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cancro

AMARE GLI ALTRI, salute Settembre 4, 2011

Virus mangia-cancro

 

il virus dell'herpes simplex

Traggo dal Corriere della Sera quella che sembrerebbe davvero un’ottima notizia, sperando che le promesse siano confermate. Che Dio benedca i ricercatori dell’Università di Ottawa.

I virus sono capaci di uccidere i tumori. Una ricerca, appena pubblicata su Nature, dimostra, per la prima volta al mondo, che un’iniezione di virus cosiddetti “oncolitici” provoca la distruzione delle cellule tumorali, senza “infettare” i tessuti sani. L’idea di sfruttare i virus per combattere il cancro non è nuova. Anni fa si era pensato di utilizzarli per stimolare il sistema immunitario ad aggredire le cellule cancerose. Poi i progressi della genetica hanno aperto una nuova prospettiva: modificare i virus in modo da spedirli direttamente sul tumore. È il caso dell’OncoVex, (un preparato costituito da virus dell’Herpes labiale) che ha dimostrato una certa efficacia nel melanoma, quando è iniettato all’interno della massa neoplastica.

POCHI EFFETTI COLLATERALI – I ricercatori dell’Università di Ottawa, autori del lavoro di Nature, invece, hanno pensato di somministrare i virus per via endovenosa, con l’obiettivo di raggiungere tumori diffusi in diversi organi. Lo studio ha coinvolto 23 pazienti, tutti con forme di cancro avanzato e diffuso, insensibili alle terapie standard. Ai pazienti è stata somministrata una singola infusione endovenosa di virus, chiamati JX-594, a cinque differenti dosi. L’obiettivo, in questo studio, era quello di verificare la sicurezza della cura, ma parallelamente sono stati valutati anche gli effetti terapeutici. I ricercatori hanno osservato che i virus si replicavano nei tessuti tumorali, ma non in quelli sani, e nei pazienti, che hanno ricevuto le dosi più alte, hanno visto anche una riduzione o una stabilizzazione della massa tumorale. La terapia era ben tollerata e gli effetti collaterali limitati a sintomi simili a quelli dell’influenza, che duravano meno di un giorno.

CONTRO IL VAIOLO – «È la prima volta nella storia medica – ha commentato John Bell dell’Ottawa Hospital Research Institute – che i virus, somministrati per endovena, si replicano in maniera consistente e selettiva nei tessuti neoplastici. Non solo, ma i tumori, infettati dai virus, esprimono anche geni estranei, veicolati da questi ultimi, che possono rappresentare un bersaglio di nuove terapie». Il virus JX-594 è derivato da un ceppo di virus del vaccino, quello utilizzato per la vaccinazione antivaiolosa, ha una naturale capacità di replicarsi nelle cellule tumorali e può essere manipolato geneticamente in modo da aumentare le sue proprietà anti-cancro. «I virus oncolitici sono unici – ha aggiunto Bell – perché possono aggredire il tumore in molti modi, hanno pochi effetti collaterali, a confronto con altri trattamenti, e possono essere “personalizzati” e adattati a diversi tipi di cancro».

 

Corpo-anima Dicembre 11, 2010

L'ALTRO CANCRO

Mi scrive una lettrice:

Dopo la morte di mia sorella per tumore ho furiosamente indagato sulle sostanze
che l’hanno ridotta, gli ultimi quattro mesi di vita, a trascorrere ore
interminabili  distesa in un letto di dolore o chiusa in bagno: il suo
corpo straziato rifiutava ogni nutrimento e aveva la transaminasi 40
volte superiore alla norma.
Ho scoperto come l’oncologia ufficiale manipoli le statistiche, come
“guarigione” sia la sopravvivenza a cinque anni, non importa se il
guarito abbia ancora un tumore addosso, nè se muoia dopo cinque anni ed
un giorno . Ogni remissione è poi “guarigione”. Ci sono infatti
talvolta più di una remissione,  ma una sola morte.  Che dire poi di una
percentuale che somma , ad esempio, le altissime guarigioni per talune
leucemie e del tumore ai testicoli, e quelle per il tumore al polmone?
Le prime  guariscono quasi sempre, il secondo quasi mai, così si
guarisce dal cancro al 50%. Ma i malati ai testicoli sono 200 all’anno,
quelli al polmone 40 mila  Comunque si è calcolato che su cento malati
la sopravvivenza a cinque anni è solo del 2,3%, e il resto muore negli
anni successivi.

