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#jobsact

italia, Politica Novembre 4, 2014

Matteo #cambiaverso. #Cambiaidea. E #cambiafaccia

Silenzio sulle cariche -a freddo- della polizia contro gli operai Thyssen. Silenzio su quanto riferito al riguardo dal ministro Alfano, che a quanto si vede benissimo dai filmati di Gazebo non corrisponde al vero (domani la Camera voterà sulla mozione di sfiducia presentata da Sel, Lega e M5S). Silenzio sul silenzio del prefetto di Roma, sempre riguardo alle cariche. Silenzio sul caso Cucchi, che come abbiamo visto si è menato a morte da solo. Silenzio sull’amico e mediatore del Nazareno Denis Verdini, rinviato a giudizio per corruzione.

A quanto pare, quando non c’è qualche rutilante buona novella da dare, Matteo #cambiaverso. Il Grande Comunicatore si inceppa, le notizie sgradevoli rovinano l’immagine, meglio glissare.

Non solo #cambiaverso, ma pure #cambiaidea: su Mare Nostrum, che fino a un paio di settimane fa era il nostro orgoglio -vero-, uno dei migliori prodotti made in Italy, e adesso si può smantellare senza spiegazioni. Sulla Fiom: dal culo-e-camicia con Maurizio (Landini) alla promessa di incontrare una delegazione Fiom, ieri a Brescia, clamorosamente bidonata. Sul jobsact e sull’art.18, una cosina da tre tavolette: dopo aver proposto lui stesso e fatto approvare, in direzione nazionale Pd del 29 settembre, un ordine del giorno che suonava “il diritto al reintegro viene mantenuto per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare“, quell’odg l’ha fatto sparire, non l’ha mai inserito nella legge delega, su cui minaccia, dopo quello al Senato, il voto di fiducia anche alla Camera. Il solito caro vecchio OCOP (o così o pomì).

Matteo #cambiafaccia. Visibilmente meno slim, decisamente meno smart, piuttosto incarognito dal cospicuo calo di fiducia (dal 61 al 54 per cento) gli resta la supersonica velocità. Con cui al momento, più che il Paese, sta cambiando -o rivelando- se stesso.

italia, lavoro, Politica Settembre 30, 2014

#Jobsact: perché il lavoro sporco sul lavoro tocca al Pd?

Almeno 3 i topics della fluviale direzione Pd di ieri

• il segretario Matteo Renzi che nell’orazione d’apertura, dicendo “abbiamo sconfitto la politica” (anziché, come da copione, “l’antipolitica”) inciampa in un lapsus da ola. Forse il jet lag depotenzia le capacità di controllo del Super Io.

••  sempre il segretario Matteo Renzi, che in un passaggio dell’orazione finale ha affermato che “gli imprenditori sono lavoratori, come i lavoratori tradizionali”. Insomma: qua di padroni non ce ne sono più. Ci sono solo lavoratori fichi (gli imprenditori) e poi lavoratori d’antan, gente vecchia, muffosa e piena di pretese. Strano, perché io dal mio angolo visuale vedo quasi più padroni che lavoratori, e onestamente li vedo feroci come non mi è mai capitato di vederli prima, e con mani liberissime nella gestione dei traditional e pure dei new. Non mi pare pertanto una buona idea quella di liberargliele ulteriormente, consentendogli di licenziare (senza rischi di reintegra), di demansionare, di mobilizzare, di sfruttare, di terrorizzare, di sottopagare, di umiliare, di ledere la dignità, pratiche che già hanno corso e che, senza l’argine costituito da quel diritto già fortemente depotenziato a cui diamo il nome di art. 18, potranno dilagare fino alla semi-schiavitù. Credo peraltro non sembri una buona idea nemmeno alla grande parte degli elettori del Pd. Non è una buona idea che il lavoro sporco sul lavoro tocchi a quello che dovrebbe essere il partito dei lavoratori (perché se il Pd non è il partito dei lavoratori, allora che cos’è?) mentre la destra se ne esce tutto sommato pulita. Che poi l’idea piaccia all’80 per cento dei membri della direzione è un fatto del tutto occasionale, contingente, in discreta quota opportunistico, oltre che antistorico.

••• top of the topics, quell’impressionante passaggio dell’ordine del giorno conclusivo –stavolta tocca al responsabile economico e del lavoro Filippo Taddei- in cui si propone “una disciplina per i licenziamenti economici che SOSTITUISCA L’INCERTEZZA E LA DISCREZIONALITA’ DI UN PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO con la chiarezza di un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità, abolendo la possibilità del reintegro”. Ergo: se dico che ti licenzio adducendo ragioni economiche, inutile che vai dal giudice, a cui abbiamo tolto la possibilità di reintegrarti. Beccati un po’ di soldi, vai a casa e stai contento, perché pecunia semper certa est, iustitia numquam. Con quei giudici che ci ritroviamo, poi… Come mi scrive un’amica sbigottita, “la rivoluzione francese liquidata in un tweet”.

