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crescita

economics, esperienze, lavoro, Politica, TEMPI MODERNI Dicembre 8, 2011

Ma voi ci credete?

Do un’occhiata alle ultime, Bce, tassi di sconto, le borse giù, lo spread su. Ci capisco poco o niente. Mi pare di non poterci fare niente. Vedo che andò in pensione sui 67 anni e rotti, ho fatto il pieno stamattina, sono austera e pronta a pagare di tasca mia gli spaventosi guai combinati da altri. Ma sono scettica sul fatto che servirà.

Servirà a che cosa, poi? Nella migliore delle ipotesi, mi pare, a portare il livello di m…a nel nostro paese in media con il resto d’Europa. E poi? Quando saremo felici di galleggiare a livello della Francia, in modo da poter sprofondare tutti insieme appassionatamente? Chi ci muoverà guerra -perché è una guerra-, poi: gli Stati Uniti? La Cina, con il suo abbondante cash? Vorrei essere turca, paria dell’euro, fuori dal turbine.

Che cosa ci sarà, poi? Come vivremo? Che cosa diventeranno le nostre vite? E il lavoro? E i consumi? E le case? Come diavolo andrà a finire questa storia? Qualcosa dovrà morire, questo è certo.

L’unica cosa che vorrei fare è comprare un pezzetto di terra, umida e fertile, spendere quei pochi soldi lì, in quella terra che al momento vale poco o niente. Metterci uno sgabello in mezzo, e stare lì a rimirarmela. Perché la terra è vera, la senti sotto i piedi. Ci pianti un seme, e quello cresce.

Io vedo terra, vedo tecnologie pulite, vedo energia alternativa, cose che durano, realissime. Il nostro “scheletro contadino”, il glocal della rete, la comunità che prende il posto della società. Io vedo questo.

Ma chi sta decidendo per noi, chi sta decidendo per tutti, chi cerca solo di far sopravvivere quello che è destinato a morire, di fare crescere quello che non crescerà più, che cosa vede?

Qual è la visione?

Corpo-anima, economics Novembre 7, 2011

Crescita: e di che cosa?

Che cos’è precisamente questa crescita che si continua a invocare? A noi umani ordinari a volte pare che si stia parlando soprattutto di crescita dei consumi. E che cos’altro cresce, quando crescono i consumi: cresciamo noi? evolviamo come esseri umani? decresce la nostra infelicità? cresce la bellezza, la bontà, il benessere, l’allegria? cresce la qualità delle relazioni umane? o invece crescono solo i soldi, i profitti di pochi?

Questa parola, crescita, a tratti suona come un ordine, come una minaccia. Tornare ai livelli di crescita, rilanciare la crescita. O crescita, o morte. Noi non-economisti non dovremmo permetterci di parlare di queste cose. Non è richiesto che diciamo la nostra. Dobbiamo limitarci a crescere e fare crescere, spingendo come ossessi in quell’unica direzione. Fare in modo che, anche diminuendo o non aumentando le entrate, non si riducano, e anzi crescano le uscite. Dobbiamo farlo per il bene del paese.

Oddio, non che sia semplice. Ci viene chiesta una cosa piuttosto complicata. Chi fa la spesa mi capisce, sempre a cercare occasioni, offerte speciali, outlet, discount, anche a scapito della qualità. Ma nel caso ti sarà data una mano. Aumenteranno la benzina e il gasolio, per cominciare. E quando aumenta la benzina e il gasolio in genere aumenta anche tutto il resto. Cosicché quello che riuscirai a risparmiare da una parte, diminuendo la quantità di cose che compri, lo spenderai subito dall’altra, perché queste cose costeranno di più. E allora crescita diventa il sinonimo della nostra lotta quotidiana.

