Le bambole da stuprare raccontano la resa senza condizioni a una sessualità maschile che si esprime come predatoria, perversa e violenta “per natura”. Che chiede una cosa da usare, non un soggetto con cui entrare in relazione. La donna incinta, da sempre adorata e divinizzata, diventa un orinatoio e un vomitatoio. Misoginia estrema da fine patriarcato
Parla Greta, ex-prostituta: “Ormai sono quasi tutte schiave. E in Germania la legalizzazione ha fallito”
Greta ha 56 anni, madre tedesca, padre italiano, due lauree. Sposata, vive a Karlsruhe dove lavora nell’amministrazione dopo un periodo passato in Italia. Per qualche anno, prima della caduta del Muro, ha esercitato la professione di prostituta in Germania. Oggi si dedica come volontaria ai programmi di recupero e riabilitazione delle “colleghe”.
“Ho cominciato per ragioni economiche. Lo fai sempre e solo per quello: soldi, necessità. Il mio compagno era morto in un incidente stradale e io mi sono trovata in difficoltà. Non alla fame, però nei guai. Ero giovane, mi pareva di poter avere un certo potere sugli uomini”.
Ricordi la prima volta?
“Oh, certo! Uno che soffriva di eiaculazione precoce. Una grande fortuna”.
Dove lavoravi?
“In casa, o in hotel. Con il passaparola. Era come stare in un limbo. Staccavo l’interruttore per il tempo necessario, mi sconnettevo da me stessa. Uno sdoppiamento, uno stato di catalessi in cui lasci che la cosa succeda. Ce la facevo senza presidi chimici, ma la gran parte delle ragazze ha bisogno di alcol o droghe. E’ un problema grosso quando lavori per riabilitarle: sono quasi sempre tossiche di qualcosa, borderline, con gravi problemi di autolesionismo. Si tagliuzzano le braccia, o sono preda di una specie di euforia autodifensiva. Tante sono perdute per sempre”.
Pagavi le tasse?
“Nemmeno per sogno. Ma non le paga nessuna, nemmeno oggi che in Germania la prostituzione è legale (dal 2002). Dovresti iscriverti alle Camere di Commercio, pagare un forfait fiscale. Si valuta che le prostitute siano almeno 400 mila: ebbene, quelle che si sono registrate sono 44, di cui 4 uomini. Un fallimento assoluto”.
Un fallimento anche contro la tratta?
“Soprattutto contro la tratta. Con l’ingresso in Europa di Romania, Bulgaria e stati baltici c’è stata un’ondata di ragazze che arrivavano da lì. Tedesche non ne trovi quasi più. Ragazzine in grande parte analfabete che arrivano da paesini sperduti nelle montagne e mantengono tutta la famiglia: sai che libertà! Tante rom, tante ragazze madri: le vedi anche per strada che battono con il bambino, poi quando arriva il cliente il pappone custodisce il piccolo. Una cosa straziante. Poi ci sono quelle che possono permettersi un posto nei bordelli per 140-160 euro al giorno. Sono enormi strutture private a più piani, un business colossale per i proprietari”.
Quanto paga un cliente?
“Come saprai dipende dalle prestazioni. Di base, per una cosa normale, sui 40-50 euro. Ma quasi mai sono cose normali”.
E quali cose sono?
“L’idea un po’ “romantica” e ingenua che gli uomini vadano a prostitute per farsi una s…a e via va dimenticata. Una s….a se la possono fare con chiunque. Mica è “Pretty Woman”: vengono da te per ben altro. Vedono il porno, ti chiedono di indossare falli artificiali, di travestirsi con parrucca o intimo femminile. Ci sono i feticisti, i coprofagi. Vanno molto i giochi con l’urina. Dall’anal sex alla zoofilia, un repertorio sterminato. Sono sporchi, maleodoranti, spesso ubriachi e strafatti. Pagano il diritto di scatenare quello che hanno dentro, e tu sei solo una latrina, né più né meno. Devi tacere, fare e lasciare fare, e saper fingere piacere. Ti pagano, e pretendono anche che tu sia soddisfatta delle loro prestazioni”.
Qual è il senso profondo dell’andare a prostitute?
