La crisi ha messo tra parentesi tutte le riflessioni sul lavoro fatte specialmente da donne, che entrando in quel mondo delle fabbriche e delle aziende si sono ritrovate scaraventate in modelli organizzativi per loro assurdi (non dimenticare che l’esperienza del lavoro è soprattutto femminile, chi lavora nel mondo sono soprattutto le donne, è il lavoro salariato ad essere più maschile: i soldi se li tengono loro).

Quindi, o così, o pomì. Non farti venire strane idee di flessibilizzazione -alla tua maniera-, di postazioni in remoto, di orari elastici, o addirittura di leadershit, di non-funzionalità della gerarchia, eccetera eccetera. Se vuoi un lavoro, lavora e taci. Come se il dolore, la detenzione dei corpi, la frustrazione, la fatica inutile, le regole mutuate dai modelli militari garantissero maggiore fecondità e maggiore produttività. Siamo l’unica specie vivente a pensarla così.

E’ anche più doloroso, essendo che a parlare di riforma del lavoro sono tre donne, ma di questo pensiero femminile del lavoro, che farebbe una rivoluzione, che produrrebbe effetti a cascata sulla vita di tutt*, nemmeno l’ombra.

Eppure un cambiamento di quei modelli produrrebbe effetti straordinari, dal welfare all’inquinamento ambientale alle relazioni umane.

E invece niente. Mala tempora currunt.

Ma non perdere la fiducia. Bisogna mandare tante donne lì dove si decide, dove si stabiliscono le priorità e le agende.

Si deve rompere il monopolio maschile. Tenersi concentrate sull’obiettivo.