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Luisa Muraro

AMARE GLI ALTRI, Donne e Uomini, esperienze Giugno 30, 2011

Una filosofa sul metrò

luisa muraro

Rubo a “Metro”, quotidiano free press, una riflessione intensa della filosofa Luisa Muraro. Molto interessante che una pensatrice così importante possa raggiungere il popolo dei non-lettori di quotidiani tradizionali, e forse dei non-lettori tout court, anche tantissimi stranieri, che ogni giorno sulla metropolitana e sul tram sfogliano questo genere di stampa. Mi pare un’operazione di grandissima utilità, e Luisa fa molto bene a tenere lì una sua rubrica. (Luis Muraro ha scritto tanti libri. L’ultimo si intitola “Non è da tutti” ed è pubblicato da Carocci).”Aprite i finestrini del metrò” dice il neoassessore Maran contro il grande caldo. Ecco, anche Luisa tiene aperti i finestrini del metrò.

 

Quando l’Italia si è motorizzata, non so quanti bambini sono morti perché ignari che le strade non erano più per i loro giochi ma per i camion, i pullman, le auto, le moto. Era il prezzo del progresso, si disse. Adesso che nel progresso non crediamo più, come chiamiamo la morte dei bambini dimenticati in auto? Se anche questo è un prezzo, che cosa paghiamo con le loro vite? Troppe occupazioni, troppe preoccupazioni, troppe evasioni, troppo mondo: non c’è abbastanza posto nella testa di un uomo e la creaturina, che si era addormentata come le capita volentieri quando l’auto va, invisibile sul sedile dietro dove è obbligatorio metterla (per la sua sicurezza, notate), sparisce dalla mente dell’adulto ed emigra nell’inesistenza.

Ma dalla trappola di ferro non può uscire e nessuno raccoglierà il suo grido d’aiuto

È capitato una, due, tre volte, che è un numero enorme da scrivere e da accettare, per cui non ditemi che devo andare avanti nella conta. Tre mi pare un prezzo sufficiente da pagare per gli sbagli fin qui fatti nelle contabilità del vivere, che cosa dare per avere che cosa. Le creature piccole custodiscono il segreto della gioia, che per noi è perso se ci diventano invisibili e mute, confinate come sono in un appartamento a consumare prodotti per l’infanzia. Portiamole all’aperto e iscriviamole nei bilanci delle aziende, dei Comuni, del globo, come una incancellabile fonte di gioia. Rendiamole indispensabili e indimenticabili.

Luisa Muraro

Donne e Uomini, lavoro, Politica Marzo 12, 2011

TU QUOQUE, EMMA?

Indignez-vous, care amiche. Ma sul serio. Quanto a me sono furibonda, e di sciarpe bianche al collo oggi ne metterei una decina tutte insieme per quello che ci sta facendo Emma Bonino. La quale, unica italiana celebrata da “Newsweek” tra le 150 donne che hanno scosso il pianeta, categoria “donne combattenti nel Terzo Mondo” –tra cui l’Italia-, ha ritenuto di onorare il riconoscimento concionando di oppressione femminile insieme a un’egiziana, a un’iraniana e a una saudita, tutte oppresse a pari merito, alla conferenza internazionale “Women in the World 2011” di New York.

Ora, tutto questo è molto pittoresco. Come quella volta che in un fumoso e fetido pub di Berlino-Kreuzberg, primi anni ’80, mi capitò di vedere un manifesto che chiedeva “libertà per i 40 mila prigionieri politici italiani”. “Non sono un po’ troppini?” chiesi ai miei amici. “Ma ai compagni tedeschi” mi spiegarono “piace”.

Può essere che questa cosa dell’oppressione femminile aggiunga nuova fragranza al nostro esotismo. Sbarreranno gli occhi, i giovani yankee in Grand Tour, quando vedranno che talune di noi guidano la macchina e le più fortunate hanno anche la lavapiatti.

E’ un periodo che farei class action a tutti, e mi verrebbe da farne una anche alla nostra vicepresidente del Senato, che ci disonora –scuorno!- davanti a una platea internazionale con patrocinio dell’Onu e della Casa Bianca, ricordando nostalgica “la grande stagione delle nostre conquiste degli anni ’70, il divorzio, l’aborto (le conquiste “tristi”, ndr)… e poi il lungo sonno degli anni ’80 e ’90, ricacciate in casa, private delle strutture sociali più elementari”.

