Il NO non è stato populista, ma popolare, che è ben altra cosa. Populista potrebbe essere semmai la risposta politica che è ancora tutta da costruire. Tocca al Pd arginare la deriva a destra. A patto di affrontare l’emergenza sociale. E quanto a Renzi…
Almeno 3 i topics della fluviale direzione Pd di ieri
• il segretario Matteo Renzi che nell’orazione d’apertura, dicendo “abbiamo sconfitto la politica” (anziché, come da copione, “l’antipolitica”) inciampa in un lapsus da ola. Forse il jet lag depotenzia le capacità di controllo del Super Io.
•• sempre il segretario Matteo Renzi, che in un passaggio dell’orazione finale ha affermato che “gli imprenditori sono lavoratori, come i lavoratori tradizionali”. Insomma: qua di padroni non ce ne sono più. Ci sono solo lavoratori fichi (gli imprenditori) e poi lavoratori d’antan, gente vecchia, muffosa e piena di pretese. Strano, perché io dal mio angolo visuale vedo quasi più padroni che lavoratori, e onestamente li vedo feroci come non mi è mai capitato di vederli prima, e con mani liberissime nella gestione dei traditional e pure dei new. Non mi pare pertanto una buona idea quella di liberargliele ulteriormente, consentendogli di licenziare (senza rischi di reintegra), di demansionare, di mobilizzare, di sfruttare, di terrorizzare, di sottopagare, di umiliare, di ledere la dignità, pratiche che già hanno corso e che, senza l’argine costituito da quel diritto già fortemente depotenziato a cui diamo il nome di art. 18, potranno dilagare fino alla semi-schiavitù. Credo peraltro non sembri una buona idea nemmeno alla grande parte degli elettori del Pd. Non è una buona idea che il lavoro sporco sul lavoro tocchi a quello che dovrebbe essere il partito dei lavoratori (perché se il Pd non è il partito dei lavoratori, allora che cos’è?) mentre la destra se ne esce tutto sommato pulita. Che poi l’idea piaccia all’80 per cento dei membri della direzione è un fatto del tutto occasionale, contingente, in discreta quota opportunistico, oltre che antistorico.
••• top of the topics, quell’impressionante passaggio dell’ordine del giorno conclusivo –stavolta tocca al responsabile economico e del lavoro Filippo Taddei- in cui si propone “una disciplina per i licenziamenti economici che SOSTITUISCA L’INCERTEZZA E LA DISCREZIONALITA’ DI UN PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO con la chiarezza di un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità, abolendo la possibilità del reintegro”. Ergo: se dico che ti licenzio adducendo ragioni economiche, inutile che vai dal giudice, a cui abbiamo tolto la possibilità di reintegrarti. Beccati un po’ di soldi, vai a casa e stai contento, perché pecunia semper certa est, iustitia numquam. Con quei giudici che ci ritroviamo, poi… Come mi scrive un’amica sbigottita, “la rivoluzione francese liquidata in un tweet”.
Non toccava al Pd, questa spallata a ciò che resta in piedi dei diritti dei lavoratori.
Giornata nerissima, quella di ieri.
Ancora sotto shock. Stanotte ho dormito poco o niente.
Mai stata fan del governo Letta, le speranze si erano affievolite nel giro di poche settimane: un governo che passerà alla storia per la sua triste inconcludenza: 10 mesi a parlare di Imu, e poi le slot machine, il salva-Roma, Imu-Bankitalia, le cornucopie-omnibus.
Ma la giustizia sommaria, quella ghigliottina tirata su e calata nel giro di tre giorni, il semi-impeachment di Napolitano per fargli capire come stavano le cose, il premier Letta che ieri, nei corridoi della “prima” al Nazareno, veniva chiamato la “giraffa Marius”, la sua patetica resistenza, la sua liquidazione nel peggior linguaggio dei cda (“ringraziamo per il suo contributo”), altro che staffetta. E la fretta di tutti, rivelatrice della fatica che si fa a tradire… Il fattore umano, insomma, che non è cosa da poco, e rischia di pesare sul futuro governo come una macchia originaria, come un pessimo auspicio, tipo i corvi che volano quando nasce un bambino o certe immagini allegoriche delle antiche narrazioni.
