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flavia perina

Donne e Uomini, Femminismo, Politica, questione maschile Febbraio 4, 2014

Cosa farebbe l’Onorevole Angelina? Lettera di una donna di destra alle amiche di sinistra

Ricevo e pubblico una “lettera alle amiche del Pd” da Flavia Perina, ex-direttora del Secolo d’Italia ed ex-parlamentare di Fli

 

Carissime, fra qualche giorno discuterete, insieme agli altri, gli emendamenti alla legge elettorale che riguardano la parità di genere. Ci arriverete sull’onda di una domanda inespressa, ma ben presente all’opinione pubblica:

come è possibile sostenere ancora il legame tra rappresentanza femminile e rinnovamento politico dopo il caso Cancellieri, dopo il caso De Girolamo, dopo la Polverini, dopo la Lorenzetti, dopo la signora Mastrapasqua con i suoi Cda? E non avete il timore che le vostre rivendicazioni abbiano il suono della “solita lagna” dopo il caso Moretti, dopo il caso Boldrini, dopo che insomma le donne in politica si sono fatte trascinare di nuovo nel clichè delle povere vittime, bistrattate, insultate e bisognose di scudi maschili?

Lo scrivo qui perché ho preso parte un paio di anni fa, insieme a voi, al sussulto movimentista di “Se non ora quando”, che ben altre cose prometteva. Di certo, non i mancamenti per la battuta da caserma di un poveretto (o di mille poveretti, se è per questo). Mi piacerebbe che affrontaste il problema, voi che siete tante e politicamente attrezzate per farlo, invece che eluderlo consegnandovi alla sciatteria rappresentativa dei talk show. Per esempio, si potrebbe cominciare a dire che le signore che hanno scandalizzato l’Italia in questi mesi sono il prodotto di vent’anni di selezione ancillare delle donne in politica e che l’unico antidoto all’idea che parlamentari e ministre siano le badanti di interessi maschili è aumentarne il numero, spalancare i cancelli, offrire davvero pari opportunità e uscire dalla logica della minoranza tutelata che avvantaggia le più carine e le più supine. Nel resto d’Europa ha funzionato.

In second’ordine si dovrebbe iniziare a riflettere sul circolo vizioso vittima-carnefice che gli ultimi eventi rischiano di incardinare nell’immaginario politico nazionale quando si parla di donne. Non è argomento secondario. E trovo davvero strano che il mondo della sinistra, che ha fatto la storia dell’emancipazione, sia caduto nella trappola della vittimizzazione di sé, del «guardate-cosa-ci-dicono» allineandosi al clichè lamentoso delle ragazze di Berlusconi: quelle che «non trovano più un fidanzato perché le trattano da prostitute», quelle che «le insultano dai palchi».

I commentatori del centrodestra, giustamente, gioiscono: chi la fa l’aspetti, si dicono, e magari non hanno neppure torto. Ma non si potrebbe trovare un altro modo, che non suoni lamentoso, di rispondere all’incarognimento misogino di un pezzetto di Paese? Non vi accorgete che la denuncia in forma di lagnetta ci riporta indietro, a una visione di stereotipata debolezza delle donne nello spazio pubblico? E che non serve a niente, anzi provoca una escalation di aggressività intollerante e cialtrona?

Nella nostra vicenda nazionale non mancano i modelli, e persino le icone che potrebbero essere da guida in questo passaggio e suggerire modalità alternative. Senza scomodare la politica e la storia, basta immaginarsi l’Anna Magnani dell’Onorevole Angelina. Ispirarsi a lei più che alle signorine dei Telefoni Bianchi non sarebbe sbagliato e rimetterebbe al posto loro molti idioti.

esperienze, Politica Novembre 4, 2013

Politica-Bostik: incollati alla poltrona

 

Flavia Perina la chiama “nevrosi del parlamentare”. Lei che parlamentare lo è stata, e dalle ultime elezioni non lo è più a causa dell’evaporazione del suo partito (Fli), si è riassestata nella sua vita: fa la giornalista free lance, è alquanto tosta e continua ad amare e seguire la politica. Ma ha visto da vicino la sindrome di chi, eletto nelle istituzioni, vive nel terrore di perdere la poltrona, per dirla in modo pop. Terrore che oggi ha raggiunto i livelli di guardia e dal quale la politica è fortemente condizionata: quello che conta è che il governo duri il più a lungo possibile per evitare di andare a nuove elezioni, con il rischio di non venire ricandidati. Una quota considerevole di parlamentari che rinuncia alla propria autonomia di giudizio e a rappresentare il suo elettorato per evitare di indispettire la nomenclatura di partito, che potrebbe decidere di non ricandidarli. Le ragioni personali pesano sempre e ovunque. Ma nella politica di oggi sembrano pesare ben oltre il livello fisiologico: la rappresentanza democratica coincide sempre più strettamente con la rappresentazione del proprio utile.