Ogni giorno riesco a trarre da Internet notizie per me
nuove : Negli anni’20-’30 quando dopo la mastectomia non si faceva
chemio di sorta la sopravvivenza media delle donne operate era di 12
anni, coi progressi della scienza medica si è arrivati ad una media di
tre anni. Dentro, cara signora, ho un fiume in piena che le lacrime non
possono smaltire, la mia formazione filosofica  offre sufficiente
supporto alla ragione e  il dovuto  rispetto per la scienza, ma
l’evidenza vuole la sua parte. Se qualcuno scrive:” non esiste
guarigione del cancro senza un fegato che funziona” o” Il tumore è segno
di uno squilibrio di fondo del paziente, l’eventuale ed effettiva
guarigione dipende solo dalla capacità delle difese immunitarie di
riconoscere e distruggere in maniera radicale e selettiva il tumore”,
io lo sento ippocraticamente giusto. Come si può curare con sostanze
cancerogene per smaltire i cui residui occorre una temperatura a 1000
gradi e una pretrattazione chimica, e che sarebbe opportuno inoculare al
malato difesi da uno scafandro? Ma se non si falsano le statistiche come
fanno  la Roche, la Smith Kline, la Pfizer ecc. a vendere i loro
costosissimi chemioterapici per il male del secolo?

Non so in cosa consista il metodo Di Bella, so che era uno scienziato di
prim’ordine e la cosiddetta sperimentazione del suo metodo ebbe molte
ombre . Ci sono medici che curano con questo metodo, ma naturalmente
bisogna essere prudenti nella scelta perchè non bisogna solo diffidare
della Big Farma. Leggo che in un congresso mondiale svoltosi quest’anno
a Singapore, la terapia del cattedratico modenese è stata riconosciuta a
livello internazionale. So che il dibattito scientifico è tuttora
aperto. Ho anche letto un libro interessante “Guarire con il metodo
Gerson”- Macro edizioni. Questo medico-Gerson- operò negli anni ’50,
negl USA curò-non dal cancro- la moglie di Scweitzer. Shweitzer lo
definì il medico più geniale del ventesimo secolo. Sua figlia Charlotte
recentemente è venuta anche a Firenze ad illustrare la cura,ora
aggiornata.  Si tratta di una dieta particolare, impegnativissima, e di
un processo di disintossicazione rigidissimo. Una sorta di cambiamento
di vita. Ci sono anche altri metodi, disprezzati e vilipesi dagli
oncologi ufficiali che però, interrogati in incognito, affermano in
rispettabile percentuale che mai si curerebbero con quella chemio che
propinano ad altrui..

Credo che all’origine di certe malattie la psiche-vogliamo chiamarla
anima?- abbia una voce preponderante
e risolutiva. E’  Lei che scrive
sul corpo le sue esigenze. La mia esperienza   ha confermato sempre
questa verità.
Ci sono perciò anche guarigioni inspiegabili e morti annunciate, ma
quello che non può essere dimenticato è che alla radice di ogni essere
umano c’è una sconfinata sete di amore
. Fare violenza al corpo come se
il cancro non fosse un messaggio, ma un nemico da non guardare neppure
in faccia, è una ribellione all’anima che si avvale dell’orrore della
morte. Gentile signora, sono certa che ogni esperienza vissuta
ascoltandosi sinceramente e umilmente,  e senza disperare, è un dono ,
un’occasione preziosa per amare.Le faccio auguri perchè possa trovare
forza e serenità e la sua cara amica la salute del corpo e dell’anima.
M. T. B. C.

Avvertenza: non ho verificato le statistiche proposte dalla lettrice, e non traggo conclusioni sull’alternativa tra chemioterapia e metodi diversi di cura del cancro. Ma mi sembra che ci sia sostanza per una discussione.