Si potrebbe ricordare a Emma che proprio nei formidabili anni ’70, con la fine dell’agricoltura nel nostro paese si registrò uno dei tassi più bassi di occupazione femminile, e che la crescita tumultuosa cominciò verso la fine degli anni ’80. Che da un certo punto degli anni ’90 in poi l’unica occupazione che cresceva era quella femminile. Che le donne ormai costituiscono la maggioranza in molte professioni: siamo pieni di avvocate, magistrate, mediche. Che dove si accede per concorso si va alla grande, il problema è l’accesso per cooptazione, come in politica e nelle aziende. Che nel Nord e in Emilia gli obiettivi di Lisbona sono raggiunti e la Lombardia non ha niente da invidiare al Baden-Wurttemberg, mentre al Sud c’è una marea di lavoro nero.

Dettagli, per carità -se Emma ne vuole altri provi a contattare le amiche del gruppo lavoro alla Libreria delle Donne di Milano-: alle “compagne” paritarie americane piacciamo così, tutte ex-segnorine chiuse in cucina a tirare la pasta, in guepiere e piene di lividi.

I numeri sono una cosa strana. Mi dice un’amica: “In Rwanda hanno il 50/50 in politica. Ok, vacci a stare tu in Rwanda”. Qui la pillola non va giù, eppure gli aborti diminuiscono, se possiamo i vecchi ce li teniamo in casa anziché mandarli negli ospizi, per i bambini cuciniamo invece che sbatterli al Mac, i nostri uomini sono egoisti e infantili ma i maschi maghrebini che vengono a stare qui li prendono in giro perché si fanno comandare dalle donne.

Il nostro è uno strano paese, normale non lo sarà mai, bello e sghembo come le sue piazze, la Brianza è il posto più ricco d’Europa e la Calabria povera come la Grecia. Ma bisogna amarlo e rispettarlo per capirlo e per farlo fiorire.

Il vittimismo e il pariopportunismo possono fare danni assai più seri di qualunque mediaticissimo velinismo, come dice l’amica e maestra Luisa Muraro nel suo ultimo “Non è da tutti – L’indicibile fortuna di nascere donna” (Carocci), mettendoci in guardia di fronte della “posizione falsamente femminista di considerare il sesso femminile come la grande vittima di una grande ingiustizia maschile. Questa semplificazione è tipica della politica dei diritti che porta a sopravvalutare quello che si può ottenere in nome dei diritti e a sottovalutare le persone con le loro risorse”.

Quasi quasi lo regalo a Emma.

Donne e Uomini, Politica, tv Febbraio 9, 2011

FUORI DALLA CAMERA, CHE DOBBIAMO FARE ORDINE

Mettetevi nei panni di una donna: che lavora, fa marciare casa e famiglia, va in banca, dal dottore e dal commercialista. La solita fantastica vita d’inferno. E va anche a teatro, al cinema, in libreria, alle mostre, ai dibattiti. Fa politica, la politica vera, la politica prima, quella che viene liquidata come “volontariato” o “cura”. E ama, ovviamente, l’amore è sempre in cima ai suoi pensieri: in qualche modo dovrà tenersi su. E lotta contro un’organizzazione del lavoro assurda, contro il disordine, la sporcizia e gli sprechi, le sue magnifiche ossessioni. Sempre avanti, anche se in salita: la femminilizzazione del mondo è irresistibile. Altro che silenzio: un chiasso del diavolo.

Ma di questa donna e di quelle come lei (praticamente tutte), nella rappresentazione pubblica non c’è traccia. Da anni. La tv degli uomini, i media degli uomini –sono sempre loro a decidere, anche quando il target è femminile-, sembrano il paradiso dell’Islam, pullulante di huri decerebrate. Le donne vanno avanti, ma lì si torna indietro, come in un sogno consolatorio. Ma tu hai troppo da fare, e la cosa migliore è fingere di non vedere, come quando tuo marito ti tradisce e tu tieni duro, sperando che passi.

Però intanto non puoi non notare tante brave telegiornaliste che vanno soggette a una mutazione progressiva, sempre più simili al Modello Unico Televisivo. Che la gnocca di contorno è d’obbligo anche nelle trasmissioni dei paladini della libertà –tutti bruttini- a compensare la signora ospite intelligente ma unappealing. Perfino “L’Unità” sceglie la parte per il tutto, un tonico lato B firmato Oliviero Toscani, un paradossale lancio per la direzione-Concita: la furia delle blogger si scatena. E l’11 dicembre a Roma, nella Piazza San Giovanni che fu di Berlinguer e di Nilde Jotti, il Pd affida la conduzione del suo No-B Day a Martina Panagia, già Seno Alto Cadey e numero due a miss Padania: una che a quanto pare non si fa problemi di schieramento.