“Il fatto è che ormai nei partiti è una roulette russa” dice Perina. “Nel Pd molti veterani non potranno godere di ulteriori deroghe, e poi ci sono i miracolati delle primarie di Capodanno, entrati con una manciata di voti, che rischiano di tornaresene per sempre a casa. Nel Pdl, il “padrone” che, come se gestisse una sua azienda, potrebbe decidere di nominare una qualunque soubrette al posto tuo, senza doverti alcuna spiegazione. Il terrore di non rientrare è trasversale alle larghe intese. E colpisce anche il Movimento 5 Stelle”.

Anche se questo fa in qualche modo parte del patto a 5 stelle: negli incarichi si ruota, sai che potresti durare giusto una legislatura…

“Sì. Ma anche per loro la carne è debole. Anche qui pesa l’istinto di autoconservazione. Sai che sei entrato con un consenso occasionale e contingente. Che non ci sarà il secondo giro e che non diventerai mai un professionista della politica”.

E questo è un male? Per loro sì, certo: ma per noi?

“Be’, alcuni cominciano a “studiare” da ragazzini per fare questa carriera: prima consiglieri di zona, poi in comune, poi tenti il salto regionale e nazionale. Una costruzione faticosa”.

Come per una carriera professionale. Salvo che poi in questo modo vengono eletti quelli che hanno “timbrato”, i padroncini delle tessere, piccoli funzionari, burocrati. E mai i talenti che magari non hanno frequentato circoli e sezioni, ma che servirebbero davvero al Paese. Raro che i due profili coincidano.

Qui c’entra la crisi dei partiti. Una volta c’era una forte attività di scouting nel senso nobile del termine: per riequilibrare l’eccesso di nomine interne e per evitare un andamento asfittico si cooptavano esterni talentuosi. Intellettuali, professionisti, imprenditori che portavano la loro visione e il loro valore aggiunto, e magari anche la scomodità di un po’ di eresia e di anticonformismo, che al partito facevano bene. Poi è intervenuto un mutamento genetico profondo, connesso al racconto berlusconiano-televisivo: pochi esterni e tutti mediatici, a destra come a sinistra. Per lo più gente passata in tv: le veline candidate in Europa, previo corso accelerato di politica, ma anche figure come quelle della sportiva Valentina Vezzali, deputata di Scelta Civica. La quale, mi dicono, alla Camera si vede molto poco…”.

Tornando al tema, un Parlamento in cui le logiche autoconservative sono prevalenti: che soluzioni vedi?

“Una legge elettorale basata su piccoli collegi e con doppio turno, sul modello della legge per i sindaci. Questo obbliga i partiti a candidare gente presentabile, con una biografia riconosciuta dalla comunità locale, bypassando le logiche mediatiche. Si tratta di rivalutare le reputazioni. Così oltretutto si potrebbe anche ridurre la nevrosi del parlamentare: se lavori bene, la tua comunità ti riconfermerà e un secondo giro lo farai”.

E stabilire un limite del numero di mandati? E magari pure degli emolumenti?

“Il limite dei mandati potrebbe anche essere un aiuto psicologico: sai che in ogni caso dopo il secondo vai a casa, e sei più libero. Quanto agli stipendi, sono meno d’accordo”.

Ricordaci quanto porta a casa un parlamentare.

9-10 mila euro netti. Lavoro ben pagato, certo. Ma se lo fai bene è molto impegnativo e comporta spese cospicue. E se guadagni abbastanza puoi permetterti di dedicarti solo a quello, evitando conflitti di interesse”.

Da europarlamentare Alex Langer non volle una lira in più rispetto al suo stipendio di insegnante.

“Scelta nobilissima. A Roma gli assessori prendono 2500 euro. Ma quale professionista di valore si sentirebbe di rinunciare ai suoi introiti e di mettere in discussione la sua reputazione per meno di quella cifra? Mentre per uno che per esempio fa l’impegato e prende 2000 euro il salto è enorme: proprio questa tipologia di parlamentari è la più soggetta a tentazioni, disponibile a ogni compromesso e salto della quaglia in cambio di una garanzia di permanenza”.

