Patricia ha appena avuto il suo secondo bambino, a poca distanza dal primo. E’ in pieno baby blues. Una depressione che le taglia le gambe. Due gravidanze di fila, e Patricia si è giocata tutti i suoi Omega-3. Al feto gli Omega-3 servono per fare il cervello, composto per due terzi da acidi grassi. Ma anche il cervello di Patricia ne ha bisogno per funzionare. Avrebbe dovuto mangiare più pesce: salmone, pesce azzurro. Gli Omega-3 si trovano anche nell’olio di colza e nelle noci. O negli integratori, evoluzione del vecchio, disgustoso olio di fegato di merluzzo.
Oggi si consuma meno della metà degli Omega-3 che si consumavano tra le due guerre. E guarda caso, non c’è mai stata tanta depressione. Ma gli Omega-3 fanno bene anche al cuore e al sistema cardiocircolatorio. E un cuore che funziona come si deve è a sua volta un presidio contro la depressione. Così come un cervello in buona salute protegge dall’infarto e dai problemi cardiovascolari.
Nel suo Guérir, best seller internazionale (Sperling & Kupfer), il professor David Servan-Schreiber, psichiatra e docente presso le università di Pittsburgh e di Lione, racconta questa e altre storie. Di come sia arrivato a convincersi che il corpo e la psiche fanno un’unità inscindibile.
L’incontro con la medicina tibetana è stato fondamentale: “Voi occidentali” gli disse un giorno un “collega” di Dharamsala “siete sempre sorpresi nel constatare che quello che chiamate depressione, ansia o stress ha dei sintomi fisici. Per noi vale il contrario: il pianto, la perdita di autostima sono manifestazioni mentali di un problema fisico. In realtà non si tratta di fisico o mentale” aveva concluso. “i sintomi emotivi e fisici sono due aspetti di uno squilibrio nella circolazione dell’energia”.
Noi occidentali l’abbiamo capito a metà. Ormai ci è chiaro che un disturbo emotivo può “somatizzare”: ci si può ammalare dopo un lutto, un divorzio, la perdita del lavoro. Ci è più difficile comprendere che un cattivo funzionamento dei nostri organi può determinare uno squilibrio emotivo. Che un’alimentazione disordinata e uno stile di vita scorretto possono indurre depressione. Che curando il corpo si cura anche la mente.
Il settimanale Newsweek ha recentemente dedicato una cover story al potere risanante della preghiera. Negli Stati Uniti si fanno corsi universitari sul rapporto tra fede e salute. Il 72 per cento degli Americani crede che pregando ci si ammali di meno. Il National Institute of Health investirà 3 milioni e mezzo di dollari nelle ricerche sulla medicina mente-corpo.
Gli effetti benefici della meditazione sono noti: riduzione dello stress, migliore risposta immunitaria, abbassamento della pressione sanguigna. La preghiera potrebbe funzionare allo stesso modo. Purché non sia obbligata e “moralistica”, osserva Servan-Schreiber. “Purché pregando il petto sia invaso da un senso di gratitudine verso il mondo”. Meditazione o preghiera, esercizi respiratori o biofeedback secondo l’uso orientale o occidentale, gli effetti di queste pratiche sul cuore sono sorprendenti. Un cuore in buona salute ha un battito variabile, in corrispondenza degli stati emotivi: un ritmo regolare come un metronomo è un segno preoccupante. Le cose non vanno bene nemmeno quando il ritmo è caotico, con palpitazioni e aritmie. In assenza di patologie cardiache, dice Servan-Schreiber, un battito caotico viene scatenato dalle emozioni negative. Le emozioni piacevoli, al contrario, mantengono il ritmo coerente e variabile.
Ma è vero anche il contrario. Riportando il battito in coerenza, con la meditazione o il biofeedback, siamo invasi da emozioni positive. Emozioni che, in un circolo virtuoso, rafforzano la coerenza del battito, con effetti benefici a cascata: controllo di ansia e stress, stimolazione del sistema immunitario, abbassamento della pressione, aumento del tasso di Dhea, l’ormone della giovinezza. Il cuore sta bene, il cervello pure. L’anima-corpo è in gran forma.