Non toccava al Pd, questa spallata a ciò che resta in piedi dei diritti dei lavoratori.

Giornata nerissima, quella di ieri.

Donne e Uomini, economics, italia, lavoro, Politica, questione maschile, Senza categoria Settembre 22, 2014

#Jobsact: c’è troppo poco sul lavoro femminile

Da anni ci viene raccontato -da Bankitalia, dall’Ocse, non da femministe “interessate”- che un aumento dell’occupazione femminile in Italia in direzione di quell’obiettivo di Lisbona indicato nel 60 per cento, avrebbe effetti virtuosi, anzi virtuosissimi, non solo sulla vita delle donne nel nostro Paese, ma anche sul Pil, sulla natalità (siamo la nazione meno prolifica nonché la più anziana d’Europa, e tanti di quei pochi che nascono a 18 anni ci salutano) e via dicendo.

Lo abbiamo letto in molti editoriali firmati prevalentemente da editorialisti uomini (gli editorialisti restano quasi esclusivamente uomini): più donne al lavoro farebbero + 7 punti di Pil secondo Bankitalia, una dozzina in più secondo l’Ocse. Generebbero un indotto occupazionale, “esternalizzando” servizi di cura oggi delegati quasi esclusivamente a loro, 3 miliardi di ore lavoro annue gratuite:  secondo l’Ue la riorganizzazione e la valorizzazione del settore dei servizi alla persona potrebbero creare 7 milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro. Una ristrutturazione del welfare sul modello francese, che l’Europa indica come l’eccellenza assoluta, trasformerebbe il settore dei servizi da costo per lo Stato in Pil aggiuntivo. La natalità aumenterebbe: contrariamente a quanto ci si ostina a credere, più le donne lavorano fuori casa, più figli fanno. Inoltre una massiccia femminilizzazione potrebbe innovare profondamente l’organizzazione del lavoro: le donne sono le più interessate a una flessibilità worker-friendly: part time, telelavoro, tempi elastici, coworking e così via. Secondo la School of Management del Politecnico di Milano, la diffusione di modelli di lavoro agile o smart working può portare alle imprese un beneficio di ben 37 miliardi l’anno tra riduzione dei costi di gestione e aumento di produttività, oltre a 4 miliardi di riduzione per trasporti e pranzi fuori, e alla riduzione di 1.5 milioni di tonnellate di inquinanti come il CO2 ogni anno. Altro effetto virtuoso.

Tutte ottime ragioni per posizionare l’occupazione femminile al centro di una efficace riforma del lavoro nel nostro Paese. Vedremo i dettagli del jobsact, ma non mi pare che questo stia capitando -tolto il giustissimo intento di estendere l’indennità e le tutele alla maternità oltre il “recinto” delle garantite, e qualche forma di incentivazione per le imprese che assumono donne-.

I famosi Pigs, dove la crisi morde di più, sono proprio quelli in cui gli stati delegano moltissimo alle donne, intese come welfare vivente. In quei Paesi, Italia compresa, l’occupazione femminile non cresce e la natalità nemmeno, si crea cioè una paralisi di sistema. Si dovrebbe ragionare su quanto questi modelli di non-welfare e non-occupazione femminile contribuiscono al rischio default.

Resiste invece un’idea del lavoro femminile come un di più, un lusso a cui dover rinunciare nei momenti di vacche magre.

Ma pensare ai lavoratori come lavoratrici sarebbe il cambiamento più formidabile.

economics, lavoro, Politica Febbraio 7, 2014

Matteo Renzi non sembra neanche più Matteo Renzi

Ieri Matteo Renzi in direzione Pd ha presentato il suo piano di riforme istituzionali: fine del bicameralismo perfetto, riforma del titolo V, oltre ovviamente alla legge elettorale (qui l’intervento).

Un anno fa, forse anche solo 6 mesi fa, una cosa come l’abolizione del Senato sarebbe stata una mossa ad effetto, in grado di ristabilire la minima per una ripresa di fiducia e di dialogo tra politica e cittadini. Ma oggi non basta più. Se alle riforme istituzionali non si accompagneranno immediate iniziative sul fronte economia e lavoro, la degenerazione civile accoppiata all’emergenza sociale, di cui stiamo vedendo solo i prodromi, produrrà tutti i suoi effetti distruttivi (non mi sentirei di dare torto a Goffredo Bettini).