Ma perché questa “addiction”? Perché non essere rieletti è talmente devastante? Ci sono molte cose da fare a questo mondo. Anche la politica, da non eletti.

“La droga dello stare in quei posti è lo status. Una cosa che può dare alla testa, specie se sei un neofita. Il 90 per cento dei parlamentari non vive nelle metropoli, non sta a Milano o a Roma, vive in piccole realtà. Ti chiamano onorevole, ti senti un principe. Ho visto neo-eletti rifarsi daccapo il guardaroba. E’ una nuova nascita nella casta”.

Fuoruscirne, quindi, è una pre-morte… Tu però sei ancora viva, mi pare.

“Dirigevo un giornale. Non ho perso solo il posto da parlamentare, ho perso anche quella direzione per volontà di Berlusconi, e la perdita più grande è stata questa. Ma continuo a seguire la politica e a farla, da un’altra posizione. Dicevo che è più che altro una questione di status, perché poi il potere del parlamentare è pressoché nullo. Sia il Pd sia il Pdl hanno rinunciato da tempo all’idea di vincere. L’idea definitivamente introiettata è quella di una politica che gestisca consociativamente gli interessi. Qualcuno l’ha chiamata la politica del Gps, ovvero del posizionamento: non sei lì per la polis, per portare temi, per rappresentare i cittadini. Il gioco è tutto interno, stretto sulle alleanze e sugli accomodamenti tra schieramenti. Il consociativismo al suo massimo livello“.

 

 

Donne e Uomini, Politica, TEMPI MODERNI Ottobre 1, 2011

Il doppio sguardo che ci salverà

Come dicevamo ieri, in esclusiva per Io donna Added Value ha sondato gli umori e le opinioni di italiane e italiani sul tema della rappresentanza femminile, intervistando un campione rappresentativo di 1000 cittadine/i. Rivelando a sorpresa un Paese prontissimo alla svolta “naturale” rappresentata da un massiccio ingresso delle donne nelle istituzioni rappresentative, determinato a sostenere una “massa critica” femminile che possa cambiare tempi, modi e agende della politica.

Un Paese ben più pronto della sua classe politica, che invece resiste strenuamente al “turn over”:  50/50, appunto: questa è la strada indicata dalla maggioranza degli intervistati, uomini e donne, sul modello di alcune nuove giunte. Oltre a quella di Giuliano Pisapia, la giunta Zedda a Cagliari (dove siamo addirittura a 6 donne su 10) e la giunta Fassino a Torino, appena sotto il 50. Non quote, quindi, ma una proporzione “naturale” che indica l’auspicio di un doppio sguardo sul bene comune, e il desiderio che la differenza femminile si eserciti a beneficio di tutti anche nei luoghi della politica.

Raccoglie invece pochi consensi l’idea di percentuali inferiori, il 30 o il 40, intese come riserve dedicate a una “minoranza” che poi minoranza non è affatto.

Gli italiani, uomini compresi, si fidano a tal punto delle donne che sarebbero anche entusiasticamente pronti alla “super-alternativa” costituita da una premier.

Ma vediamo il sondaggio nel dettaglio.

I gravi problemi del nostro Paese non dipenderanno anche dal fatto che nelle stanze dei bottoni ci sono poche donne? E’ così per la maggioranza degli intervistati: “abbastanza” (43 per cento) o addirittura “molto” (14 per cento). Solo il 9 per cento ritiene che non vi sia relazione tra le due circostanze.

Le donne saprebbero governare come gli uomini secondo il 61 per cento del campione, o addirittura meglio (29 per cento: percentuale che sale al 43 tra le intervistate).

Che cosa ostacola, allora, la rappresentanza femminile? Il maschilismo dei partiti secondo il 42 per cento, mentre il 30 per cento segnala il peso degli impegni familiari sulle donne. Ma incidono anche la sfiducia nella politica (15 per cento) e il disinteresse al potere (11 per cento).

Che le donne non abbiano accesso alla politica è un vero guaio, perché tutti, maschi e femmine, sono convinti che saprebbero portarvi attenzione alle problematiche familiari (76 per cento), un maggiore di responsabilità (68 per cento), un legame più forte con la vita reale (65 per cento). E ancora: impegno e determinazione, uno sguardo diverso sul mondo, concretezza, minore propensione al rischio, affidabilità e onestà.