Poi un bel giorno a Milano la volante Monforte-bis carica una scellerata ragazzina detta Ruby, e tutto il venefico preparato ti precipita addosso. Non puoi più fingere di non vedere, la spesa falla il venerdì perché sabato devi scendere in piazza a dare prova della tua dignità, fatta coincidere con il fatto di non prostituirti come quelle dannate “olgettine tr..e”. Tante vogliono vedere rotolare la testa corvina di Nicole Minetti. Un grandissimo disordine simbolico che non sarà facile districare.

Non sono santa né puttana, e non so cosa mettermi. Secondo Irene Tinagli, eventuale leader del Nuovo Polo, “chi si presenta in autoreggente lo fa non solo perché gli uomini la vogliono così, ma anche perché é insicura”. E girano online consigli per un look dignitoso: mai pendant alle orecchie, troppo allusivi. “Ho come l’impressione che molte che vanno in piazza in questi giorni guardino il dito, e non la luna”, nota graziosamente Pia Covre, leader del movimento per i diritti civili delle prostitute, interpellata dal settimanale “Gli Altri”.

Le promotrici della manifestazione del 13 febbraio sentono a questo punto di dover precisare che “a motivarci non è un giudizio morale su altre donne, ma il desiderio di prendere parola pubblica per dire la nostra forza”. E chiamano anche gli uomini a esprimere il loro rifiuto del modello sessista. Modello che, intendiamoci, è sempre quello degli altri. Non abbiamo ancora avuto la fortuna di sentire un uomo interrogarsi in prima persona e pubblicamente sulla propria sessualità, su quel tenace intrico sesso-potere-denaro, sul fatto di usare il corpo di altre –e altri- come merce, dando la prostituzione per scontata come un fatto di natura.

Tutti femministi. Fanno bene a cavalcare la tigre, intendiamoci, che è una tigre davvero, ed è pure un bel business. Ma avverte Pia Covre, che di maschi se ne intende: “In questo momento fa comodo usare le donne per battere Berlusconi. C’è quindi una strumentalizzazione”. Detto da una che pure Berlusconi non lo ama affatto.

Domanda delle 100 pistole: qual è l’obiettivo? La testa del premier? O, più in generale, il machismo della nostra politica? Che cosa chiede la piazza? Non c’è protagonismo politico, in mancanza di chiarezza.

La filosofa Luisa Muraro fa notare che in questo neofemminismo maschile “c’è un pericolo, quello della idealizzazione: un altro passo e si finisce nella misoginia, perché le donne reali non corrispondono agli ideali di nessuno”. Ce n’è anche un altro, di pericolo: che mentre noi stiamo lì con sciarpa bianca a difendere la nostra dignità, le decisioni politiche continuino indisturbati a prenderle loro. La manifestazione del 13 dovrebbe servire a dire che tutto questo non sarebbe capitato, se a decidere ci fossero state anche le donne. E invece non c’erano, e continuano a non esserci, e quelle poche che ci sono non vengono ascoltate. Dovrebbe chiedere che la scadente politica maschile si apra finalmente alla società e alla politica femminile, che assuma con decisione il doppio sguardo.

Fuori dalla Camera, che dobbiamo fare ordine”: lo slogan, femminilissimo, potrebbe essere questo. E fuori dai partiti, dalla tv, dai media, dai consigli di amministrazione, perché se siamo arrivate a questo punto è perché lì continuano a esserci solo maschi.

Il tempo (kairòs) è questo. Il tempo del genio femminile, per dirla con papa Wojtila, il tempo della saggezza, che per la tradizione ebraica è il volto femminile di Dio. Lo dicono i preti, lo dicono i rabbini. Lo dice anche il mio ortolano, per niente femminista, marito di una brava ragazza che manda avanti magnificamente casa e bottega. E sarebbe contento di avere tante brave ragazze anche lì, dove si decide per conto di tutti. Anche una premier, perché no? che costituirebbe l’esito naturale di questa assurda storia italiana.

Sono tutti pronti. Anche noi siamo pronte. Ma i politici, femministi compresi, loro no.

(pubblicato oggi sul Corriere della Sera).

Donne e Uomini, Politica Settembre 25, 2010

COMPARSE SCOMPARSE

Può essere che neanche ci fai caso. Hai tanto da fare e disfare, sei talmente presa dalla vita, che la cosa può anche lasciarti indifferente. Nel mondo-duplex della rappresentazione pubblica tu proprio non esisti. Ci sono le Gheddafi girls: 80 euro e ti sventolo il libretto verde, qualcosina in più e mi islamizzo del tutto. C’è il “vespaio” sul décolleté delle scrittrici e la corona turrita di Miss Italia. Ma di te, la metà abbondante del paese reale, dal biberon alla womenomics, ben poche tracce.

