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Corpo-anima, economics Novembre 7, 2011

Crescita: e di che cosa?

Che cos’è precisamente questa crescita che si continua a invocare? A noi umani ordinari a volte pare che si stia parlando soprattutto di crescita dei consumi. E che cos’altro cresce, quando crescono i consumi: cresciamo noi? evolviamo come esseri umani? decresce la nostra infelicità? cresce la bellezza, la bontà, il benessere, l’allegria? cresce la qualità delle relazioni umane? o invece crescono solo i soldi, i profitti di pochi?

Questa parola, crescita, a tratti suona come un ordine, come una minaccia. Tornare ai livelli di crescita, rilanciare la crescita. O crescita, o morte. Noi non-economisti non dovremmo permetterci di parlare di queste cose. Non è richiesto che diciamo la nostra. Dobbiamo limitarci a crescere e fare crescere, spingendo come ossessi in quell’unica direzione. Fare in modo che, anche diminuendo o non aumentando le entrate, non si riducano, e anzi crescano le uscite. Dobbiamo farlo per il bene del paese.

Oddio, non che sia semplice. Ci viene chiesta una cosa piuttosto complicata. Chi fa la spesa mi capisce, sempre a cercare occasioni, offerte speciali, outlet, discount, anche a scapito della qualità. Ma nel caso ti sarà data una mano. Aumenteranno la benzina e il gasolio, per cominciare. E quando aumenta la benzina e il gasolio in genere aumenta anche tutto il resto. Cosicché quello che riuscirai a risparmiare da una parte, diminuendo la quantità di cose che compri, lo spenderai subito dall’altra, perché queste cose costeranno di più. E allora crescita diventa il sinonimo della nostra lotta quotidiana.

Possibile che non ci sia qualcos’altro, che potrebbe e dovrebbe crescere, qualcos’altro da mettere al centro? Possibile che se non crescono i consumi tutto andrà inevitabilmente a rotoli? Qui gli economisti potrebbero aiutarci a capire: esiste un altro modo di fare andare le cose, un’alternativa a questo modello? Perché questa idea di economia, che fa pur sempre parte dei costrutti umani e non delle leggi di natura non può essere eventualmente decostruita? Perché i bisogni umani fondamentali –quei quattro bisogni, sempre quelli, da sempre: il cibo e l’acqua, le relazioni e l’amore, l’aria da respirare, un tetto sotto il quale ripararsi- non possono e non devono stare al centro di quella che chiamiamo economia, e che si comporta come un’ideologia?

E perché quando si pongono domande come queste ci si sente un po’ in colpa, come se si violasse un tabù?

AMARE GLI ALTRI, ambiente, Donne e Uomini, economics, Politica Settembre 18, 2011

Penelope a Davos

Se vi è mai capitato di pensare che l’economia è una scienza triste, lontana non solo dalla produzione e dall’allegria del fare, ma dalla vita reale tout court, dai bisogni, dal desiderio umanissimo di felicità; e se dopo averlo pensato vi siete sentiti impotenti al cospetto di questo Superleviatano e delle sue leggi date come immutabili, rassegnati di fronte questo pensiero triste che paradossalmente ci sta rendendo anche più poveri –tutti, tranne pochissimi-, allora il libro di Ina Praetorius, teologa protestante svizzera, “autrice di saggi, casalinga e madre di una figlia” è scritto per voi.

In “Penelope a Davos” (ed. Quaderni di Via Dogana), Praetorius guarda al disordine di fine-patriarcato, alla crisi irreversibile di una civiltà che ha preso forma dal dominio maschile. Il compito elettrizzante che oggi abbiamo, dice, donne e uomini insieme, è quello di costruire un pensiero post-patriarcale. Di trovare parole, immagini, un simbolico che fa nascere il mondo nuovo. Senza lasciarsi scoraggiare: “un ordine che sia stato costruito è logicamente anche modificabile”.

L’economia è l’epicentro del grande disordine, ed è “urgente e indispensabile… restituire alle donne e agli uomini che se ne occupano la libertà di ripensarla in un modo nuovo”. Sentendosi liberi di pensare che “il mercato, quando si costituisce erroneamente quale prima istanza dell’economia, è destinato a fallire, e lo si desume dal fatto che in un’economia di mercato globale migliaia di persone muoiono quotidianamente di fame”. Vale in particolare per un mercato in cui lo scambio avido è ormai solo tra denaro e altro denaro, senza alcun rapporto con i bisogni umani reali.

La soluzione non sta in leggi che vincolino queste transazioni, ma nel fatto di non pensare più al mondo come mercato per ricominciare a vederlo come l’ambiente domestico, la casa, l’oikos –radice del termine economia- di 6 miliardi e mezzo di umani, tutti ugualmente bisognosi e interdipendenti. Si tratta di rimettere le cose al loro posto, tornando a vedere il mercato come istanza secondaria, e  bisogni e relazioni come primari. Anche a costo di sembrare ingenua e naïve, dice Praetorius: “aggettivo che viene dal latino nativus, relativo alla nascita”. Ma è proprio a partire dalla nascita, dalle relazioni, dalla vulnerabilità, da un’idea di libertà che non è indipendenza assoluta ma “partecipare al gioco del mondo con nuove pratiche” (Hannah Arendt), che lei intende ripensare le cose.