Archivio Giugno 2, 2007

GUARIRE

Patricia ha appena avuto il suo secondo bambino, a poca distanza dal primo. E’ in pieno baby blues. Una depressione che le taglia le gambe. Due gravidanze di fila, e Patricia si è giocata tutti i suoi Omega-3. Al feto gli Omega-3 servono per fare il cervello, composto per due terzi da acidi grassi. Ma anche il cervello di Patricia ne ha bisogno per funzionare. Avrebbe dovuto mangiare più pesce: salmone, pesce azzurro. Gli Omega-3 si trovano anche nell’olio di colza e nelle noci. O negli integratori, evoluzione del vecchio, disgustoso olio di fegato di merluzzo.
Oggi si consuma meno della metà degli Omega-3 che si consumavano tra le due guerre. E guarda caso, non c’è mai stata tanta depressione. Ma gli Omega-3 fanno bene anche al cuore e al sistema cardiocircolatorio. E un cuore che funziona come si deve è a sua volta un presidio contro la depressione. Così come un cervello in buona salute protegge dall’infarto e dai problemi cardiovascolari.
Nel suo Guérir, best seller internazionale (Sperling & Kupfer), il professor David Servan-Schreiber, psichiatra e docente presso le università di Pittsburgh e di Lione, racconta questa e altre storie. Di come sia arrivato a convincersi che il corpo e la psiche fanno un’unità inscindibile.
L’incontro con la medicina tibetana è stato fondamentale: “Voi occidentali” gli disse un giorno un “collega” di Dharamsala “siete sempre sorpresi nel constatare che quello che chiamate depressione, ansia o stress ha dei sintomi fisici. Per noi vale il contrario: il pianto, la perdita di autostima sono manifestazioni mentali di un problema fisico. In realtà non si tratta di fisico o mentale” aveva concluso. “i sintomi emotivi e fisici sono due aspetti di uno squilibrio nella circolazione dell’energia”.
Noi occidentali l’abbiamo capito a metà. Ormai ci è chiaro che un disturbo emotivo può “somatizzare”: ci si può ammalare dopo un lutto, un divorzio, la perdita del lavoro. Ci è più difficile comprendere che un cattivo funzionamento dei nostri organi può determinare uno squilibrio emotivo. Che un’alimentazione disordinata e uno stile di vita scorretto possono indurre depressione. Che curando il corpo si cura anche la mente.
Il settimanale Newsweek ha recentemente dedicato una cover story al potere risanante della preghiera. Negli Stati Uniti si fanno corsi universitari sul rapporto tra fede e salute. Il 72 per cento degli Americani crede che pregando ci si ammali di meno. Il National Institute of Health investirà 3 milioni e mezzo di dollari nelle ricerche sulla medicina mente-corpo.
Gli effetti benefici della meditazione sono noti: riduzione dello stress, migliore risposta immunitaria, abbassamento della pressione sanguigna. La preghiera potrebbe funzionare allo stesso modo. Purché non sia obbligata e “moralistica”, osserva Servan-Schreiber. “Purché pregando il petto sia invaso da un senso di gratitudine verso il mondo”. Meditazione o preghiera, esercizi respiratori o biofeedback secondo l’uso orientale o occidentale, gli effetti di queste pratiche sul cuore sono sorprendenti. Un cuore in buona salute ha un battito variabile, in corrispondenza degli stati emotivi: un ritmo regolare come un metronomo è un segno preoccupante. Le cose non vanno bene nemmeno quando il ritmo è caotico, con palpitazioni e aritmie. In assenza di patologie cardiache, dice Servan-Schreiber, un battito caotico viene scatenato dalle emozioni negative. Le emozioni piacevoli, al contrario, mantengono il ritmo coerente e variabile.
Ma è vero anche il contrario. Riportando il battito in coerenza, con la meditazione o il biofeedback, siamo invasi da emozioni positive. Emozioni che, in un circolo virtuoso, rafforzano la coerenza del battito, con effetti benefici a cascata: controllo di ansia e stress, stimolazione del sistema immunitario, abbassamento della pressione, aumento del tasso di Dhea, l’ormone della giovinezza. Il cuore sta bene, il cervello pure. L’anima-corpo è in gran forma.
