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legge sulle quote

Donne e Uomini, Politica Gennaio 21, 2013

Scandalo Lella Golfo

 

Lella Golfo non tornerà alla Camera dei deputati

Il Pdl le ha proposto il nono posto in lista per la Camera in Calabria: posizione di certa ineleggibilità. Lella Golfo ha rifiutato.   Il suo magnifico lavoro per le donne – evidentemente pessimo per gli uomini- non le ha giovato. La sua esclusione è paradigmatica: se sei una fedele anzitutto al tuo genere (e non a un capocorrente, o una semplice segnaposto per conto di, mariti, padri o altro)  in politica per te non c’è posto.

In una sola legislatura, con formidabile tenacia, in tandem con la piddina Alessia Mosca, Golfo è riuscita a portare a casa una legge importantissima per le donne italiane -sulle quote di genere nei cda delle società quotate in borsa-primo passo in direzione di quella generale applicazione di quote che sta femminilizzando la politica italiana. La beffa è proprio a lei sia rimasta esclusa- insieme ad altre indomite come lei-. L’ultima cosa che Lella è riuscita a fare per tutte è stata una raccolta di curricula eccellenti da sottoporre per le liste ai segretari di tutti i partiti. L’operazione non è andata in porto: lei stessa, amaramente, commentava qualche giorno fa:

“La mia sensazione,  è che ancora una volta i criteri siano stati poco trasparenti e meritocratici e che per noi ci sarà ben poco spazio, soprattutto in posizioni eleggibili. Non vi nascondo la mia delusione e amarezza e credo giusto avviare una seria riflessione sul futuro. Mi convinco sempre più che forse l’unica via d’uscita, lo sbocco naturale di questa partecipazione e dell’entusiasmo che mi avete trasmesso sia la creazione di un Partito delle donne“.

Uno stop, questo per Lella, certamente amaro, ma solo momentaneo. Continuerà il suo lavoro alla testa della Fondazione Marisa Bellisario e troverà certamente la strada per continuare a dare efficacia al suo lavoro politico. Non mollerà, seguendo gli insegnamenti di sua madre.

Per raccontarvi chi è Lella, vi ripropongo un’intervista ritratto che ho realizzato poco più di un anno fa, al momento dell’approvazione della sua legge sulle quote.

 

 

Cavaliere, Commendatore e onorevole, Lella Golfo è anzitutto una calabrese vera. Indomita e riservata. Presidente della Fondazione Marisa Bellisario e prima firmataria, insieme ad Alessia Mosca del Pd, della legge sulle quote nei Cda, giunta in porto dopo più di due anni di lotte, parla molto di politica e molto poco delle cose sue: il matrimonio, un figlio, il divorzio (“Il primo in Calabria…”). E sua madre, Rosa Verdelli, a cui è intitolata una sezione Pd di Reggio: attivista Pci, tutta la forza delle donne del Sud, “l’amministratore delegato della nostra famiglia” dice Lella, che da lei ha imparato i fondamentali. A non mollare, prima di tutto, a dribblare gli ostacoli uno a uno.

Lella comincia ragazza a battersi per i diritti delle gelsominaie della zona Jonica e delle raccoglitrici di olive nella piana di Gioia Tauro, per arrivare oggi a questo goal, probabilmente la più importante affirmative action mai applicata in Italia.

“E’ stata dura” dice. “Ho passato momenti di scoramento e solitudine. Anche molte donne già arrivate in ottime posizioni mi scoraggiavano: “Per carità, le quote!”. Alcune, come Emma Bonino e Adriana Poli Bortone, hanno votato contro. Ma senza questa forzatura transitoria -la legge resterà in vigore 9 anni- ci sarebbe voluto un altro mezzo secolo. E se il Paese vuole crescere non può permettersi di tenere le donne fuori dai luoghi di decisione ancora tanto a lungo”.

Sarà un terremoto…

“Da maggio 2012 i Cda dovranno nominare il 20 per cento di donne. Si arriverà a regime, cioè al 30 per cento, nel secondo e nel terzo mandato. Oggi nei board delle società quotate ci sono 332 donne e 4014 uomini, e nelle società pubbliche 1900 donne su un totale di 10 mila consiglieri. Solo per le società quotate serviranno 675 consigliere e 190 sindache”.