Vale per donne di centrodestra quanto per quelle di centrosinistra: solo il 30 per cento ritiene che vi siano significative differenze, mentre quasi 9 intervistati su 10, evidentemente stanchi di risse e contrapposizioni frontali, pensano che almeno su alcuni temi le elette dovrebbero collaborare trasversalmente, come qualche volta è già capitato.

E veniamo al 50/50: alla domanda “lei sarebbe favorevole o contrario all’applicazione di questo principio all’interno degli organismi politici e istituzionali, elettivi e no?”, quasi 8 italiani su dieci (percentuale che sale a 9 tra le intervistate), si dichiara d’accordo. Lo straordinario consenso si alza ulteriormente fra gli under 35.

50/50 è la proporzione giusta, esattamente quella della vita, mentre solo 18 intervistati su cento preferirebbero “quote” del 30 o del 40.

Ampia e generale approvazione anche per un’azione positiva già in atto, quella che introduce il 30 per cento di donne nei board delle società quotate in borsa: norma bipartisan approvata di recente e che piace al 76 per cento degli intervistati. Giusto un po’ meno agli uomini, che comunque si esprimono largamente a favore (67 per cento): un ulteriore segno di fiducia nella competenza femminile.

Ma se si votasse oggi, e se una nuova legge elettorale consentisse di esprimere la propria preferenza anche alle elezioni politiche, quanti voterebbero donna?

Quasi la metà del campione (47 per cento: percentuale che sale ben al 67 per cento tra le donne). Mentre solo il 18 per cento dichiara che sceglierebbe un uomo, contro un cospicuo 35 per cento che al momento non sa. Pronti a indicare un nome femminile soprattutto i/le più giovani.

Ma il dato più significativo è che quasi 7 cittadine su 10 oggi risponderebbero positivamente a una campagna “vota donna”. In passato non ha funzionato come si sperava: ma l’impegno politico delle donne, testimoniato anche dalle piazze del 13 febbraio, oggi probabilmente si esprimerebbe anche nelle urne. Ragione in più per buttare a mare il tremendo Porcellum e per restituire alle elettrici e agli elettori il diritto, usurpato dai partiti, a scegliere da chi vogliono essere rappresentati.

E da chi? Da donne dei partiti o della società civile? Meglio professioniste della politica o outsider?  Le elettrici si dividono equamente (45 e 43 per cento), mentre gli uomini si sentono meglio garantiti dalle già-politiche. Preferibilmente quaranta-cinquantenni: è questa l’età, quella della maturità e dell’esperienza -non quella del sex-appeal- ritenuta più giusta da 7 intervistati su 10. Che in percentuale ancora più alta (83 per cento, 93 tra le donne) vedrebbero con favore, e finalmente, una premier: alternativa chiara, apprezzata soprattutto dai giovani adulti. Nel caso, chi? Qui si registra un certo smarrimento.

Ben 7 su 10 non indicano nessuna, come se non sapessero molto delle nostre politiche, o fossero in attesa di un volto nuovo. Qualche rara indicazione solo per Anna Finocchiaro del Pd (8 per cento), per la radicale Emma Bonino e per la presidente del Pd Rosy Bindi, (entrambe 5 per cento), inseguite dalla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, dalla Ministra per le Pari Opportunità Mara Carfagna e da Daniela Santanché del Pdl (tutte al 2 per cento). Anna Finocchiaro, seguita da Bindi e Bonino, risulta anche in assoluto la politica più ammirata (dal 15 per cento), prima di Rosy Bindi ed Emma Bonino alla pari (8 per cento).

Italiane e italiani sembrano percepire meglio il protagonismo politico delle “straniere”: la premier tedesca Angela Merkel (40 per cento), la Segretaria di Stato americana Hillary Clinton (31 per cento) e la leader birmana Aung San Suu Kyi (12): forse, fra tutte, la portatrice di una più forte “differenza”.