Possibile che non ci sia qualcos’altro, che potrebbe e dovrebbe crescere, qualcos’altro da mettere al centro? Possibile che se non crescono i consumi tutto andrà inevitabilmente a rotoli? Qui gli economisti potrebbero aiutarci a capire: esiste un altro modo di fare andare le cose, un’alternativa a questo modello? Perché questa idea di economia, che fa pur sempre parte dei costrutti umani e non delle leggi di natura non può essere eventualmente decostruita? Perché i bisogni umani fondamentali –quei quattro bisogni, sempre quelli, da sempre: il cibo e l’acqua, le relazioni e l’amore, l’aria da respirare, un tetto sotto il quale ripararsi- non possono e non devono stare al centro di quella che chiamiamo economia, e che si comporta come un’ideologia?

E perché quando si pongono domande come queste ci si sente un po’ in colpa, come se si violasse un tabù?

AMARE GLI ALTRI, ambiente, Donne e Uomini, economics, Politica Settembre 28, 2011

Il Paese del Wellness

Non sono Mario Monti, o Prodi, non sono Mario Draghi e nemmeno Rosy Bindi. Sono niente di niente, solo una donna che si dà la libertà di pensare e di comunicare quello che ha pensato, e a cui interessa più la nostra casa comune che la sua propria. E che ha bisogno di capire di che cosa stiamo parlando quando parliamo di economia, che cosa si intende per crescita, ad esempio, e per sviluppo. Una che, come quasi tutti -salvo quei pochi che della confusione si giovano e speculano, facendo ballare il resto del mondo-, vorrebbe sapere da che parte spingere per andare incontro al meglio, per noi e soprattutto per i nostri ragazzi.

E allora quando penso al nostro paese, penso due cose: che ce la faremo, ce l’abbiamo sempre fatta, purché cresca il numero di donne e uomini di buona volontà che impegnino le loro energie e il loro desiderio in questa direzione; e che si deve accettare il nuovo che arriva, nel suo bene e nel suo male, e aprirgli la strada. Mi immagino un paese, è quello in cui vorrei vivere, in cui penso che convenga vivere, e provo a raccontarvelo. Se tu sai quello che vuoi, se lo vedi, se lo pratichi, è come se lo mettessi già al mondo -la mia diletta Mary Daly parlava di “campi morfogenetici” ingenerati dal desiderio-.

Io la vedo così: un paese che ha come risorsa non il petrolio, non l’oro, ma il bene della bellezza in tutte le sue forme. Un piccolo paese a cui la Provvidenza, se ci credete, ha dato il compito di testimoniare il qualis, più che il quantum. E’ questo che ci viene bene, è questo che il resto del mondo viene a cercare qui, senza dubbio: la bellezza naturale e artistica nella sua stupefacente varietà, la capacità di trasformare la materia in bellezza, il piacere, la dolcezza di vita che ne viene.

Di questo potremmo avere il privilegio di vivere. Di bellezza, di wellness. E’ in questa risorsa che dovremmo investire. E’ a questo, in tutte le sue declinazioni, che dovremmo preparare le ragazze e i ragazzi. A valorizzare, a produrre, ad amministrare bellezza in tutte le sue declinazioni. Agevolando in ogni modo l’apprendistato delle nostre belle arti. Favorendo e sostenendo la libera impresa in tutti i settori che hanno a che vedere con questa risorsa, dal turismo alle attività culturali, all’agricoltura, all’enogastronomia, all’artigianato. Creando tutte le infrastrutture necessarie. Finanziando ricerca, anche biomedica, che abbia a che vedere con la sana alimentazione, con il buon vivere (per es. nel settore della medicina preventiva e antiaging).

Insomma, ne ho dette solo alcune e in ordine sparso, per capirci. Volendo, qui ci sarebbe l’embrione di un programma di sviluppo. Ma finché le dico solo io… Sarebbe bello che la politica della rappresentanza -o politica seconda-, con la più ampia convergenza, assumesse se non proprio questa visione, che mi convince molto, quanto meno UNA visione, facendone il goal del lavoro di ricostruzione che ci tocca, come ci toccò dopo la guerra, la stella polare di quel “retto vivere” invocato dalla Chiesa, esortazione a cui tutti dobbiamo corrispondere, a cominciare naturalmente da chi si è assunto le più onerose responsabilità pubbliche e che la retta via l’ha del tutto smarrita.