Anche l’esercizio fisico produce notevoli effetti sulla psiche. La Duke University ha realizzato uno studio comparato sulla depressione: un gruppo di pazienti è stato trattato con un antidepressivo a base di sertralina, l’altro gruppo solo con jogging. Dopo 4 mesi di cura, i pazienti dei due gruppi si sentivano egualmente bene. Dopo un anno, un terzo dei pazienti curati con il farmaco aveva avuto una ricaduta, mentre il 92 per cento dei “corridori” continuava a star bene. Il benessere è correlato alla secrezione di endorfine, oppiacei endogeni che garantiscono un persistente senso di appagamento: chi corre, fa spinning o un altro esercizio sostenuto, dopo 20-30 minuti raggiunge il cosiddetto “high”, o “estasi”. I pensieri fluiscono, le emozioni negative si attenuano, come per effetto di una buona droga. Ma l’esercizio induce anche coerenza del ritmo cardiaco e un migliore funzionamento del sistema immunitario, fattori entrambi correlati al benessere psichico e fisico.
Uno dei metodi più sorprendenti descritti da Servan-Schreiber, a dimostrazione dell’inscindibilità di mente corpo, è l’Emdr (desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari).
Un giorno di alcuni anni fa la psicoterapeuta californiana Francine Shapiro, creatrice del metodo, passeggiava in un parco rimuginando un ricordo spiacevole. Si rese conto che mentre pensava i suoi occhi si muovevano rapidamente, come nella fase Rem (Rapid eye movement) del sonno. Shapiro provò a rifarlo intenzionalmente, e si avvide che mentre i suoi occhi si muovevano i pensieri spiacevoli regredivano. I movimenti oculari innescavano un processo di autoguarigione del cervello.
Oggi L’Emdr è considerato uno dei due metodi di elezione per la cura del disturbo da stress post traumatico: un movimento fisico che sana lo spirito. Il metodo è riconosciuto dall’American Psychological Association, e il nostro Ministero della Sanità lo classifica tra i metodi “probabilmente utili”, la stessa classe a cui appartengono farmaci come lo Zoloft. L’Emdr è stato utilizzato come metodo di psicologia d’emergenza sui bambini sopravvissuti al crollo della scuola di San Giuliano di Puglia, e sugli scolari di un istituto attiguo al grattacielo Pirelli, traumatizzati dallo schianto di un aereo nella primavera del 2002.
Al termine della terapia, in genere poche sedute, i pazienti riferiscono di considerare il ricordo del trauma lontano e non più disturbante, come se il contenuto doloroso fosse stato “digerito” e consumato.
Secondo Servan-Schreiber, l’Emdr può essere utilizzato anche per disturbi diversi dallo stress post-traumatico. “In tutte le forme di depressione o di ansia” spiega “si deve tentare di identificare nella storia del paziente le cause scatenanti dei sintomi”. Microtraumi, piccoli choc emotivi possono essere all’origine dei disturbi.
L’Emdr non è alternativo alla psicoanalisi, ma può integrarla, restituendo al corpo una parte “in commedia” all’interno del set analitico. Matilde ha affrontato una terapia psicoanalitica junghiana. Ha capito molto di sé e ha imparato a convivere con i suoi sintomi: nel suo caso, agorafobia con panic attack. “Eppure” ricorda “ogni volta che varcavo la soglia dello studio avevo la sensazione di dovermi “decorporeizzare”. Di dover abbandonare e dimenticare il corpo, steso come morto sul lettino, mentre la psiche giganteggiava”.
L’esperienza contraria è molto più comune. Dover parlare con un medico dei mali del proprio corpo abbandonando l’anima in sala d’attesa. Roberto Elli, endocrinologo milanese, è un medico di famiglia, categoria minacciata da un progetto ministeriale che prevede di sostituirli con anonimi ambulatori. Elli dice che la maggioranza dei pazienti manifesta un grande bisogno di “parlare”: “Per me l’ascolto è fondamentale” dice. “Se ascolti e guidi il paziente in ciò che dice, la diagnosi se la fa da solo. Conoscere il background di una persona è determinante. Anche per capire qual è il vero male da curare. Se si tratta di dermatite o di colite, e non piuttosto di depressione”.
Fabio Magrini, direttore dell’istituto di Clinica medica e della Seconda scuola di Cardiologia all’Università Statale di Milano, conferma che tutti i pazienti chiedono attenzione alla persona nella sua globalità: “Gli ingegneri” scherza “sono i più freddi: trovami il guasto e aggiustalo. Ma è una reazione di paura. Certo, quando un paziente arriva in pronto soccorso con un infarto acuto la relazione conta relativamente. In questo caso servono rapide decisioni di tipo operativo. Diverso è il caso di condizioni croniche. Lì collaborazione, fiducia e simpatia sono importanti. Anche se, a mio parere, un eccessivo coinvolgimento può costituire un limite. E non sempre c’è il tempo per garantire una relazione piena”.
