche Gesù Cristo verrebbe fatto fuori”.

Su questo voglio riflettere. Su questo tema vorrei che stessimo a lungo per tirare fuori qualcosa di buono.

Politica Maggio 29, 2010

MILANO MUTANTE

mtougg-1

Stavolta mi tocca parlare di Milano. Mi scusino lettrici e lettori “foresti”, e del resto le cose politiche che capitano qui, nel bene e nel male, finiscono in genere per colare giù lungo lo stivale.
Da tempo qui si sente fibrillare qualcosa che va oltre l’incazzatura e il lamento. E quando questo qualcosa arriva a prendere forma (esempio, il Manifesto per Milano che avete recentemente letto sul “Corriere”, gruppi Facebook come Partecipami, iniziative in compresenza o online, discussioni su eventuali liste civiche, ecc.), quello che si rivela è immancabilmente un cambio di pelle, una mutazione genetica. La visione di una polis che si amministra a prescindere dai partiti, mediatori politici ormai ampiamente demitizzati, intesi come una pesante e inutile zavorra al piede di una città determinata a camminare e a crescere.
L’idea di rinunciare alla forma-partito si è già espressa storicamente in svariati tentativi, in verità quasi sempre finiti male: i Verdi,
anzitutto, che la resa al modello preconfezionato l’hanno pagata con la vita. L’idea era buona, gli uomini meno. L’esperimento dei 40xVenezia, social forum sulla città, attivissima rete civica in relazione complessa con partiti e istituzioni (collegatevi, se volete saperne di più), segna un ulteriore passo evolutivo.
A Milano ci si potrebbe spingere all’anello successivo, investendo direttamente energie e aspettative politiche su associazioni, su luoghi del fare e del pensare, a scapito di quei gusci vuoti che amministrano e distribuiscono potere. Districando la politica dal potere, per quello che si può.
Ora mi darete della femminista, e del resto se questa rubrica si chiama Maschilefemminile una ragione ci sarà. Ma a corollario aggiungerei questo: che l’idea di fare a meno dei partiti suona meno sconvolgente per le donne che per gli uomini, visto che i partiti non li hanno inventati loro. Più difficilmente le donne pongono le questioni in termini di schieramenti. E come si sa ad abitare i partiti non sono loro, da sempre più propense ai luoghi del pensare e del fare di cui sopra. “Mutanti” naturali, che dovrebbero stare alla testa del cambiamento spasimato.
Diversamente, sarà solo l’ennesimo minuetto dei nostri seducenti gattopardi.

pubblicato su Io donna – Corriere della Sera il 29 maggio 2010

Donne e Uomini, WOMENOMICS Gennaio 31, 2010

QUESTIONE MASCHILE

uomini-donne-coppie-rapporti-rutgers-university

Boston Globe, editoriale a firma Alex Beam (un uomo, a scanso di equivoci). Beam snocciola i numeri che descrivono la radicale femminilizzazione degli States, onda in arrivo anche da noi.
Il lavoro è delle donne: il sorpasso è avvenuto, ci sono più lavoratrici che lavoratori. E i settori di occupazione che promettono una crescita maggiore, secondo le proiezioni degli economisti, sono proprio quelli in cui le donne sono più forti. La rete è delle donne: 2 anchorwomen per un anchorman. Il pubblico della tv è più femminile che maschile. Le donne comprano più quotidiani, più libri, divorano cultura e sono politicamente più attive: per l’elezione di Barack Obama il voto femminile è stato determinante. Più che di recession sarebbe corretto parlare di he-cession, o di man-cession: il sesso più colpito dalla crisi è stato quello maschile. Secondo il Bureau of Labor Statistics, sono gli uomini a correre il maggior rischio (+ 30 per cento) di restare disoccupati.
Le stanze dei bottoni per ora restano surrealmente for men only, ma anche lì il vento della rivoluzione fa sbattere porte e finestre. Siamo finalmente e brutalmente al nodo del potere, nudo e crudo. Potendolo fare -–fecondazione assistita con predeterminazione del sesso- scelgono femmine 2 coppie americane su 3: il negativo della Cina. Ma anche qui presto cambieranno idea. Il secondo sesso fa carriera e diventa il primo.
L’enormità del cambiamento non trova adeguata rappresentazione: nei media, ancora ampiamente in mani maschili, ma anche nelle coscienze femminili, che restano sintonizzate su vittimismo e recriminazione. L’inconscio è più lento della realtà.
C’è poco da festeggiare, care signore. L’ideale sarebbe restare in due, senza che un sesso mangi in testa all’altro, in un equilibrio dinamico e difficile. Io amo intensamente la mia libertà, ma amo anche gli uomini e li vorrei in forma, e definitivamente liberati dalla tentazione della violenza e del dominio. Cerco e onoro il mio femminile, ma non a scapito del mio inner boy. E’ il caso di prestare tutti molta attenzione alla questione maschile. Anzitutto riconoscendo che esiste.