Poi, quando il gioco della politica si fa duro, scompaiono anche le onorevoli, per ricomparire in qualità di amanti o cheerleader dei maschi-alfa. C’è una crisi, quella politica, dentro la crisi più grande, quella economica. Ma il punto di vista delle signore del governo e dell’opposizione interessa poco o niente. Apprendiamo che la prostituzione è la via maestra alla partecipazione, e che il corpo è “legittimamente” usabile per fare carriera anche a Montecitorio: autorizzazione dell’on. Giorgio Stracquadanio. Le signore sono interpellate solo su questi temi edificanti. Su tutto il resto, desaparecide.

Può essere, dicevamo, che una non abbia neanche il tempo e la voglia di indignarsi. Come Lucia Castellano, straordinaria direttrice del carcere di Bollate (vedi il suo “Diritti e castighi”, Il Saggiatore), professionista talmente capace che prima di evadere un detenuto gli ha scritto un biglietto, scusandosi perché la metteva nei guai.

“In effetti” ammette “non ho fatto gran caso a questo silenzio. Se le politiche parlassero, del resto, non sono certa che direbbero cose diverse dai loro colleghi maschi. Salvo eccezioni, sono perfettamente omologate: le logiche, i termini, i giochi di potere sono gli stessi. E’ in altri campi che le donne si esprimono pienamente. Se in politica sono poche e mute è anche perché il desiderio di essere lì è molto flebile”.

Un silenzio che non preoccupa neanche Michela Murgia, premio Campiello per il bellissimo “Accabadora”, a novembre di nuovo in libreria per Einaudi con il saggio “Ave Mary” sul ruolo della Chiesa nella costruzione dell’immagine femminile: “Le donne nel governo ci sono, e non mancano all’opposizione” dice. “Ma non abbiamo garanzie del fatto che se parlassero sentiremmo qualcosa di sensato. Ed è proprio questo che mi manca, la sensatezza, la misura. Da chiunque provengano, donna o uomo. Il vocabolario della politica è sempre quello, e non conosce generi”.

Una lontananza, una presa di distanza da una politica ritenuta sempre più scadente e meno rappresentativa. Le cose che contano nella vita non capitano lì, perciò non vale la pena di aspettarsi più di tanto. Le prime pagine dei giornali, bollettini di guerra da saltarsi a pie’ pari. La società delle donne e la “politica” degli uomini: due mondi paralleli che non si incontrano mai.

“In tutte le civiltà premoderne i due sessi vivevano divisi” osserva la filosofa Luisa Muraro. “C’erano due società, quella femminile e quella maschile, che producevano un senso vivo della differenza. Con la modernità questa divisione sparisce e compare il soggetto neutro, tagliato sul modello degli uomini. Le donne perdono i loro ambiti e restano delle disadattate culturali, per quanto inconsapevoli di esserlo. Il silenzio di cui stiamo parlando dice l’enorme difficoltà di questo adattamento, più doloroso di qualunque discriminazione”.

Ma qual è il prezzo di questa estraneità difensiva? Quanto sta costando alle donne restare fuori e fare altro?

E’ una specie di qualunquismo che di sicuro ci sta facendo male” dice la giornalista Ritanna Armeni, autrice di “Prime donne – Perché in politica non c’è spazio per il secondo sesso” (Ponte alle Grazie). “E come si vede, gli uomini approfittano a man bassa di questa distrazione. Cercano di ributtarti indietro, di riproporre vecchi stereotipi: le prostitute, le amanti, le rivali. Anche per il Pd quella che si chiamava “questione femminile” non c’è più: solo candidati maschi alle primarie, e non è un problema per nessuna. Da decenni non eravamo messe così male. Ma anche volendo” ammette “non c’è un solo appiglio per lasciarsi coinvolgere. Niente a cui aggrapparsi, in cui potersi riconoscere, a cui desiderare di appartenere”.

Anche Flavia Perina, che dirige Il Secolo d’Italia, quotidiano ex-Pdl, dice di non aver mai vissuto un momento simile: “Sono nata e cresciuta nel protagonismo politico femminile: questo è un mondo che non riconosco. Nel Pdl le donne non hanno ruolo: se il partito è il contorno del capo, loro fanno solo da contorno del contorno. A sinistra gli apparati sono terribilmente burocratizzati, e a nessuna è permesso di rompere le righe. Ma credo anche che siamo agli ultimi giorni di Pompei: la tensione si è fatta insostenibile. Chi per primo interpreterà questa domanda conquisterà il consenso delle donne”.