Temo che per tutto questo servirà un rinnovamento radicale -non parlo solo di alternanza politica, oggi sarebbe troppo poco– una nuova classe di amministratrici e amministratori, capaci di assumere una visione -io la mia modestamente l’ho presentata qui- di renderla chiara a tutti, il che sarebbe già un grande passo, e di agevolare la sua materializzazione.

E credo che Expo 2015, evento sul quale vi invito a porre la massima attenzione, potrebbe costituire il laboratorio del nostro Paese nuovo.

AMARE GLI ALTRI, ambiente, economics, lavoro, Politica Settembre 11, 2011

Ma la nave dove diavolo va?

Sul Corriere di oggi (Renato Mannheimer, pag.5) leggo che solo il 6 per cento degli italiani direbbe sì alla richiesta di nuovi sacrifici. Non che sia sorprendente. Non si tratta tanto, io credo, del fatto che uno più di tanto non può essere spennato, essendo che le penne finiscono. Il fatto è che è possibile decidere di tirare la cinghia, e anche molto, ma in vista di un obiettivo chiaro.

E’ l’economia del buon senso, l’economia domestica che tutti pratichiamo: devi fare una spesa straordinaria, devi comprare una casa a tuo figlio, o ristrutturare, o arredare, o anche meno, e cerchi per un certo periodo di tagliare su quello che non è strettamente necessario. Ti dai un obiettivo e ti dai dei tempi ragionevoli per realizzarlo.

Il fatto è che molti di noi, la maggioranza di noi, ha la spiacevole sensazione che questi sacrifici siano a fondo perduto, che l’obiettivo sia molto fumoso -non affondare, ok, ma per intraprendere quale rotta?-, che non sia chiaro che cosa si vuole costruire e da quale parte si vuole andare. A questo si aggiunge la sfiducia in coloro che dovrebbero condurre la nave in porto, di qualunque porto si tratti: potremmo anche accettare di navigare a vista, fidandoci del comandante. Ma è evidente che non è questo il caso.

La spiacevole sensazione -e i non-tagli sui costi della politica la confermano- è che buona parte di questi pensino fondamentalmente ai cavoli propri, razziando tutto il possibile prima di affondare, che il bene pubblico non stia esattamente in cima ai loro pensieri, che non siano proprio degli illuminati, che manchino la passione politica, la cultura, lo sguardo necessari all’immane impresa.

Sono convinta che se sapessimo da che parte stiamo andando la fatica di remare ci peserebbe meno. Sentiremmo di partecipare a un’impresa comune. Accetteremmo di condividerere il rischio. Uscendo dalla metafora nautica, manca del tutto una visione. E anche quando si parla genericamente di crescita e sviluppo, non è chiaro che cosa dovrebbe crescere, che cosa dovrebbe svilupparsi.

Manca un’idea di paese. Quali sono i nostri atout, i nostri talenti, le risorse su cui puntare? Che cosa ci fa credere nell’Italia? Facciamo un esempio: le incredibili bellezze artistiche e naturali, non basta una vita per esplorarle tutte, un grandissimo dono di Dio che ci rende una nazione unica nel mondo. Ecco, la bellezza, il nostro senso innato per la qualità, le nostre eccellenze potrebbero essere le carte che noi abbiamo da giocare nell’economia globale? E questo il compito che ci è stato dato? Oppure il nostro grande talento per le relazioni, che ha dentro il nostro bene e anche il nostro male, come il familismo amorale:  potrebbe essere una risorsa da fare crescere? E per conseguire l’obiettivo, quali strutture, quali indirizzi, quale ricerca, quale formazione?

Insomma: qual è il paese che abbiamo in mente? Che cosa ne dite?