Anche l’esercizio fisico produce notevoli effetti sulla psiche. La Duke University ha realizzato uno studio comparato sulla depressione: un gruppo di pazienti è stato trattato con un antidepressivo a base di sertralina, l’altro gruppo solo con jogging. Dopo 4 mesi di cura, i pazienti dei due gruppi si sentivano egualmente bene. Dopo un anno, un terzo dei pazienti curati con il farmaco aveva avuto una ricaduta, mentre il 92 per cento dei “corridori” continuava a star bene. Il benessere è correlato alla secrezione di endorfine, oppiacei endogeni che garantiscono un persistente senso di appagamento: chi corre, fa spinning o un altro esercizio sostenuto, dopo 20-30 minuti raggiunge il cosiddetto “high”, o “estasi”. I pensieri fluiscono, le emozioni negative si attenuano, come per effetto di una buona droga. Ma l’esercizio induce anche coerenza del ritmo cardiaco e un migliore funzionamento del sistema immunitario, fattori entrambi correlati al benessere psichico e fisico.
Uno dei metodi più sorprendenti descritti da Servan-Schreiber, a dimostrazione dell’inscindibilità di mente corpo, è l’Emdr (desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari).
Un giorno di alcuni anni fa la psicoterapeuta californiana Francine Shapiro, creatrice del metodo, passeggiava in un parco rimuginando un ricordo spiacevole. Si rese conto che mentre pensava i suoi occhi si muovevano rapidamente, come nella fase Rem (Rapid eye movement) del sonno. Shapiro provò a rifarlo intenzionalmente, e si avvide che mentre i suoi occhi si muovevano i pensieri spiacevoli regredivano. I movimenti oculari innescavano un processo di autoguarigione del cervello.
Oggi L’Emdr è considerato uno dei due metodi di elezione per la cura del disturbo da stress post traumatico: un movimento fisico che sana lo spirito. Il metodo è riconosciuto dall’American Psychological Association, e il nostro Ministero della Sanità lo classifica tra i metodi “probabilmente utili”, la stessa classe a cui appartengono farmaci come lo Zoloft. L’Emdr è stato utilizzato come metodo di psicologia d’emergenza sui bambini sopravvissuti al crollo della scuola di San Giuliano di Puglia, e sugli scolari di un istituto attiguo al grattacielo Pirelli, traumatizzati dallo schianto di un aereo nella primavera del 2002.
Al termine della terapia, in genere poche sedute, i pazienti riferiscono di considerare il ricordo del trauma lontano e non più disturbante, come se il contenuto doloroso fosse stato “digerito” e consumato.
Secondo Servan-Schreiber, l’Emdr può essere utilizzato anche per disturbi diversi dallo stress post-traumatico. “In tutte le forme di depressione o di ansia” spiega “si deve tentare di identificare nella storia del paziente le cause scatenanti dei sintomi”. Microtraumi, piccoli choc emotivi possono essere all’origine dei disturbi.
L’Emdr non è alternativo alla psicoanalisi, ma può integrarla, restituendo al corpo una parte “in commedia” all’interno del set analitico. Matilde ha affrontato una terapia psicoanalitica junghiana. Ha capito molto di sé e ha imparato a convivere con i suoi sintomi: nel suo caso, agorafobia con panic attack. “Eppure” ricorda “ogni volta che varcavo la soglia dello studio avevo la sensazione di dovermi “decorporeizzare”. Di dover abbandonare e dimenticare il corpo, steso come morto sul lettino, mentre la psiche giganteggiava”.
L’esperienza contraria è molto più comune. Dover parlare con un medico dei mali del proprio corpo abbandonando l’anima in sala d’attesa. Roberto Elli, endocrinologo milanese, è un medico di famiglia, categoria minacciata da un progetto ministeriale che prevede di sostituirli con anonimi ambulatori. Elli dice che la maggioranza dei pazienti manifesta un grande bisogno di “parlare”: “Per me l’ascolto è fondamentale” dice. “Se ascolti e guidi il paziente in ciò che dice, la diagnosi se la fa da solo. Conoscere il background di una persona è determinante. Anche per capire qual è il vero male da curare. Se si tratta di dermatite o di colite, e non piuttosto di depressione”.
Fabio Magrini, direttore dell’istituto di Clinica medica e della Seconda scuola di Cardiologia all’Università Statale di Milano, conferma che tutti i pazienti chiedono attenzione alla persona nella sua globalità: “Gli ingegneri” scherza “sono i più freddi: trovami il guasto e aggiustalo. Ma è una reazione di paura. Certo, quando un paziente arriva in pronto soccorso con un infarto acuto la relazione conta relativamente. In questo caso servono rapide decisioni di tipo operativo. Diverso è il caso di condizioni croniche. Lì collaborazione, fiducia e simpatia sono importanti. Anche se, a mio parere, un eccessivo coinvolgimento può costituire un limite. E non sempre c’è il tempo per garantire una relazione piena”.