Di tutto il resto si è detto tante volte: il Paese agonico, la non procrastinabilità delle riforme istituzionali ed economiche, la lontananza ormai abissale tra gli elettori e i loro rappresentanti, ma soprattutto la voto-fobia, novità molto preoccupante: le consultazioni democratiche che ormai sono diventate “una sciocchezza” (Napolitano”) o “il modo per far vincere Grillo” e per “fare il male del Paese” (sentito ieri in direzione).Che si tiri avanti senza votare fino al 2018, come annunciato da Matteo Renzi, è altamente improbabile, ma soprattutto inaccettabile.
Ma il fattore umano non è meno decisivo: potrà davvero fare bene chi è capace, machiavellicamente, di esercitare con mano tanto ferma il “male necessario”? Quante volte ancora ci toccherà vedere in azione la ghigliottina? Quali segni lascerà questa brutta giornata nei geni del Pd? Davvero non c’era altro modo –c’è sempre stato, perché stavolta no?- per rendere più efficace l’azione politica? Perché il giovane leader, di cui ieri abbiamo visto il volto feroce, non ha avuto fiducia in se stesso? Avrebbe saputo condurre una magnifica campagna elettorale, quella “vera”, avrebbe avuto tutte le possibilità per convincere e vincere e governare con la forza insostituibile del consenso.
E se di se stesso non si è fidato lui, possiamo fidarci noi?
Ieri Matteo Renzi in direzione Pd ha presentato il suo piano di riforme istituzionali: fine del bicameralismo perfetto, riforma del titolo V, oltre ovviamente alla legge elettorale (qui l’intervento).
Un anno fa, forse anche solo 6 mesi fa, una cosa come l’abolizione del Senato sarebbe stata una mossa ad effetto, in grado di ristabilire la minima per una ripresa di fiducia e di dialogo tra politica e cittadini. Ma oggi non basta più. Se alle riforme istituzionali non si accompagneranno immediate iniziative sul fronte economia e lavoro, la degenerazione civile accoppiata all’emergenza sociale, di cui stiamo vedendo solo i prodromi, produrrà tutti i suoi effetti distruttivi (non mi sentirei di dare torto a Goffredo Bettini).
Ieri in direzione clima rarefatto e surreale: il Nazareno, con la sua bellissima terrazza a elle, sempre più lontano dall’inferno che c’è fuori. La discussione sul #jobsact, il famoso piano sul lavoro, continua a essere rinviata. Calendarizzata per il 20 febbraio, è stata ulteriormente rimandata: il 20 si parlerà di che fare con il governo. Al segretario Renzi conviene portare il Paese al voto (mia opinione: conviene a tutti, per provare a ricominciare con un altro passo), ma si continua a fare melina.
“A me conviene votare, ma all’Italia no“, ha twittato il segretario. Io penso che convenga anche all’Italia.
Matteo Renzi ieri non sembrava più nemmeno Matteo Renzi. Come se l’effetto Renzi non facesse più effetto neanche a lui.
I sondaggi di stamattina parlano chiaro: 45 per cento di astensione, M5S in recupero. Evidentemente turpiloqui e sessismi alla gente fanno solo il solletico. Il 2014 -altro che ripresine e ripresette- sarà l’anno più duro, e ce ne stamo già accorgendo tutti.
Sarà il Vaffa Year.
Per favore, donne e uomini della politica: parliamo di lavoro, lavoro, lavoro, lavoro, LAVORO!
Tutto il resto, la riforma del titolo V e così via: ottimo, facciamolo. Ma con la mano sinistra.