 

Alla giornalista Ritanna Armeni e alla sua collega parlamentare Fli Flavia Perina abbiamo chiesto di commentare i i risultati del sondaggio

             

 

 

 

 

 

 

 

Ritanna Armeni      Mi pare che dal sondaggio emerga una forte spinta neo-emancipazionista. Come a dire: sappiamo che la differenza femminile esiste, ora vogliamo finalmente vederla in azione. La cosa interessante è che 7 uomini su 10, una netta maggioranza, si dichiarano favorevoli a una premier donna e al 50/50. Un entusiasmo sostanzialmente pari a quello femminile. E’ una cosa che colpisce molto. Significa che le capacità e le competenze femminili non sono più in discussione, che il Paese è davvero cambiato nel profondo. Sono solo gli uomini della politica a non voler cambiare. La casta è in assoluta difensiva. Si difendono posti, logiche, linguaggio, e un massiccio ingresso delle donne costituirebbe una formidabile minaccia. C’è anche un’incultura che impedisce di leggere la realtà e i cambiamenti già avvenuti e registrati dalla società. L’altra cosa che noto è l’apprezzamento per la saggezza e l’autorevolezza femminile: quelle che gli intervistati, uomini e donne, vorrebbero in politica sono le quaranta-cinquantenni, nel pieno della maturità. Di Anna Finocchiaro, che raccoglie il maggior numero di consensi, sono apprezzate la compostezza e quel tratto di autorità che si sposa a una bellezza sobria, con i capelli grigi. Un antimodello rispetto a quelli correnti. Insomma: il tema della rappresentanza femminile è all’ordine del giorno, è la vera leva del cambiamento, e non può più essere eluso. Il sondaggio lo evidenzia con percentuali molto alte, che non lasciano dubbi.

Flavia Perina       Mi ha molto colpito la laconicità delle risposte alla domanda sulle donne politiche nazionali: ben il 61 per cento dichiara di non averne in mente una in particolare. Come se non conoscessero la nostra rappresentanza femminile. Eppure donne come Rosy Bindi, Mara Carfagna e Daniela Santanché godono di una notevole visibilità. Ma è come se non se ne percepisse il profilo politico, come se si pensasse che sono poco incisive, scarsamente rilevanti. Che contano poco, insomma. C’è una notevole discrasia tra il fatto che l’83 per cento degli intervistati si dice favorevole a un premier donna, evidentemente percepita come l’alternativa assoluta all’attuale premiership, e l’incapacità di darle un volto. Io credo che a fronte di una domanda così forte di protagonismo politico femminile i partiti sbaglino a non investire sulle donne. E poi: alla domanda se si preferirebbe votare una donna già in politica o una rappresentante della società civile, vince di misura la politica. Parlando di uomini, forse la risposta non sarebbe stata la stessa. Insomma, è come se le donne politiche fossero percepite come fuori dalla casta, immuni dal contagio, e di loro ci si potesse ancora fidare. E infine, altro dato interessante: tra le donne di centrodestra e di centrosinistra non vengono percepite differenze sostanziali. Evidentemente l’appartenere all’uno o all’altro degli schieramenti è ritenuto secondario rispetto all’essere donne, e alla possibilità di trovare un’intesa su temi e priorità.   

 

 

 

Donne e Uomini, Politica Settembre 30, 2011

Tutti pronti per una premier e per il 50/50 (uomini compresi)

Domani su Io donna:

Added Value ha sondato gli umori e le opinioni di italiane e italiani intervistando un campione rappresentativo di 1000 cittadine/i. E rivelando a sorpresa un Paese prontissimo alla svolta “naturale” rappresentata da un massiccio ingresso delle donne nelle istituzioni rappresentative, determinato a sostenere una “massa critica” femminile che possa cambiare tempi, modi e agende della politica.

Un Paese ben più pronto della sua classe politica, che invece resiste strenuamente al “turn over”: è del luglio scorso la sentenza del Tar che ha obbligato il sindaco di Roma Alemanno, con la sua squadra tutti-maschi-tranne-una, ad aumentare il numero delle assessore. E se per il comune di Milano la promessa del 50/50 è stata mantenuta, nella giunta presieduta da Roberto Formigoni -la Lombardia delle prime emancipate, delle mille imprese femminili- siamo una a 15.

50/50, appunto: questa è la strada indicata dalla maggioranza degli intervistati, uomini e donne, (8 su 10) sul modello di alcune nuove giunte. Oltre a quella di Giuliano Pisapia, la giunta Zedda a Cagliari (dove siamo addirittura a 6 donne su 10) e la giunta Fassino a Torino, appena sotto il 50. Non quote, quindi, ma una proporzione “naturale” che indica l’auspicio di un doppio sguardo sul bene comune, e il desiderio che la differenza femminile si eserciti a beneficio di tutti anche nei luoghi della politica.