Allen Roses, dirigente della multinazionale farmaceutica GlaxoSmithKline, ha recentemente dichiarato che i farmaci sono inefficaci per quasi la metà dei pazienti a cui sono stati prescritti. Un duro colpo, per la medicina tradizionale. Che sembra dare ragione a quanti, soprattutto donne, sono costantemente alla ricerca di soluzioni di cura alternative, all’insegna di un’idea indivisa del corpo-psiche.
“Il cervello è un organismo straordinario” dice Raffaele Morelli, direttore di Riza psicosomatica “che trasforma in carne tutti gli stati d’animo. La salute e la malattia passano di lì. Evitare le emozioni negative non si può. Quello che conta è non trattenerle negandole, ma osservarle con benevolenza, fintanto che “si scaricano””. Non viviamo nel migliore dei mondi possibili. Ma possiamo imparare a reagire nel migliore dei modi possibili, controllando la nostra fisiologia. E la nostra salute. “Il cervello sa guarirsi da solo” dice ancora Morelli. “E’ in stato di perenne autoguarigione”.
La medicina tradizionale accoglie solo in parte le acquisizioni della psicosomatica, che fin dalle sue origini si è sviluppata in due filoni, come spiega Piero Parietti, presidente della Società italiana di medicina psicosomatica: “C’è un filone nosografico, che spiega come certe malattie originino da problemi psicologici. E un filone metodologico, per il quale ciò che conta non è tanto la certezza dell’origine psicologica, quanto l’approccio diverso al paziente, considerato come una persona nella sua interezza. Perfino dal chirurgo o dal dentista. Questo secondo filone è il più fecondo. Recentemente la psicosomatica ha cominciato anche a considerare il benessere della persona, con un’attenzione allo stile di vita e all’ambiente. Di tutto questo nella formazione accademica passa poco, fatta eccezione per quei professionisti sensibili che scelgono questo approccio nell’ambito degli insegnamenti tradizionali”.
Per trent’anni Piero Parietti è stato anche medico di base. L’idea che mente e corpo siano una cosa sola ha informato tutta la sua pratica quotidiana. Parietti ricorda la storia di un paziente ammalato di cancro alla laringe. L’intervento demolitore non poteva essere evitato. Però si poteva cercare di cavare qualcosa di buono da questa esperienza di male estremo. Il paziente scelse la strada della massima consapevolezza, e apprese alcune tecniche di rilassamento profondo. Dopo l’intervento lavorò accanitamente per ritrovare la voce perduta, elaborando un metodo che ora insegna ai laringectomizzati. Oggi la sua voce è quasi normale, molti non si accorgono neppure del problema.
Quando si tratta di cancro, proporre un’alternativa ai protocolli di cura in vigore è ancora più difficile. Dopo vent’anni di ricerche in solitudine, oggi il dottor Pier Mario Biava è ripagato dall’interesse e dall’entusiasmo con cui un’équipe di oncologi dell’università La Sapienza di Roma sta lavorando sulle sue teorie, che propongono un mutamento di prospettiva nella comprensione del cancro. Biava ha anche messo a punto una terapia genica fisiologica basata su un farmaco a network (un pool di proteine naturali prelevate dell’embrione di un pesce tropicale, lo Zebrafish) che saprebbe riprogrammare la cellula malata e far regredire il tumore. Una terapia regolatrice, anziché terapie distruttive. Il farmaco è registrato come “nutraceutico” dall’Istituto superiore di Sanità. All’università di Bologna si sta verificando la sua utilità nel trattamento degli epatocarcinomi.
Biava parla suggestivamente della cellula tumorale come “psicotica”, incapace di comunicare con le altre cellule. E indica tra le cause del tumore, oltre alle sostanze cancerogene e agli stili di vita scorretti, fattori psicologici come l’incapacità di elaborare i traumi, di comunicare con gli altri, di continuare a differenziarsi e a crescere, in una visione integrata e complessa dello psichico e del biologico.
“La gran parte delle ricerche in medicina continua a non tenere conto di questa integrità” conclude Biava. “Ma le cose, piano piano, stanno cambiando. Non è un passaggio semplice. Si tratta di un cambio di paradigma. Di una vera e propria rivoluzione scientifica”. Portando dal medico i loro bisogni, anche i pazienti possono fare molto.
(pubblicato su “Io donna”- “Corriere della Sera)