Cgil pro utero in affitto: ecco gli appelli delle femministe a Maurizio Landini per un franco e definitivo confronto
Il 50/50 a Milano l’ho proposto da subito alle primarie -ho anche passato i miei guai per questo, con lo stesso Pisapia e con Nichi Vendola, durante le primarie- e così la vicesindaca. Non è che mi piaccia, anzi per nulla, ma la forzatura andava fatta. Se un vivacissimo dibattito è in corso a riguardo, su Facebook e in vari giri di email, è soprattutto a causa di questa forzatura. Diversamente è verosimile che il tema non si sarebbe nemmeno posto, e saremmo al solito 15/85. Queste cosiddette azioni positive, nella loro grossolanità -come dico sempre, equivalgono a una martellata- durano quel che devono durare, fintanto che un processo non si è messo in moto. Così per esempio si prevede nella legge Golfo sul 30 per cento nei board delle società quotate. E vanno intese con la necessaria elasticità: 48/52 o city manager anziché vicesindaca direi che può andare bene lo stesso.
Questa stessa grossolanità ci costringe a un tabù -prima o poi dovremo parlarne, e gli argomenti non mancano- sul fatto che tantissime di noi sono in festa per il fatto che due uomini, Giuliano Pisapia e Luigi De Magistris, siedono oggi al posto di due donne, Letizia Moratti e Rosetta Russo, entrambe pessime sindache. Perciò dire 50/50 e una vicesindaca, che andava bene all’inizio di tutta questa storia, non funziona più in uscita.
Una chi? Nel frattempo è accaduto quel che accaduto, abbiamo vissuto una lunga ed indimenticabile campagna elettorale, molte donne, nomi e cognomi, sono state protagoniste attive, e altre assenti o inefficaci. E poi che senso ha firmare come “donne milanesi” la lettera che sta circolando, indirizzata a Giuliano Pisapia, che chiede appunto come vicesindaca “una donna”? Che effetto vi farebbe una lettera siglata “uomini di Ascoli Piceno”, o anche “donne italiane”? Ci sono donne milanesi che hanno votato Letizia Moratti, altre che si sono astenute, e altre ancora, come me, che non si riconoscono in un appello così generico. E il sindaco Pisapia è il sindaco di tutti, e anche di tutte.
Tocca a Pisapia decidere la sua squadra e impostare l’azione di governo, su questo nessun dubbio, procedendo a liberissime consultazioni. I partiti sono tra i primi interlocutori, ma ci sono anche le associazioni e tutti quelli e quelle che lui riterrà di dover consultare. Nel formare la squadra il sindaco potrà e forse dovrà tenere conto degli eletti e delle preferenze, ma sceglierà anche donne e uomini che non si sono sottoposti al giudizio degli elettori. Applicherà tutte le mediazioni che riterrà necessarie e infine verrà a una sintesi.
Che cosa vogliamo, noi “donne milanesi”? Che cosa ci tiene insieme? Che cosa possiamo portare unitariamente al tavolo del sindaco Pisapia? C’è una minima, direi, e una massima. La minima è una preoccupazione che ci accomuna, a sinistra come a destra: sappiamo che spesso la mediazione della politica maschile comporta la selezione di donne che “vanno bene agli uomini”, che non portano lì la loro libertà, la loro differenza, il loro linguaggio e la loro creatività politica, molto incomode o semplicemente illeggibili o invisibili per la politica degli uomini, donne che non si legano alle altre, fedeli anzitutto chi le ha scelte, quando non amiche, parenti e così via. Le cosiddette cooptate. La trasparenza nei criteri della selezione -vale ovviamente anche per gli uomini- ovvero la chiarezza sul merito e sulle competenze in relazione al ruolo assegnato è un ottimo presidio contro questo rischio. Come abbiamo constatato, laddove c’è trasparenza nei criteri di accesso -per esempio dove si accede per concorso- le donne, e le più brave, vanno facilmente avanti. Questo possiamo senz’altro chiederlo tutte insieme.
Un’altra cosa che ci può tenere insieme in tante, è chiedere che si considerino soprattutto candidate che abbiano legami efficaci con il movimento delle donne, che portino lì dentro tutta l’esperienza e la forza di queste relazioni, che siano perciò in grado di “femminilizzare” davvero la politica della rappresentanza, innovando le pratiche e i linguaggi e tenendo aperto il passaggio tra il “dentro” e il “fuori” della vita e della politica prima.
C’è poi un livello di massima, che io credo sarebbe il momento di praticare: suggerire al sindaco Pisapia non “una donna”, ma quella donna e quelle donne, nomi e cognomi, spiegandogli il perché e per quale ruolo, in modo che non si trovi a dover considerare per la sua squadra unicamente donne proposte dai partiti. Intendendo i curricula in senso ampio: non si tratta semplicemente di titoli accademici, di pubblicazioni o di esperienze lavorative, in quanto spesso l’eccellenza e la sapienza femminile non si lasciano leggere con queste lenti. Ho in mente, a titolo di esempio, un’amica che è stata manager di qua e dirigente di là, e poi si è messa a fare altre cose. Il mio meglio, dice, è in quest’altro, ma quando tratto con gli uomini a contare è quello che facevo prima.
Quindi, care amiche e anche amici, diamo davvero una mano al sindaco, e facciamogli con trasparenza e chiarezza le nostre proposte, non una, ma quella e quelle, perché lui possa liberamente valutarle.
P.S. Ovvio che ognuna deve portare l’altra, in una pratica di “affidamento”. Ovvero, che ognuna affidi il suo desiderio all’altra. E ciascuna nomini l’altra. Per esempio, io mi sento qui di nominare, oltre ad Arianna Censi, di cui ho già parlato, Lucia Castellano, direttora del carcere di Bollate, con tutta la sua grande competenza in materia di servizi sociali.
P.P.S. E aggiungo anche questo: oltre a quella e quelle, perché non quello e quelli? Non è detto che le donne debbano offrire la loro indicazione esclusivamente all’interno del loro genere.