(pubblicato sui Io donna-Corriere della Sera il 30 gennaio 2010)

Politica Giugno 9, 2009

UNA DOMANDA

Ecco, se girellate un po’ per questo blog ci troverete molti spunti condivisi per una critica della politica, e forse il più alto e lucido è il discorso di Simone Weil per l’abolizione dei partiti. Eppure eccoci qui, dopo questa faticosa tornata elettorale, a far di conto, a proiettare, a immaginare tendenze, o semplicemente a leccarci le ferite, irresistibilmente attratti dal gioco dei numeri, delle maggioranze, delle minoranze, a chiederci di Di Pietro, della Lega, delle possibili alleanze, dei ballottaggi… A cominciare da me, dico.

Ma davvero continuiamo ad aspettarci che da lì possano arrivare cambiamenti significativi per le nostre vite? O non sarebbe invece più giusto distrarsi, coerentemente, “astenersi” da questa speranza che più volte abbiamo constatato essere malriposta, riservare ad altro le nostre migliori energie, continuare, come dice una mia amica, nel tentativo di “districare la politica dal potere”?

Donne e Uomini Febbraio 16, 2009

SCATOLE PIENE

Mentre voi qui sotto continuate nelle presentazioni, vi racconto questo. Che avvicinandosi l’8 marzo, non faccio che ricevere inviti a parlare di qua e di là, inviti che sono costretta a declinare tutti, salvo quello già concordati da mesi, perché quest’anno sono presa in un modo spaventoso. Devo dirvi che, a quanto sento, quest’anno va fortissimo il tema “le donne e il potere“. E stamattina, d’istinto, ho detto a una, seguendo l’onda di un’irritazione che qualcosa vorrà pur dire, che io di questo tema ne ho le scatole piene. Le donne sono dappertutto, e mi pare che di potere ne abbiano non poco. Io lavoro ovunque quasi esclusivamente con donne, in posizioni di tutto rispetto. Ieri sentivo alcuni signori con notevoli responsabilità manageriali dire che ormai si assumono solo donne, perché sono le più brave, le più scolarizzate eccetera. E’ vero, non ci sono donne nella politica, ma meno male, visto quello che è la politica. Oggi non ci sono soprattutto perché non interessa loro esserci, sapendo che in quei posti non combinerebbero niente di buono. Quanto all’economia, credo che sia solo questione di tempo, visto che il sistema -maschile- del neoliberismo è crollato, e da qualche parte dovranno pur venire idee alternative.

Insomma, io di donne e potere non ne voglio parlare. E neanche della retorica “forza delle donne“. Voglio parlare semmai degli uomini, che si defilano da ogni responsabilità. E voglio parlare della felicità. Dello stare bene al mondo senza esercizio di potere né applicazione di forza. Fatemi parlare di donne e felicità, e anche di amore. Le donne sono troppo distratte dall’amore, la qual cosa mi preoccupa molto.

Archivio Giugno 4, 2008

Hillary: un non-sogno finito

Erica Jong dice che questo dovrebbe essere un giorno di lutto per tutte le donne. In parte si deve darle ragione. Con la sconfitta di Hillary muore una speranza che in realtà non è mai del tutto nata, un sogno che le donne non hanno abbastanza sognato. La sua candidatura non è mai stata sostenuta da un forte movimento femminile. Hillary ha ballato da sola, e molte cose non le sono state perdonate. L’essere la moglie di un presidente, per cominciare. Ma soprattutto la qualità “maschile” della sua straordinaria ambizione, tutta una vita giocata su questo tavolo.
Simbolicamente con Hillary muore l’emancipazione, affonda definitivamente la nave che ci ha portate tutte fin qui, e che merita senz’altro bandiere listate a lutto, ma che è pronta per essere smantellata, perché non ci potrà condurre un solo miglio più in là.
Da oggi la domanda sul potere delle donne, sulle sue regole e sulla sua morfologia, diventa ineludibile. La ricerca si fa più stretta, improrogabile, consapevole. Si tratta di sapere e voler vedere che cosa nasce, in questo giorno di “lutto”. E io credo che da questa disillusione definitiva possa anche nascere più libertà femminile.