“Non si tratta di sesso. In questione c’è ben altro. E’ un mix tra il potere che ti dà il fatto di pagare e il piacere di umiliarti. Il tutto veicolato da una violenza di base. Hai a che fare con qualcosa di guasto”.
Una specie di camera di compensazione: mi svesto per un’ora o due dei ruoli che devo sostenere, mi concedo di manifestare una parte di me che normalmente devo tenere compressa e nascosta, un mio doppio impresentabile. La tua scelta di prostituirti la definiresti libera?
“Be’, allora ho scelto liberamente. Ma se non avessi avuto problemi di soldi, a questa “libertà” non avrei dovuto ricorrere. Fai quel mestiere perché sei in stato di bisogno. Punto. Quelli erano anche altri tempi. Negli anni ’70-’80 la quota delle “libere” professioniste era significativa. Ancora non c’era il fenomeno della tratta, che oggi copre il 95 per cento della prostituzione. Uno scenario drammaticamente diverso. Appena ho intravisto l’opportunità di uscire dalla prostituzione l’ho fatto. Ma io ho le mie risorse. Parlo 7 lingue, sono riuscita a trovare incarichi come traduttrice, interprete, davo qualche lezione… Poi nel ’92 sono stata assunta nella pubblica amministrazione. Mi sono sposata: mio marito conosce la mia storia. Ne sono uscita viva, ma non ho mai dimenticato. Per questo lavoro nei progetti di recupero”.
Si dice che con la legalizzazione la Germania è diventata il bordello d’Europa.
“Ci sono bordelli di uno squallore inimmaginabile. Le case “all you can fuck”, con un ingresso di 90 euro bevande comprese fai tutto quello che vuoi per il tempo che vuoi. Ci sono quelli dove puoi astenerti dal preservativo. E’ veramente dura, credimi. Ne sono uscita, ti dicevo, perché avevo risorse su cui puntare, ma c’è voluta una forza titanica. Anche lavorare nella riabilitazione non è semplice: ricordo il caso di un’ex-prostituta di Amburgo, Domenica Niehoff, che si è data molto da fare in progetti di recupero ma dopo un po’ ha mollato, non ce la faceva a reggere tutta quella miseria e quella disperazione”.
Che cosa si dice in Germania di questa situazione?
“La legalizzazione è unanimemente riconosciuta come un enorme fallimento. Ma è molto difficile uscirne. E’ un serio problema politico. Paradossalmente, proprio il fatto che c’è una legge ti dà pochi margini di manovra. Il business è floridissimo. A Saarbrücken, ai confini con la Francia, è stato da poco aperto un megabordello, una specie di filiale del famoso “Paradise” di Stoccarda. Lo hanno aperto per intercettare clienti francesi, visto che in quel Paese si stanno muovendo in senso restrittivo. E il proprietario di queste strutture è uno legato alla tratta. Del resto chi apre bordelli se non i malavitosi? Tra l’altro in questi bordelli le donne sono molto meno sicure che per strada! Ci sono state decine e decine di prostitute uccise in questi anni: altro che maggiore sicurezza! Al chiuso i rischi aumentano in modo esponenziale”.
Tu sai che in Italia si sta discutendo di legalizzazione: l’esperienza tedesca dimostra che la strada è fallimentare. Che cosa si dovrebbe fare, allora?
“Bisognerebbe convincersi che la prostituzione oggi è essenzialmente schiavitù e non libera disponibilità del proprio corpo. Ci vorrebbe una forte azione delle forze dell’ordine congiunta alla volontà politica di affrontare la questione: non è difficile individuare le vittime di tratta. Quando vedi ragazze nigeriane, rumene, bielorusse per le strade di Milano che cosa pensi? Che sono libere professioniste? Se sono libere professioniste, bene: che emettano fattura, che si facciano pagare con carte di credito e denaro tracciabile. Si può scegliere la strada svedese o islandese della punibilità del cliente: lì andare a prostitute non è più considerata una faccenda normale. La popolazione andrebbe sensibilizzata: il tema non può essere il decoro urbano, il tema è che migliaia di schiave vivono in mezzo a noi. Ma il business è colossale, verosimilmente la partita è la stessa della droga, delle cooperative “sociali” che sfruttano i migranti. Ci saranno anche politici che difendono questi buoni affari”.
#ListenToSurvivors