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ambiente, economics, Politica Gennaio 20, 2014

Liguria che muore: colpa dei liguri o della politica?

 

il treno deragliato nel levante ligure

Guardo con disperazione la Liguria franare in mare, e mi infurio con la politica di destra e di sinistra (moltissimo di sinistra) che ha sfruttato quel territorio fragile e meraviglioso fino a farne fondi di caffè: concessioni di edificabilità su terreni friabili e sulle rive dei fiumi, ville, villette, porti e porticcioli (che deviano le correnti marine), visto i posti barca sono una miniera d’oro, incuria assoluta, enti parco affidati a funzionari di partito totalmente incompetenti e interessati molto più alle prebende che ai parchi, progetti assurdi e faraonici che sono ancora lì sulle scrivanie dei sindaci, molti dei quali non si arrendono neanche di fronte ai morti e continuano a chiamare “sviluppo” la distruzione di ciò che resta, in cambio di oneri di urbanizzazione  e di  tutto il resto: in una parola, palanchi.

Mi lamento su Facebook, e uno commenta: “basta dare la colpa ai politici, la colpa è dei liguri”.

Intanto parlare di “liguri” ha poco senso: ci sono liguri speculatori e liguri perbene. Allora cerchiamo di essere più precisi: la colpa, semmai, è di una parte dei liguri che hanno svenduto il proprio ambito territorio agli odiati foresti, hanno pagato mazzette per ottenere l’edificabilità, hanno commesso abusi edilizi, hanno disboscato selvaggiamente, insomma hanno scelto il tutto-e-subito, poi se domani ti cade in testa una collina vedremo.

I liguri sono anche quel popolo che ha saputo tenerlo su per secoli, quel territorio naturalmente pericolante, lavorandolo pazientemente, fornendogli l’esoscheletro dei muri a secco, oltre che preservando lo scheletro naturale delle piante con le loro radici. Poi, quando i soldi sono diventata l’unica misura per tutti, i contadini hanno abbandonato le terre, e tanti liguri i propri valori antichi.

Ma ammettiamo anche che quell’amico FB abbia ragione, che le colpe prevalenti siano “dei liguri”. I quali, magari, non hanno fatto diversamente dai veneti e dai lucani, solo che il loro territorio è più fragile e più desiderato.

Ebbene, questo non solleva la politica dalle sue gravi colpe. Riconducibili essenzialmente a una: aderire del tutto alla logica dei palanchi, rappresentarla pienamente, sprezzare ogni tentativo di salvaguardia ambientale, abdicare–mi viene da ridere- da ogni compito pedagogico nei confronti della popolazione, che in nessun modo è stata scoraggiata nei suoi intenti speculativi. Anzi: dove c’è stato da mangiare si è mangiato.

E allora: è colpa dei liguri o della politica?

E’ un bel po’ che lo dico a Claudio Burlando, presidente Pd di Regione Liguria: è ora di cambiare musica.

Perché se andiamo avanti così presto non ci sarà più una Liguria, né una musica da suonare.

Archivio Maggio 29, 2007

UNA SIGARETTA, AMORE?

A Venezia per lavoro. La sera a cena in bacaro del sestiere Cannaregio. Una volta, al ristorante da sola mi imbarazzavo. Ingurgitavo in fretta e furia per scappare via. E diverso, adesso. Gnocchetti di zucca e filetto di orata, e un po di vino rosso, pieno di ottimi polifenoli e di buoni pensieri che chiedono di essere pensati. Li accolgo, li lascio scorrere liberi nella mente e nel cuore. E una ragazza bruna e sorridente a servirmi. Porta con molta grazia la sua opulenza. Viene da Israele: Venezia è ancora molto cosmopolita. Agli altri tavoli, tedeschi e italiani. Accanto ho una coppia di francesi che non mi degna di uno sguardo. Non sono troppo empatici, i francesi. Ma se come dice Etty Hillesum, morta ad Auschwitz, basta un tedesco decente per non sentirsi più in diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero , questo varrà a maggior ragione per l antipatia dei francesi: ne basterebbe uno simpatico. Certo non è il caso di questi due.
Due veneziani che ho di fronte, invece, mi fanno ciao con la mano e brindano ostentatamente alla mia salute. Ti vol una sigareta, amore? , mi dice uno dei due (a Venezia tutti si chiamano amore, con quella erre scivolosa come l acqua di laguna). Anche la ragazza israeliana cerca farmi sentire meno sola. Mi chiede da dove vengo, se l orata mi è piaciuta. E sì che di foresti dovrebbe averne abbastanza.
Mi danno, pensando che questo bene prezioso, la relazione, potrebbe andare perduto. Che questa ricchezza d Italie, il talento della relazione, potrebbe deteriorarsi proprio mentre ne abbiamo tutti sempre più bisogno. Come si fa a salvarla? Da che parte si comincia? Intanto sorrido unilateralmente ai francesi. E alla ragazza di Israele chiedo quante lingue parla. Arabo, ebraico e italiano , mi dice. Brava, tesoro , le rispondo, facendo brillare gli occhi.
(pubblicato su “Io donna”-“Corriere della Sera”)