Tanti parlano e scrivono di Liguria in questi giorni. Direi in extremis. In questo blog trovate più di 20 post sull’argomento. Il primo è del 2008.
Ne ho scritto molto perché il caso ligure è paradigmatico, e da tempo. Un laboratorio, come si dice. In troppi se ne accorgono solo ora.
Il fatto è che la Liguria è un’Italia in piccolo: territorio fragile e bellissimo, una dorsale montuosa a picco nel mare, devastato da decenni di malapolitica. Lì le larghe intese ci sono da tanto e si chiamano Partito Trasversale del Cemento per Fare Palanche (in pochi ai danni di tutti). La Liguria è Nord ma è anche Sud: per i numeri sconfortanti dell’occupazione, per la fatica dello sviluppo, per la forza del ricatto politico e del voto di scambio, per gli affari consistenti di ‘ndrine e cosche, per i reati ambientali e gli ecomostri, per la drammaticità dei mutamenti climatici.
In Liguria si vede bene un modello a fine corsa.
Il 31 maggio la Liguria andrà al voto regionale e i commenti di questi giorni si esercitano sul cosiddetto voto utile, sul potenziale di una nuova formazione politica -quella per Luca Pastorino presidente- “a sinistra del Pd”. Sul rischio che a causa di questa formazione “rossissima” o meglio “rosso-rosa-verde” la regione “rossa” non sia più rossa (se è per questo non lo è da un sacco di tempo) e si consegni al centrodestra di Giovanni Toti. Sul rischio di dover passare dal monocolore (grigio cemento) a larghe intese di nome e non solo di fatto: quelle sono al governo da tanti anni, un “partito della regione” che ha procurato gravissimi danni. Sulle varie possibili future geometrie politiche.
Direi che la questione è un’altra, e molto più significativa per la Liguria e per tutti. Si tratta precisamente di quel “cambio di paradigma” di cui si parla da un bel po’. Detto alla buona, si tratta di questo: di sperimentare la possibilità di vivere con il proprio territorio, e non contro il territorio. Di cura e valorizzazione di bellezza e risorse ambientali -langerianamente, di portare la carità (I care) nella politica- per farne occasione di lavoro e di sviluppo. Di fare un passetto indietro, tornando a prima della rapallizzazione, della glassatura della riviera, dei porti e porticcioli, dell’abbandono, del disboscamento, della distruzione dei muretti a secco, esoscheletro che “teneva su” le montagne, per poter finalmente andare avanti. Di conservare quanto serve per progredire. Di ri-radicarsi. Di sposare le nuove tecnologie pulite alla sapienza di un amore antico.
E se riuscisse in Liguria, potrebbe riuscire dappertutto.
Ecco l’importanza della sfida ligure.