Allen Roses, dirigente della multinazionale farmaceutica GlaxoSmithKline, ha recentemente dichiarato che i farmaci sono inefficaci per quasi la metà dei pazienti a cui sono stati prescritti. Un duro colpo, per la medicina tradizionale. Che sembra dare ragione a quanti, soprattutto donne, sono costantemente alla ricerca di soluzioni di cura alternative, all’insegna di un’idea indivisa del corpo-psiche.
“Il cervello è un organismo straordinario” dice Raffaele Morelli, direttore di Riza psicosomatica “che trasforma in carne tutti gli stati d’animo. La salute e la malattia passano di lì. Evitare le emozioni negative non si può. Quello che conta è non trattenerle negandole, ma osservarle con benevolenza, fintanto che “si scaricano””. Non viviamo nel migliore dei mondi possibili. Ma possiamo imparare a reagire nel migliore dei modi possibili, controllando la nostra fisiologia. E la nostra salute. “Il cervello sa guarirsi da solo” dice ancora Morelli. “E’ in stato di perenne autoguarigione”.
La medicina tradizionale accoglie solo in parte le acquisizioni della psicosomatica, che fin dalle sue origini si è sviluppata in due filoni, come spiega Piero Parietti, presidente della Società italiana di medicina psicosomatica: “C’è un filone nosografico, che spiega come certe malattie originino da problemi psicologici. E un filone metodologico, per il quale ciò che conta non è tanto la certezza dell’origine psicologica, quanto l’approccio diverso al paziente, considerato come una persona nella sua interezza. Perfino dal chirurgo o dal dentista. Questo secondo filone è il più fecondo. Recentemente la psicosomatica ha cominciato anche a considerare il benessere della persona, con un’attenzione allo stile di vita e all’ambiente. Di tutto questo nella formazione accademica passa poco, fatta eccezione per quei professionisti sensibili che scelgono questo approccio nell’ambito degli insegnamenti tradizionali”.
Per trent’anni Piero Parietti è stato anche medico di base. L’idea che mente e corpo siano una cosa sola ha informato tutta la sua pratica quotidiana. Parietti ricorda la storia di un paziente ammalato di cancro alla laringe. L’intervento demolitore non poteva essere evitato. Però si poteva cercare di cavare qualcosa di buono da questa esperienza di male estremo. Il paziente scelse la strada della massima consapevolezza, e apprese alcune tecniche di rilassamento profondo. Dopo l’intervento lavorò accanitamente per ritrovare la voce perduta, elaborando un metodo che ora insegna ai laringectomizzati. Oggi la sua voce è quasi normale, molti non si accorgono neppure del problema.
Quando si tratta di cancro, proporre un’alternativa ai protocolli di cura in vigore è ancora più difficile. Dopo vent’anni di ricerche in solitudine, oggi il dottor Pier Mario Biava è ripagato dall’interesse e dall’entusiasmo con cui un’équipe di oncologi dell’università La Sapienza di Roma sta lavorando sulle sue teorie, che propongono un mutamento di prospettiva nella comprensione del cancro. Biava ha anche messo a punto una terapia genica fisiologica basata su un farmaco a network (un pool di proteine naturali prelevate dell’embrione di un pesce tropicale, lo Zebrafish) che saprebbe riprogrammare la cellula malata e far regredire il tumore. Una terapia regolatrice, anziché terapie distruttive. Il farmaco è registrato come “nutraceutico” dall’Istituto superiore di Sanità. All’università di Bologna si sta verificando la sua utilità nel trattamento degli epatocarcinomi.
Biava parla suggestivamente della cellula tumorale come “psicotica”, incapace di comunicare con le altre cellule. E indica tra le cause del tumore, oltre alle sostanze cancerogene e agli stili di vita scorretti, fattori psicologici come l’incapacità di elaborare i traumi, di comunicare con gli altri, di continuare a differenziarsi e a crescere, in una visione integrata e complessa dello psichico e del biologico.
“La gran parte delle ricerche in medicina continua a non tenere conto di questa integrità” conclude Biava. “Ma le cose, piano piano, stanno cambiando. Non è un passaggio semplice. Si tratta di un cambio di paradigma. Di una vera e propria rivoluzione scientifica”. Portando dal medico i loro bisogni, anche i pazienti possono fare molto.

(pubblicato su “Io donna”- “Corriere della Sera)