 E ci sono? In Norvegia, dove la legge impone il 40 per cento, dicono di aver dovuto imbarcare un po’ a casaccio…

“In Italia il problema non si pone. Le donne sono già il 60 per cento dei laureati. Dove si accede per concorso, come in magistratura, si va alla grande. La Fondazione Bellisario ha già raccolto 1700 curricula eccellenti, verificati da Beyond International e Heidrick & Struggles, società di executive search: 1300 sono già prontissime”.

 Non c’è il rischio che anziché le più brave si cooptino figlie, nipoti, fidanzate: donne che non “disturbano”?

 “Ma qui c’è la prova del mercato, non è come in politica. Le aziende lo farebbero a loro danno”.

 Le più brave però possono dare fastidio. Introdurre criteri diversi. Le donne sono più “strategiche”, non amano il rischio, lo spreco di risorse e di tempo…

“Ed è proprio di questo che c’è bisogno! L’innovazione sta qui. Sarà una medicina salutare”.

 E chi non si adeguerà?

“Per il primo mandato, dopo una lettera di richiamo, sono previste sanzioni a da 100 mila a 1 milione di euro. Per i mandati successivi c’è lo scioglimento del consiglio di amministrazione”.

 E’ soprattutto su questo che avete dovuto mediare con le associazioni degli industriali…

“Sì. I malumori sono stati molti. Abbiamo dovuto introdurre una certa gradualità”.

Ed Emma Marcegaglia?

“Era intervenuta pesantemente, chiedendo addirittura di bloccare la legge. Ma una volta trovate le mediazioni ha dichiarato che si trattava di una norma equa, e che anche in politica si dovrebbe pensare a qualcosa del genere”.

 E’ così?

“Anche qui: se attendiamo di arrivarci “naturalmente” ci vorrà una cinquantina d’anni. Sto pensando a qualcosa su questo fronte. Una legge che obblighi al 40 per cento delle elette: non parlo di candidature, ma di elette effettive. Con l’attuale legge elettorale a liste bloccate si potrebbe fare senza troppe difficoltà”.

 E’ vero che quanto a diritti delle donne siamo il Terzo Mondo d’Occidente?

“Sul fronte del lavoro non direi: gli obiettivi di Lisbona, il 60 per cento di occupazione, sono raggiunti in buona parte del Nord. Al Sud invece c’è molto lavoro nero che non risulta alle statistiche. Il problema semmai è l’accesso al potere. Ridotta all’osso, è una banale questione di posti. Per stare ai board: se 4000 donne devono entrare, 4000 uomini, che magari hanno meno titoli delle loro colleghe, devono uscire. Non c’è verso. Lo stesso in politica: per fare entrare in Parlamento 200 donne, 200 uomini devono sgomberare. E non ci pensano proprio”.

 E allora?

“E allora, quote”.

 

 

 

 

Donne e Uomini, economics, Politica Febbraio 17, 2011

PRIMO BANCO DI PROVA

un tipico cda italiano

Dispiace che sia proprio Emma Marcegaglia a frenare sulla legge sulle quote rosa nei cda delle società quotate in borsa -approvata alla Camera e ora in discussione al Senato- chiedendo in sostanza maggiore gradualità nell’introdurre il 30 per cento di donne, e sanzioni più lievi per le società che non si adeguano (la legge prevede la decadenza immediata del cda).

E’ vero che in un paese come il nostro, dove la media nei cda delle società quotate e no è di 6 donne su 100 uomini -e in tantissimi cda neanche una- l’applicazione della legge provocherebbe un terremoto, con un cospicuo numero di “feriti”. Danni che però non sarebbero da ascrivere alle legge, ma alla formidabile resistenza degli uomini che di donne nei cda non ne hanno mai voluto sapere. E continuerebbero a non volerne sapere in assenza di scossoni. Quindi c’è da lottare, perché la legge arrivi in porto. E Lella Golfo, firmataria della norma, bipartisan e lottatrice nata, invita alla mobilitazione contro “i poteri forti” che ostacolano l’iter.

Si può scrivere al presidente del Senato Renato Schifani (segreteriagabinettopresidente@senato.it) e al presidente della Commissione Finanze Mario Baldassarri (mario.baldassarri@senato.it) chiedendo che vigilino sul corretto svolgimento dei lavori parlamentari, tenendoli “al riparo da agenti esterni”.

Della serie: niente di regalato. La legge sulle quote potrebbe essere il primo concreto banco di prova della “forza delle donne” su cui in tanti hanno gongolato.