Raccoglie invece pochi consensi l’idea di percentuali inferiori, il 30 o il 40, intese come riserve dedicate a una “minoranza” che poi minoranza non è affatto.

8 italiani su 10, uomini compresi, si fidano a tal punto delle donne che sarebbero anche entusiasticamente pronti alla “super-alternativa” costituita da una premier.

Domani i dettagli, con i commenti di Ritanna Armeni e Flavia Perina.

Donne e Uomini, Politica Febbraio 23, 2011

LE ROMPIC….NI

barbara ciabò

Ce lo ricordava pochi giorni fa Luisa Muraro, in caso ce lo fossimo scordate: le donne reali con corrispondono agli ideali di nessuno. Anche le donne libere, aggiungo io.

Barbara Ciabò, consigliera Fli milanese che a Milano presiede la Commissione casa, e che con la sua tignosa richiesta di trasparenza ha scatenato Affittopoli, non ha poi tutti questi fan tra i suoi colleghi.

Flavia Perina, intelligente, coraggiosa e aperta direttora del Secolo d’Italia, è messa alle spalle al muro dagli ex An fedeli a Berlusconi che la vogliono sostituire.

E anche sull’imbarazzante vicenda di Giuliano Pisapia, candidato sindaco per il centro sinistra a Milano inciampato a sua volta in Affittopoli, che una voglia capire fino in fondo non è affatto apprezzato. Taci, vai avanti, non rompere i c…

Fedeltà, non libertà. Questo sì che è molto apprezzato in una donna.

flavia perina

Donne e Uomini, Politica Settembre 25, 2010

COMPARSE SCOMPARSE

Può essere che neanche ci fai caso. Hai tanto da fare e disfare, sei talmente presa dalla vita, che la cosa può anche lasciarti indifferente. Nel mondo-duplex della rappresentazione pubblica tu proprio non esisti. Ci sono le Gheddafi girls: 80 euro e ti sventolo il libretto verde, qualcosina in più e mi islamizzo del tutto. C’è il “vespaio” sul décolleté delle scrittrici e la corona turrita di Miss Italia. Ma di te, la metà abbondante del paese reale, dal biberon alla womenomics, ben poche tracce.

Poi, quando il gioco della politica si fa duro, scompaiono anche le onorevoli, per ricomparire in qualità di amanti o cheerleader dei maschi-alfa. C’è una crisi, quella politica, dentro la crisi più grande, quella economica. Ma il punto di vista delle signore del governo e dell’opposizione interessa poco o niente. Apprendiamo che la prostituzione è la via maestra alla partecipazione, e che il corpo è “legittimamente” usabile per fare carriera anche a Montecitorio: autorizzazione dell’on. Giorgio Stracquadanio. Le signore sono interpellate solo su questi temi edificanti. Su tutto il resto, desaparecide.

Può essere, dicevamo, che una non abbia neanche il tempo e la voglia di indignarsi. Come Lucia Castellano, straordinaria direttrice del carcere di Bollate (vedi il suo “Diritti e castighi”, Il Saggiatore), professionista talmente capace che prima di evadere un detenuto gli ha scritto un biglietto, scusandosi perché la metteva nei guai.

“In effetti” ammette “non ho fatto gran caso a questo silenzio. Se le politiche parlassero, del resto, non sono certa che direbbero cose diverse dai loro colleghi maschi. Salvo eccezioni, sono perfettamente omologate: le logiche, i termini, i giochi di potere sono gli stessi. E’ in altri campi che le donne si esprimono pienamente. Se in politica sono poche e mute è anche perché il desiderio di essere lì è molto flebile”.

Un silenzio che non preoccupa neanche Michela Murgia, premio Campiello per il bellissimo “Accabadora”, a novembre di nuovo in libreria per Einaudi con il saggio “Ave Mary” sul ruolo della Chiesa nella costruzione dell’immagine femminile: “Le donne nel governo ci sono, e non mancano all’opposizione” dice. “Ma non abbiamo garanzie del fatto che se parlassero sentiremmo qualcosa di sensato. Ed è proprio questo che mi manca, la sensatezza, la misura. Da chiunque provengano, donna o uomo. Il vocabolario della politica è sempre quello, e non conosce generi”.

