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Corpo-anima, Donne e Uomini, media Giugno 14, 2012

Femministe amoraliste

Secondo loro io sarei una cosiddetta “moralite”: una di quelle che non vorrebbero vedere il magnifico sedere di Belen in primetime, una di quelle che preferirebbero evitare che “Kooly Noody” diventasse la nuova sigla del tg.

Per questo le femministe amoraliste e i loro entusiasti supporter non ci amano, noi moralite. Dicono che boicottiamo il godimento. Talora trascendono un po’ e dicono che siamo cesse e invidiose, tipo le comari di “Bocca di rosa”.

Invece loro godono e godono. E lo dicono e lo scrivono, paventando che il femminismo bacchettone delle “moralite” ci riporterà indietro, a ri-essere donnine che esultano per il bianco-più-bianco e per la sfoglia-più-sfoglia. E’ infatti arcinota la casalinghitudine delle scandinave, che se un uomo per strada gli dice “Hey, bella!” chiamano l’esercito.

Ora avrei una notizia: anche noi “moralite” ce la spassiamo -o ce la siamo spassata, qui dipende dall’anagrafe e dal livello di estrogeni-. Almeno alcune di noi non sono affatto male, o lo sono state, le occasioni non sono mancate. E forse è proprio per il fatto che ce la spassiamo o ce la siamo spassata, che non ci viene poi tutta questa voglia di vedere sesso mentre diamo la pappa ai bambini e di dire e parlare di sesso. A riprova della nota legge “meno lo fai e più ne parli”. O anche a conferma dell‘intuizione di Foucault, secondo il quale non esiste la sessualità, esistono i corpi e i piaceri, i quali non richiedono necessariamente di essere detti. Ogni parola detta sul sesso è norma sul sesso.

Magari quello che ci fa soffrire è che lo splendore del corpo della madre (quella ragazza che è stata nostra madre, e che siamo state noi, o siamo noi) venga umiliato per ragioni di audience, ovvero per  vendere cose, e perciò ridotto a cosa.

Devo poi dire che tra l’originale e la copia tendo a preferire l’originale. E mi attacco al midollo di alcune leonesse, come Roberta (Tatafiore), o anche Catherine Millet, che quanto meno non hanno mai fatto mistero di quanto Thànatos ti arriva addosso ogni volta che fai troppo la spiritosa con Eros.

 

 

 

 

Corpo-anima, Donne e Uomini, esperienze Dicembre 20, 2010

TORNARE A RIVEDER LE STELLE

Ancora sul desiderio, che struttura l’umano, e di cui il rapporto Censis ha decretato la scomparsa. Come si fa a farlo tornare? Ne conversavo stamattina con una collega del periodico Tracce. Come si fa  ritrovare questa postura di slancio, dalla terra al cielo, dalla nostra finitezza verso l’infinità delle stelle (de-sidera)? La domanda non è filosofica. Chiunque abbia un figlio adolescente se la pone: perché non desidera?

Premessa del desiderio è il sentimento della carenza. E’ da quel buco dell’io che il desiderio passa, strutturandoci come uno scheletro di luce. La carenza nasce dalla castrazione. E’ il differimento del godimento, che traccia una distanza tra me e l’oggetto. E’ l’allontanamento a opera di un terzo dal corpo della madre. Voglio dire questo: è semplicistico dire che non desideriamo nulla, che veniamo invasi da un enorme vuoto perché abbiamo troppe cose. Questa del consumismo è già una conseguenza. Ci sono ragazzini per niente consumisti e totalmente non desideranti. Le cose decisive capitano ben prima. La disponibilità immediata di cose è segno di qualcos’altro.

Questo qualcosa è la fine del patriarcato. E’ l’eclissi della figura del padre così come l’abbiamo conosciuta, di colui che ci allontanava dolorosamente dall’oggetto e ci indicava la strada faticosa verso le stelle, che per primo scavava in noi il buco della carenza attorno al quale avremmo edificato la nostra personalità umana.

Quando dico che questa assenza di desiderio non può essere letta a prescindere da ciò che è capitato e capita tra i sessi, sto dicendo anche questo, e non solo che le donne desiderano e gli uomini no. E dico che si affacciano alla storia generazioni strutturate sul non-desiderio, che non si struggono per l’oggetto -la madre- ma probabilmente vagheggiano chi dalla madre li separi violentemente: il padre, possibilmente con bastone. Che nella storia assume le sembianze del dittatore.