Cgil pro utero in affitto: ecco gli appelli delle femministe a Maurizio Landini per un franco e definitivo confronto
Il Gruppo Nestlé ha proposto alle maestranze dello stabilimento di Perugia di fare entrare a lavorare con contratto di apprendistato i figli di quegli operai che accetteranno un part-time di 30 ore al posto del full time di 40. L’azienda ha parlato di “patto generazionale per favorire l’occupazione giovanile». Cgil dice no, e per domani annuncia scioperi e presidi: si divide il posto di lavoro in due senza garantire uno stipendio decente a nessuno. I lavoratori chiedono il rilancio del marchio Perugina e l’internalizzazione di servizi oggi affidati all’esterno.
Una volta, in alcune categorie, se non ricordo male qualcosa del genere era previsto: dentro il figlio e fuori il padre. Contenta l’azienda, che pagava uno stipendio più basso e si portava “in casa” uno non del tutto sconosciuto, contenta la famiglia, che metteva “a posto” il ragazzo.
Vicini all’età pensionabile, con l’aiuto di qualche “scivolo”, molti padri e molte madri ci penserebbero, ne sono sicura: un posto per un figlio, di questi tempi, è come vincere al lotto. Un* accetta anche il downshifting anticipato, pur di levarsi quest’ansia.
Del resto, nel Paese del familismo e delle raccomandazioni, la pratica ha normalmente corso, si lasciano in eredità ben altri posti: figli di primari ospedalieri che diventano rapidissimamente primari, intere famiglie di docenti nella stessa università. Di sicuro, un sacco di lavoratori Perugina sono figli e nipoti di lavoratori Perugina.
Come abbiamo detto, i lavoratori non accettano l’accordo. Ma se fosse stato congegnato diversamente? Se offrisse maggiori garanzie? Insomma, quello che si rifiuta è il principio -la trasmissibilità del posto di lavoro- o la sostanza di un accordo economicamente poco vantaggioso?
L’idea Perugina sarebbe da copiare?