Una lontananza, una presa di distanza da una politica ritenuta sempre più scadente e meno rappresentativa. Le cose che contano nella vita non capitano lì, perciò non vale la pena di aspettarsi più di tanto. Le prime pagine dei giornali, bollettini di guerra da saltarsi a pie’ pari. La società delle donne e la “politica” degli uomini: due mondi paralleli che non si incontrano mai.

“In tutte le civiltà premoderne i due sessi vivevano divisi” osserva la filosofa Luisa Muraro. “C’erano due società, quella femminile e quella maschile, che producevano un senso vivo della differenza. Con la modernità questa divisione sparisce e compare il soggetto neutro, tagliato sul modello degli uomini. Le donne perdono i loro ambiti e restano delle disadattate culturali, per quanto inconsapevoli di esserlo. Il silenzio di cui stiamo parlando dice l’enorme difficoltà di questo adattamento, più doloroso di qualunque discriminazione”.

Ma qual è il prezzo di questa estraneità difensiva? Quanto sta costando alle donne restare fuori e fare altro?

E’ una specie di qualunquismo che di sicuro ci sta facendo male” dice la giornalista Ritanna Armeni, autrice di “Prime donne – Perché in politica non c’è spazio per il secondo sesso” (Ponte alle Grazie). “E come si vede, gli uomini approfittano a man bassa di questa distrazione. Cercano di ributtarti indietro, di riproporre vecchi stereotipi: le prostitute, le amanti, le rivali. Anche per il Pd quella che si chiamava “questione femminile” non c’è più: solo candidati maschi alle primarie, e non è un problema per nessuna. Da decenni non eravamo messe così male. Ma anche volendo” ammette “non c’è un solo appiglio per lasciarsi coinvolgere. Niente a cui aggrapparsi, in cui potersi riconoscere, a cui desiderare di appartenere”.

Anche Flavia Perina, che dirige Il Secolo d’Italia, quotidiano ex-Pdl, dice di non aver mai vissuto un momento simile: “Sono nata e cresciuta nel protagonismo politico femminile: questo è un mondo che non riconosco. Nel Pdl le donne non hanno ruolo: se il partito è il contorno del capo, loro fanno solo da contorno del contorno. A sinistra gli apparati sono terribilmente burocratizzati, e a nessuna è permesso di rompere le righe. Ma credo anche che siamo agli ultimi giorni di Pompei: la tensione si è fatta insostenibile. Chi per primo interpreterà questa domanda conquisterà il consenso delle donne”.

Lo sanno bene tutti gli addetti al marketing: il mercato delle donne è un’enorme opportunità, una tigre che attende di essere cavalcata. Ma la politica è troppo miope e mediocre per rendersene conto. Fiorella Kostoris, economista e presidente dell’associazione “Pari o dispare”, è certa che non si uscirà dal ristagno politico prima di aver sbloccato quello economico: “Come fai ad aspettarti donne politicamente meno remissive quando ci sono regioni del nostro paese in cui le ragazze hanno perfino smesso di cercare un lavoro? C’è una sola risposta da dare, ed è mettere al centro il merito. Se il sistema è meritocratico, le donne vanno avanti, e il paese insieme a loro. E’ la chiave per risolvere in un solo colpo i problemi della crescita e quelli femminili. I tempi non saranno brevi, ma sono ottimista: c’è ormai una nuova coscienza nelle imprese. E c’è un disegno di legge sulle quote che può dare un forte impulso”.

Ne è convinta anche Roberta Cocco, direttore Marketing Centrale di Microsoft, responsabile del progetto Futuro@lfemminile e mamma di tre bambini –le donne del mercato, come si vede, sono molto meno inibite delle politiche-: “Bisogna che ce lo ficchiamo in testa: il paese ha un enorme bisogno di noi, e il momento è adesso. Ci si deve liberare dalla trappola dell’automoderazione e sottrarsi all’influenza di certe rappresentazioni miserabili. Non c’è niente di cui avere paura: dobbiamo solo dettare le nostre condizioni per poterci essere a modo nostro. Per esempio ricorrendo ampiamente alle nuove tecnologie, che permettono di tenere insieme tutti i piani della vita. E cominciare a usare la parola potere, senza esorcismi e ipocrisie”.

Sul potere e su come gestirlo da donne il dibattito si avvita da qualche decennio. Ma forse anche qui vale più la pratica che la grammatica. Una comincia, a modo suo, e poi si volta indietro e vede come ha fatto.

pubblicato su Io donna – Corriere della Sera il 25 settembre 2010