Ieri in direzione clima rarefatto e surreale: il Nazareno, con la sua bellissima terrazza a elle, sempre più lontano dall’inferno che c’è fuori. La discussione sul #jobsact, il famoso piano sul lavoro, continua a essere rinviata. Calendarizzata per il 20 febbraio, è stata ulteriormente rimandata: il 20 si parlerà di che fare con il governo. Al segretario Renzi conviene portare il Paese al voto (mia opinione: conviene a tutti, per provare a ricominciare con un altro passo), ma si continua a fare melina.

A me conviene votare, ma all’Italia no“, ha twittato il segretario. Io penso che convenga anche all’Italia.

Matteo Renzi ieri non sembrava più nemmeno Matteo Renzi. Come se l’effetto Renzi non facesse più effetto neanche a lui.

I sondaggi di stamattina parlano chiaro: 45 per cento di astensione, M5S in recupero. Evidentemente turpiloqui e sessismi alla gente fanno solo il solletico. Il 2014 -altro che ripresine e ripresette- sarà l’anno più duro, e ce ne stamo già accorgendo tutti.

Sarà il Vaffa Year.

Per favore, donne e uomini della politica: parliamo di lavoro, lavoro, lavoro, lavoro, LAVORO!

Tutto il resto, la riforma del titolo V e così via: ottimo, facciamolo. Ma con la mano sinistra.

 

bambini, Donne e Uomini, economics, lavoro, pubblicità Gennaio 19, 2014

Prima madri e padri. Poi lavoratrici e lavoratori

Nell’attesa che si sciolga il nodo della legge elettorale, speriamo di liberarci dall’impiccio al più presto, vediamo quello che c’è subito dietro l’angolo. E scalpita, perché nessuno di noi può più permettersi di aspettare: la questione lavoro-welfare.

Qui c’è da fare e da dire moltissimo, e ognuno approccerà la cosa dal proprio punto di vista. Io non riesco che a partire dalla vita: dalle esistenze reali, dal cambiamento dell’idea del lavoro e del rapporto lavoro-vita, dalle soluzioni, dagli aggiustamenti e dalle invenzioni prodotte dalle persone reali, intuizioni che dovrebbero essere la materia prima politica con cui quell’altra politica può lavorare (quell’altra politica non inventa mai davvero nulla: quando è buona è perché sa cogliere ciò che sta capitando, rappresentarlo e facilitarlo).

Mi sembra interessante quello che è stato pensato da un gruppo di madri e padri che a Milano si sono incontrati per ragionare insieme e mettere in comune le proprie esperienze. E che tanto per cominciare si qualificano come “madri e padri” e non come lavoratrici-ori anche quando parlano di lavoro e welfare, privilegiando sempre (primum vivere) questo aspetto della loro identità, ciò che dà davvero un senso alla propria esistenza (vale anche per un numero sempre maggiore di uomini). Questa è la prima intuizione: rimettere le cose nel loro giusto ordine.

La seconda è l’assunzione che non solo il lavoro ma anche la percezione del lavoro sono profondamente cambiati: e infatti parlano di “nuovo lavoro“, tenendo in mente le/i venti-trentenni (le madri e i padri) che oggi hanno bisogno di un welfare che tenga presente, oltre alla minoranza dei dipendenti, la grande maggioranza di “autonomi, collaboratori, professionisti e partite Iva, madri a part time, padri con lavori intermittenti etc. etc.. Smantellando cioè un immaginario sul lavoratore che non ha più riscontri nella realtà e cambiando prima di tutto l’immaginario del cambiamento.

La proposta dell‘indennità di maternità universale prende le mosse di qui, da questi cambiamenti nel lavoro e dalla percezione del lavoro, e dall’idea che i figli e la cura non siano più una faccenda esclusiva delle donne: si parla infatti di un welfare per l'”universal caregiver, per chi presta lavoro di cura, preziosissimo e insostituibile, donna o uomo che sia.

Una terza intuizione (la proposta la trovate integralmente qui) è che il welfare non può essere inteso come un modello uguale per tutti, ma deve offrire “libertà di scelta in modo che ciascuna/o possa praticare le proprie “preferenze e strategie personali e familiari”, che cambiano da individua-o a individua-o e nelle varie fasi della vita.

Cerchiamo di non dimenticare mai la vita reale, anche quando parliamo di contratti e di servizi.

Donne e Uomini, economics, italia, lavoro, Politica Gennaio 10, 2014

#JobsAct: i lavoratori sono lavoratrici

Sorprendente che l’Europa, nella persona del commissario al lavoro Ue Laszlo Andor, promuova a tambur battente una bozza di riforma del lavoro – allo stato “un elenco di titoli”, come scrive Tito Boeri- formulata non dal governo di un Paese membro, ma dalla segreteria di un partito di quel Paese. Forse non è mai successo prima. Come se l’Europa preferisse dialogare direttamente con il prossimo titolare -non a quello del 2015, ma verosimilmente già del 2014- che entra in campo a gamba tesa, senza perdere tempo a cincischiare con un governo che, da Cancellieri a Saccomanni a Di Girolamo, fa acqua da tutte le parti.

