Dopo il caso della lettera della Diocesi di Milano che, nei fatti, sembrava invitare i prof di religione a collaborare alla “schedatura” delle scuole troppo liberal in tema di omosessualità, l’arcivescovo Angelo Scola corregge il tiro, ribadendo le scuse della Curia«per l’inappropriatezza del linguaggio» e sottolineando che l’intento era solo quello di conoscere la situazione: «Una posizione non omofoba, ma da cui non intendiamo recedere di un millimetro, come giusto in una società democratica. Noi abbiamo qualcosa da dire circa le conseguenze sociali e la questione dei diritti connessi a questo orientamento sessuale“. Scola ha ammesso che «La Chiesa è stata lenta sulla questione omosessuale“, e che si tratta oggi di aiutare “i 6 mila professori di religione della Diocesi a proporre la nostra visione di problemi come quello dell’educazione sessuale” nel rispetto del Concordato.

Non sono affatto tra coloro che chiedono alla Chiesa di ritirarsi da questo territorio, dalla politica e dal mondo. Su svariati temi, come la fecondazione assistita, sono più grata ai dubbi della Chiesa che alle certezze del laicismo liberistico (laicismo, non laicità).

Mi piacerebbe semmai che si osasse di più. Perché è vero che la Chiesa ha molto da dire in tema di omosessualità, ed è vero anche per il fatto che nella Chiesa ci sono molti omosessuali. Non si tratta, quindi, di guardare fuori da sé. Si tratta semmai di intraprendere una riflessione efficace proprio a partire da sé -come insegna il pensiero femminile della differenza-, assumendo la posizione autocosciente dell’osservatore che si osserva.

Non è provocazione, né gossip: dico solo che la percentuale di persone omosessuali all’interno della Chiesa è notevole, con ogni probabilità superiore a quella del “mondo fuori”. Sono molti i religiosi omosessuali, e chiunque frequenti la Chiesa ne ha esperienza. Ci si potrebbe forse spingere a dire che la Chiesa è la più omosessuale tra le nostre istituzioni, verosimilmente seguita dall’esercito. La Chiesa, quindi, non dovrebbe “saltarsi”, nel suo processo di conoscenza. Non può tenersi fuori dal campo di osservazione. Semmai, dovrebbe porre se stessa al centro di ogni indagine e interrogazione, conferendo in questo modo il massimo di verità al proprio intento conoscitivo ed educativo.

Diversamente sarà buon gioco dei suoi critici e dei suoi nemici stigmatizzare come ipocrite e negazionistiche le sue iniziative a riguardo.