Lo sanno bene tutti gli addetti al marketing: il mercato delle donne è un’enorme opportunità, una tigre che attende di essere cavalcata. Ma la politica è troppo miope e mediocre per rendersene conto. Fiorella Kostoris, economista e presidente dell’associazione “Pari o dispare”, è certa che non si uscirà dal ristagno politico prima di aver sbloccato quello economico: “Come fai ad aspettarti donne politicamente meno remissive quando ci sono regioni del nostro paese in cui le ragazze hanno perfino smesso di cercare un lavoro? C’è una sola risposta da dare, ed è mettere al centro il merito. Se il sistema è meritocratico, le donne vanno avanti, e il paese insieme a loro. E’ la chiave per risolvere in un solo colpo i problemi della crescita e quelli femminili. I tempi non saranno brevi, ma sono ottimista: c’è ormai una nuova coscienza nelle imprese. E c’è un disegno di legge sulle quote che può dare un forte impulso”.

Ne è convinta anche Roberta Cocco, direttore Marketing Centrale di Microsoft, responsabile del progetto Futuro@lfemminile e mamma di tre bambini –le donne del mercato, come si vede, sono molto meno inibite delle politiche-: “Bisogna che ce lo ficchiamo in testa: il paese ha un enorme bisogno di noi, e il momento è adesso. Ci si deve liberare dalla trappola dell’automoderazione e sottrarsi all’influenza di certe rappresentazioni miserabili. Non c’è niente di cui avere paura: dobbiamo solo dettare le nostre condizioni per poterci essere a modo nostro. Per esempio ricorrendo ampiamente alle nuove tecnologie, che permettono di tenere insieme tutti i piani della vita. E cominciare a usare la parola potere, senza esorcismi e ipocrisie”.

Sul potere e su come gestirlo da donne il dibattito si avvita da qualche decennio. Ma forse anche qui vale più la pratica che la grammatica. Una comincia, a modo suo, e poi si volta indietro e vede come ha fatto.

pubblicato su Io donna – Corriere della Sera il 25 settembre 2010

esperienze, Politica Marzo 7, 2009

AL MERCATO DELLA FELICITA’

Si tratta di “andare in giro per il mondo incinti di quello che il mondo, di fatto, al momento, non è, non sa, non può. O, per chi ha la vista buona, (di) andare incontro al mondo e vedere che è incinto del suo plus”. Meglio di così non saprei dirlo. E perciò, quando qui, nel mio blog e ovunque, mi capiterà come capita sempre di imbattermi nella disperazione di chi non fa che nominare il male che c’è, spargendolo dappertutto, risponderò con le parole con cui la filosofa Luisa Muraro chiude suo nuovo libro (Al mercato della felicità, Mondadori).
In un libro, come al mercato, ognuno trova quello che gli serve, e la possibilità di continuare il lavoro di chi l’ha scritto. Io qui, tra tante cose belle, trovo soprattutto un contravveleno alla disperazione politica, al senso di essere definitivamente sopraffatti e senza vie d’uscita. Traendolo dalla mistica islamica, Muraro fa l’esempio di quella vecchia che pur senza alcuna possibilità di farcela, ha l’audacia di mettersi in gara al mercato degli schiavi per comprare lo splendido Giuseppe, offrendo in cambio qualche gomitolo di lana. E a chi la deride, risponde che ciò che conta è che si dica che “anche lei ci ha provato”. Perché senza desideri grandi, senza grandi orizzonti, che vita sarebbe?
Come non cedere sui desideri quando il confronto con la realtà sembra perdente?”, è la domanda del libro. In un momento in cui uno o una, appena si muove, trova muri da ogni parte, e l’unica mossa che gli è consentita è consumare, e oggi nemmeno più tanto quella, è forte la tentazione di cedere sui desideri e di rassegnarsi all’angustia e al male, alla propria inconsistenza e a un’economia senza gioia. Qui non ho modo di dire di più -vi rimando alla lettura del libro- se non menzionare la fiducia con cui Muraro promette a se stessa e a chi si pone in ascolto, che “il reale… non assiste indifferente alla passione del desiderare” e per questo si deve e si può, come la vecchia, e senza esagerare “il potere del potere”, “restare nella fila dei compratori”, intenti in una “contrattazione instancabile” con il reale realizzato, aprendo “un passaggio tra il tutto già deciso e il non ancora”. Per guadagnare il nostro stesso essere, e insegnare al mondo il suo “plus”.

(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 7 marzo 2009)