Insomma, tra la calendarizzazione del dibattito sulla legge elettorale -il 27 gennaio- e l’approvazione Ue, quella di ieri per Matteo Renzi è stata una gran giornata. Sul Jobs Act per ora il dibattito è cauto. La segreteria Pd (in particolare Marianna Madia e Filippo Taddei) è al lavoro sui dettagli, che non sono roba da poco: tipo da dove trarre le risorse per il sussidio universale, che costerebbe dai 20 ai 30 miliardi, nonché per la diminuzione dell’Irap, o come diventare appealing per gli investitori stranieri, che girano al largo per gli alti costi dell’energia, l’eccesso di burocrazia e la giustizia che non funziona.

Ma qualcosa, da non-economista, mi sentirei di dirla, se può servire: sarebbe un’ottima cosa se al centro dell’attenzione riformatrice, anzichè un lavoratore maschio pensato come universale neutro, ci mettessimo una donna, vera grande novità del mondo del lavoro nell’ultimo mezzo secolo. Se poi ci mettessimo come soggetto la coppia madre-bambino/a -la maternità oggi è il primo tra i “diritti negati”- faremmo bingo, e a vantaggio anche delle non-madri e dei maschi.

Sarebbe un criterio metodologico ottimo per tutti. Non che il binomio donne-lavoro sia nuovo: a essere precisi, fino dalla notte dei tempi il lavoro è femminile tout court. La maggior parte di ore-lavoro nel mondo sono sempre state erogate da donne. Insomma, di lavoro le donne se ne intendono più di tutti, ne hanno grande competenza, e oggi questa competenza è molto utile. La novità dell’ultimo mezzo secolo semmai è l’accesso massiccio delle donne al lavoro retribuito: una presenza che ha cambiato e sta cambiando il senso e l’organizzazione del lavoro. Provare a pensare i lavoratori come lavoratrici quindi può dare buone indicazioni per tutti.

Se Matteo Renzi tenesse in mente “Francesca”, a cui si era rivolto durante il dibattito-primarie su Sky per promettergli più asili nido, non sarebbe una cattiva cosa. E Francesca avrebbe da dirgli essenzialmente questo:

Primum Vivere. Partire dalle vite reali per parlare di lavoro. La vita non può più essere intesa come quel poco tempo che resta una volta che sei uscita/o dall’ultima riunione indetta dal capufficio alle 19, che sei corsa/o al super per prendere 6 uova, dalla nonna a raccattare i bambini e via dicendo. Qualità e condizioni di lavoro incidono quanto le garanzie. C’è una flessibilità “buona” a cui non si vuole rinunciare. La riduzione della separazione tra lavoro e vita è la principale domanda che le donne stanno ponendo al mondo del lavoro, per sé e anche per gli uomini. Ben prima del posto fisso, in cima alle aspirazioni c’è una vita degna e non alienata, che comporta la possibilità e probabilmente anche il desiderio di muoversi tra un lavoro e l’altro, tra un posto e l’altro, godendo di adeguata protezione sociale.

Da questa idea femminilizzata del lavoro -e anche dal desiderio di prossimità dei nuovi padri– discende una diversa concezione del welfare e dei servizi, che non possono più essere intesi in modo rigido e fordista -otto ore di nido o nulla- ma chiedono il massimo di flessibilità e di modularità, fino alla personalizzazione. La riduzione del numero dei contratti, insomma, non può coincidere con la riduzione della vita a un modello unico. Flessibilità, smartwork, postazioni in remoto, contributi per uffici condivisi e coworking: tutto questo diminuirebbe anche la quota di servizi necessari, oltre a produrre altri effetti virtuosi, e contribuirebbe alla salute pubblica e alla natalità.

Contribuisco in questo modo alla discussione in corso, anch’io limitandomi per ora a enumerare qualche titolo.

Prevengo l’obiezione scontata-conosco i miei polli-: ma come? tutti questi capricci e queste sofisticherie proprio adesso che c’è la crisi? non ci si dovrebbe accontentare di poter lavorare e sbarcare il lunario, altro che smartwork? Io dico che non c’è mai stato momento migliore per discutere a fondo di lavoro, e non solo di contratti. Prima il pane e poi le rose, prima il quantum e poi il qualis: questi sono solo trompe l’oeil.

Si tratta, come dice l’americana Rebecca Solnit, di cambiare anche l’immaginario del cambiamento.